Si suicida mentre è ricoverato in ospedale: la richiesta risarcitoria dei congiunti per la perdita del rapporto parentale ha natura extracontrattuale

23 Luglio 2020

Solo il rapporto tra una gestante e la struttura si atteggia come contratto con effetti protettivi a favore di terzo, laddove il terzo è il neonato. Al di fuori di queste ipotesi tale figura non ha ragione d'essere.

Non esistono precedenti specifici, nella giurisprudenza di legittimità relativamente alla questione decisa con la sentenza in commento, relativa alla richiesta risarcitoria, già respinta nei primi due gradi del giudizio, formulata “iure proprio” da tre fratelli nei confronti della struttura ospedaliera in cui era ricoverato il loro genitore che si suicidò gettandosi da una finestra.
La tesi sostenuta dai figli dell'uomo è che vi fosse una omissione di vigilanza o terapia da parte del personale infermieristico dell'ospedale, in considerazione del fatto che a partire dal 1981 il genitore era stato seguito dalla struttura psichiatrica di tale ospedale, subendo una cinquantina di ricoveri ospedalieri, anche in regime di T.S.O., oltre a due ricoveri in una comunità protetta. Dato tale quadro clinico, ben noto alla struttura ospedaliera hanno sostenuto i fratelli la responsabilità dell'ospedale per omissione delle misure idonee a scongiurare l'evento suicidario.
Dei tre motivi di ricorso vale la pena sottolineare i primi due ovvero la lamentela per il ritenuto erroneo inquadramento dell'azione risarcitoria da essi spedita come azione extra contrattuale anziché contrattuale e la lamentela sul mancato esperimento nei giudizi di merito delle richieste prove testimoniali e della CTU.

Il contratto con effetti protettivi a favore di terzo è una eccezione. La Cassazione, peraltro dando atto della complessità della questione e dell'inesistenza di precedenti specifici sulle condizioni per il risarcimento del danno "iure proprio" fatto valere dai congiunti di un paziente, anche affetto da disturbi psichici, deceduto in ragione di atto sucidario, e per questo compensando integralmente le spese di lite, ha respinto il ricorso.
Il primo motivo era relativo all'applicabilità, nel caso in esame, della figura del contratto con effetti protettivi a favore di terzo, evidentemente richiesta dai ricorrenti e già esclusa da entrambi i giudici di merito.
La Cassazione ha ricordato che la configurabilità di un rapporto contrattuale è stata riconosciuta a livello giurisprudenziale per quel che concerne il rapporto tra paziente e struttura, e pertanto (a partire dalla nota sentenza n. 589/1999) per i danni dei quali chieda il ristoro lo stesso paziente che lamenti la mancata adeguata vigilanza sulla sua persona ed in particolare l'omesso impedimento di atti autolesivi.
Viceversa in un caso analogo, seppur non identico, ovvero quello della domanda risarcitoria proposta in via contrattuale dalla figlia di una donna affetta dal morbo di Alzheimer, ricoverata presso una residenza per anziani ed ivi deceduta a seguito di caduta da una finestra della stanza di degenza, anche in tal caso la Cassazione aveva escluso la riconducibilità dell'azione risarcitoria alla previsione di cui all'art. 1218 c.c., motivando che il rapporto contrattuale era «intercorso tra la stessa casa di riposo e la ricoverata, non certo tra la prima e la figlia della seconda» (così la sentenza n. 6914 del 2012).
La Terza Sezione ha accolto altresì l'occasione per ricordare, invece qual è l'ipotesi in cui la figura del contratto con efficacia protettiva verso terzi trova il suo naturale luogo di emersione ovvero nel caso del rapporto tra la puerpera e la struttura sanitaria/professionista che ne segua la gestazione o il parto. In tale caso, infatti, ricadrà nella responsabilità contrattuale qualsiasi possibile danno riscontrato sul feto ovvero neonato.
Al di fuori però di tale, peculiare, ambito secondo la Cassazione «figura del contratto con efficacia protettiva verso il terzo, nel campo della responsabilità da malpractice sanitaria, non ha ragion d'essere, dovendo, dunque, le pretese risarcitoria azionate ' iure proprio' dai congiunti del paziente, unica parte della relazione contrattuale, essere fatte valere ai sensi dell'art. 2043 c.c.».

Per quanto concerne, poi, la questione del mancato esperimento delle prove orali e CTU, ha ritenuto la Terza Sezione che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, il rigetto della domanda risarcitoria non sia stata conseguenza della reiezione delle rispettive istanze istruttorie, dal momento che la Corte territoriale aveva formulato, sulla base delle risultanze già presenti agli atti di causa, una propria autonoma valutazione, non censurabile in sede di legittimità in quanto attinente al merito della controversia, in ordine all'assenza di responsabilità della struttura ospedaliera.
Infatti, i Giudici di secondo grado hanno ritenuto che il ricovero fosse avvenuto per problematiche di natura respiratoria mentre il paziente era stato vigile, seppur non collaborante, e che le annotazioni sulla cartella clinica denotassero che lo stesso al momento non presentava alcun particolare segno acuto della cronica e grave malattia psichica.

(fonte: dirittoegiustizia.it)

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