Diniego della richiesta dello status di rifugiato: regole per il ricorso in Cassazione

Redazione scientifica
23 Luglio 2020

In caso di ricorso per cassazione in forza dell'art. 25-bis d.lgs. n. 25/2008, il ricorrente è tenuto ad allegare l'avvenuta comunicazione del decreto del giudice di merito (trattandosi di adempimento di cancelleria normativamente previsto che di regola deve ritenersi effettuato) producendo, a pena di improcedibilità, copia autentica del decreto stesso con la relazione di comunicazione, in attestazione di conformità alle ricevute PEC pervenute in via telematica dalla cancelleria.

La Corte di cassazione si è pronunciata sull'impugnazione del decreto con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato il ricorso avvero il provvedimento della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria richiesti dal ricorrente.

A prescindere dal merito delle censure, il Collegio rileva l'improcedibilità del ricorso. Il ricorrente infatti, pur dando atto della data di pubblicazione del decreto impugnato, prodotto in copia autentica, non riferisce nulla in ordine alla comunicazione di tale decreto da parte della cancelleria, rendendo dunque impossibile accertare la tempestività dell'impugnazione, non risultando nemmeno depositata copia autenticata della relata di comunicazione.

L'art. 35-bis, comma 13, d.lgs. n. 25/2008 prevede che, una volta pronunciato il decreto del Tribunale, il termine per proporre ricorso in Cassazione è di 30 giorni, decorrenti dalla comunicazione dello stesso da parte della cancelleria, da effettuarsi anche nei confronti della parte non costituita. La comunicazione della cancelleria è dunque onere necessario che deve essere adempiuto tramite PEC al difensore del richiedente secondo il quadro normativo di cui all'art. 16, comma 4, d.l. n. 170/2012, conv. in l. n. 221/2012. Il legislatore infatti, nella materia di cui in oggetto, ha individuato con norma speciale una deroga al termine ordinario di impugnazione di cui all'art. 325, comma 2, c.p.c., ma anche rispetto alla decorrenza di siffatto termine. Ed infatti, mentre l'art. 326, comma 1, c.p.c. prevede la decorrenza dalla notificazione della sentenza, il citato art. 35-bis, comma 13, d.lgs. n. 25/2008 fissa come dies a quo quella della comunicazione del decreto da parte dell'ufficio. Il rispetto del termine, nel presupposto dell'impossibilità del deposito telematico dell'atto, deve essere verificato sulla base dell'attestazione di conformità del difensore, essendo escluso un onere della Corte di diretta verifica della notifica o della comunicazione telematica.
In conclusione, chiosa il Collegio: «alla stregua del precetto posto dall'art. 369, comma 1, n. 2, c.p.c., [che] il ricorrente per cassazione il quale agisca in forza del citato art. 35-bis d.lgs. n. 25/2008, è tenuto ad allegare l'avvenuta comunicazione del decreto (trattandosi di adempimento di cancelleria normativamente previsto che di regola deve ritenersi effettuato, dovendo altrimenti il ricorrente espressamente dichiarare che detto adempimento non ha avuto luogo), con ciò producendo, a pena di improcedibilità, copia autentica del decreto stesso con la relazione di comunicazione di cui si è detto, in attestazione di conformità alle ricevute PEC pervenute in via telematica dalla cancelleria, produzione indispensabile ai fini del necessario scrutinio officioso della tempestività del ricorso». Aggiunge infine la Corte che la mancanza della relazione rimane irrilevante nel caso in cui il ricorso vinca la c.d. prova di resistenza, ovvero sia notificato entro 30 giorni dalla pubblicazione, indipendentemente dalla comunicazione, e nel caso in cui la relazione risulti comunque nella disponibilità della Corte perché prodotta dalla parte controricorrente o acquisita a seguito dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio, sempre che l'avvenuta comunicazione sia ivi risultante non essendo comunque riscontrabile alcun onere in capo alla Corte per supplire alla mancata comunicazione
Non essendo riscontrabile alcuna di tali ipotesi nel caso di specie, la Corte non può che dichiarare improcedibile il ricorso.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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