L'abuso della maggioranza negli organi collegiali: gli elementi costitutivi e le conseguenze dell'abuso

Antonio Franchi
28 Luglio 2020

La violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, che presiedono anche all'esplicarsi del principio di maggioranza nelle deliberazioni degli organi collegiali può condurre ad eccessi ed abusi di potere da parte del socio di maggioranza...
Massima

La violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, che presiedono anche all'esplicarsi del principio di maggioranza nelle deliberazioni degli organi collegiali – il quale non opera senza limiti intrinseci, dovendo comunque la maggioranza operare nel rispetto dei diritti di tutti i soci – può condurre ad eccessi ed abusi di potere da parte del socio di maggioranza (o di chi abbia il relativo diritto di voto), suscettibili di integrare una causa, oltre che di annullabilità delle deliberazioni assembleari pur regolarmente adottate, del sorgere dell'obbligo di risarcire il danno cagionato agli azionisti di minoranza.

In tal caso, la fattispecie comune si individua in una deviazione dagli scopi sociali, consistente nella fraudolenta attività della maggioranza volta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e dei connessi diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci.

Il caso

Nel giudizio oggetto di esame, la Corte d'Appello di Milano confermava la decisione del Tribunale di Milano con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno proposta da alcuni piccoli azionisti a seguito della delibera assembleare (presa con il voto favorevole della creditrice pignoratizia per il 63% del capitale sociale, col voto contrario degli attori e con l'astensione della creditrice pignoratizia per il 2,67% del capitale sociale) di azzeramento del capitale di Euro 6.500.000 per perdite pari a Euro 21.608.664 e ricostituzione del capitale sociale a Euro 100.000.000 e di approvazione del progetto di fusione per incorporazione, con conseguente perdita dell'intera partecipazione sociale degli attori ed esclusione del diritto degli stessi (avendo perso la qualifica di soci) alla liquidazione della partecipazione per effetto della deliberata operazione di fusione.

La Corte territoriale, inter alia, riteneva che il danno patito dagli azionisti non fosse derivato dalla deliberazione di riduzione del capitale per perdite, ma dall'insorgenza delle perdite stesse.

Avverso questa sentenza veniva proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, tra i quali il quinto e il sesto fondati sulla violazione del principio neminem laedere e, dunque, sulla sussistenza di un'ipotesi di abuso della maggioranza allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci.

La Corte di Cassazione dichiarava inammissibili i motivi quinto e sesto anzidetti, in quanto nuovi; pur svolgendo una ricostruzione degli elementi costitutivi del cd. abuso di maggioranza.

Le questioni

Gli elementi costitutivi del cd. abuso di maggioranza

Nel nostro ordinamento non esiste una norma che identifichi espressamente la figura dell'abuso di potere nelle deliberazioni assembleari, anche se, da tempo, si ammette l'esistenza di tale fattispecie, riferendola alle ipotesi di applicazione non corretta del principio maggioritario (sull'abuso del potere o del diritto, si veda G. Alpa, La buona fede integrativa: note sull'andamento parabolico delle clausole generali, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell'esperienza storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdese (a cura di) L. Garofalo, Padova, I,2003, 156; F. Galgano, Qui suo iure abutitur neminem laedit?, in Contratto e Impresa, 2011, 311; G. Alpa, Appunti sul divieto dell'abuso del diritto in ambito comunitario e sui suoi riflessi negli ordinamenti degli stati membri, in Contratto e Impresa, 2015, 2, 245).

Più precisamente, tale figura giuridica non tipizzata si estrinseca nell'esercizio del diritto di voto da parte del socio di maggioranza a danno degli altri soci, tramite l'adozione di una delibera assembleare lesiva degli interessi della minoranza, ovvero in alternativa, in contrasto con l'interesse sociale.

Il cosiddetto abuso della regola di maggioranza (così come la diversa forma di abuso da parte della minoranza, che si estrinseca nell'esercizio [da parte di coloro che sono sistematicamente minoritari nelle votazioni assembleari e sistematicamente estromessi dall'esercizio del potere societario interno] di un potere che impedisca una deliberazione, mediante la manifestazione di voto contrario ovvero la mancata partecipazione alla riunione assembleare ovvero l'impugnativa pretestuosa avverso la delibera assembleare di approvazione del bilancio di esercizio) è stato, così, visto come una species del ben più ampio genus dell'abuso del diritto, al quale si riconducono tutte quelle ipotesi in cui un comportamento, che formalmente rappresenta l'esercizio di un diritto soggettivo, è sprovvisto di tutela giuridica o comunque illecito in quanto svolto in violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, ritenute concordemente da giurisprudenza e dottrina di applicazione generale a tutti i rapporti giuridici obbligatori e tra questi anche a quelli derivanti dal contratto di società. Si è, infatti, affermato che sussiste la figura dell'abuso quando la decisione dell'assemblea risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci di maggioranza allo scopo di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero per ledere i diritti del singolo partecipante (come ad esempio nel caso in cui, a quest'ultimo riguardo, lo scioglimento di una società sia indirizzato soltanto all'esclusione del socio) (si veda Cass.5 maggio 1995, n. 4923, in Mass. giur. it., 1995; Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151 in Giur. it., 1996, I, 1, 574; Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387, in Mass. giur. it., 2005; Cass. 17 luglio 2007, n. 15942, in Società, 2008, 3, 306; Cass. 17 luglio 2007, n. 15950, in www.leggiditalia.it; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361, in CED Cassazione, 2011; Cass. 17 febbraio 2012, n. 2334, in Riv. notariato 2012, 2, 448; Cass. 12 dicembre 2017, n. 29792, in Massima redazionale, 2018). Si consideri, in ogni caso che il sindacato del giudice circa la sussistenza di un abuso di maggioranza deve sempre essere un sindacato di legittimità, senza che possano mai essere assoggettati a controllo il merito o l'opportunità della decisione assunta dalla maggioranza (si veda Cass. 4 maggio 1994, n. 4323, in Foro it. 1995, I, 2219;Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, cit.; Cass. 11 giugno 2003, n. 9353, in Riv. notariato 2004, 216).

Prima di esaminare le ipotesi di abuso è, poi, utile sottolineare che i diritti di impugnazione e di risarcimento del danno nelle società per azioni devono ritenersi estesi a chiunque abbia per legge la legittimazione al voto (dunque, soci, titolari di strumenti finanziari partecipativi, creditori pignoratizi [come nel caso in esame] e usufruttuari – si vedano gli artt. 2351, 2352, 2373 e 2377 c.c.), mentre nelle società a responsabilità limitata la deliberazione può essere impugnata, oltre che dai soci ai sensi dell'art. 2479-ter c.c., dai creditori pignoratizi o dagli usufruttuari in base all'art. 2352 c.c. come richiamato dall'art. 2471-bis c.c.

Le ipotesi di abuso

(i) Una prima ipotesi è quella in cui la maggioranza abbia deliberato un aumento di capitale a seguito del quale la minoranza, trovandosi nella indisponibilità dei mezzi finanziari necessari alla sottoscrizione dell'aumento, abbia visto diluire la propria partecipazione sociale.

A riguardo in un noto caso giudiziario (si veda Trib. Milano 28 settembre 2006, in Giur. it., 2007, 387) indici dell'abuso sono stati considerati: i) la consapevolezza da parte di tutti gli altri soci che l'attrice non avesse mezzi per sottoscrivere l'aumento, anche per effetto della reiterata mancata distribuzione degli utili negli esercizi precedenti; ii) le modalità dell'aumento, ingentissimo e senza sovrapprezzo; iii) la tempistica dell'aumento, deciso in gran fretta e revocato subito dopo che l'attrice, a seguito di altre vicende sempre indotte dal comportamento della maggioranza, aveva ceduto la propria partecipazione a terzi; e infine iv) l'inconsistenza della motivazione (ossia una generica necessità finanziaria dovuta alla mancata riscossione di alcuni crediti) addotta dalla maggioranza per l'aumento stesso, che rendevano in realtà l'esclusione dell'attrice l'unica ragione plausibile della deliberazione (si veda anche Trib. Milano, Sez. Spec. Imprese, 20 gennaio 2017, n. 1157, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma, Sez. Spec. Imprese, 17 febbraio 2013, n. 3153, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Torino, Sez. Spec. Imprese, 5 novembre 2015, n. 6473, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Cass. 21 dicembre 1994, n. 11017 in Mass. Giur. it. 1994; Cass.4 maggio 1994, n. 4323, cit.).

(ii) Un secondo gruppo di pronunce giudiziarie riguarda le ipotesi di riduzione del capitale per perdite e successivi reintegrazione e aumento.

Di particolare interesse è la pronuncia della Corte d'Appello di Milano del 18 aprile 2000, in Società, 2000, 958, ove i giudici hanno ravvisato gli estremi dell'abuso di maggioranza giacché: i) il bilancio di esercizio che esponeva una perdita del capitale ex art. 2447 c.c. era stato redatto con riferimento ad un esercizio di durata inferiore all'anno, mentre nei mesi successivi erano state realizzate plusvalenze che, ove l'esercizio fosse stato chiuso al suo termine naturale, avrebbero portato ad una situazione patrimoniale in pareggio o comunque con perdita molto inferiore - plusvalenze che il Tribunale aveva accertato essere conosciute dagli amministratori al momento della deliberazione dell'assemblea; ii) la convocazione dell'assemblea era stata inviata al socio presso un domicilio che, pur corrispondente a quello risultante dal libro dei soci, era notoriamente indirizzo nel quale il socio non risiedeva né era domiciliato (si veda anche Cass. 7 marzo 1992, n. 2764, in Giur. comm., 1994, II, 588; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, in Notariato, 2009, 2, 134).

(iii) Altra ipotesi di abuso si ha quando la maggioranza deliberi lo scioglimento anticipato della società e l'esercizio del potere di voto risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinato dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci (si veda Cass. 29 maggio 1986, n. 3628, in Società, 1986, 1087; Cass. 5 maggio 1995, n. 4923, cit.; Cass. 26 ottobre 1995, n. 11151, cit.; Cass. 12 dicembre2005, n. 27387, cit.).

(iv) Altri casi di abuso da parte del socio maggioritario possono, poi, sussistere nelle ipotesi di deliberazione di modifica dello statuto sociale.

Si segnala, a riguardo, la pronuncia del Tribunale di Milano del 22 gennaio 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, relativa ad una decisione di eliminazione della clausola di prelazione dallo statuto, per la quale “l'eliminazione della previsione statutaria che prevede il diritto di prelazione è possibile intanto in quanto essa non elimini anche nel contempo il diritto di prelazione esercitabile dal socio al momento della deliberazione o in un momento subito successivo”.

Risulta di interesse anche la pronuncia del Tribunale di Vicenza del 31 ottobre 2005, in Giur. comm., 2007, 2, I, 390, relativa ad una deliberazione con la quale era stata introdotta nello statuto sociale una clausola di prelazione c.d. impropria (mediante affidamento della determinazione del prezzo di cessione delle partecipazioni ad un arbitraggio), escludendosi, al contempo, il diritto di recesso ai sensi dell'art. 2437, comma 1, lett. e) c.c. (si veda anche Trib. Torino, 26 novembre 2004, in Giur. it., 2005, 751; Trib. Milano, Sez. VIII, 22 dicembre 2014, in Giur. comm., 2016, 4, II, 899; Cass. 14 marzo 2016, n. 4967, in CED Cassazione, 2016).

(v) Anche in materia di mancata distribuzione degli utili può rilevare l'abuso di potere della maggioranza e, così, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “il diritto alla ripartizione degli utili sorge con l'adozione della relativa delibera e che la decisione assembleare di sospenderne l'attuazione può quindi essere correttamente sindacata soltanto ove sia configurabile una manovra della maggioranza volta a procurarsi una posizione di vantaggio in danno di altri soci” (così si veda Cass 11 marzo 1993 n. 2958, in Riv. dir. comm., 1994, II, 311 e Cass. 29 gennaio 2008 n. 2020, in Società, 2008, 8, 974)

Si veda anche Trib. Milano, Sez. III, 28 maggio 2007, in Giur. it., 2008, 1, 130, che ha riconosciuto carattere abusivo alla deliberazione che ha negato la distribuzione degli utili realizzati nei tre esercizi precedenti consecutivi nonostante la consistente misura degli utili stessi, in presenza da un lato di una situazione di conflittualità tra i soci e dall'altro dell'assenza di ragioni che indicassero la necessità di accantonare gli utili a riserva.

Le conseguenze dell'abuso: l'invalidità della deliberazione e il risarcimento del danno

L'art. 2377 c.c. e l'art. 2479-ter c.c., dettati rispettivamente per le S.p.A. e per le S.r.l., stabiliscono regole di applicazione generale che permettono di colpire con la sanzione dell'annullabilità ogni situazione (e così le situazioni di abuso della maggioranza) che, pur non espressamente regolata, mostri di essere incoerente con le norme di legge o con le previsioni dello statuto della società.

Quanto alla titolarità del diritto di impugnazione si è già detto supra nel paragrafo 1., mentre è qui interessante osservare che l'annullamento della deliberazione non può aver luogo, se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto (si veda Cass. 7 febbraio 1979, n. 818, in Giust. civ. mass., 1979, 2; Cass. 4 maggio 1994, n. 4323, cit.; Cass. 21 novembre 1998, n. 11801, in Giur. it., 1999, 562; Cass. 7 novembre 2008, n. 26842, cit.; Cass. Ord., 27 febbraio 2013, n. 4946, in CED Cassazione, 2013; Trib. Roma, Sez. spec. Imprese, 17 novembre 2017, in www.leggiditalia.it; Trib. Milano, 5 settembre 2018, n. 8861 in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

Nelle S.p.A. (ove sono previste soglie di sbarramento all'impugnazione - assenti, invece, nelle società a responsabilità limitata, in funzione delle diverse caratteristiche di tale tipo societario - che devono permanere in capo agli impugnanti per tutta la durata del procedimento), poi, in base all'art. 2377, comma 4 c.c., coloro che non siano legittimati all'impugnazione in quanto, appunto, non rappresentino la percentuale di capitale richiesta oppure non siano titolari del diritto di voto hanno la possibilità di ricorrere ad una forma di tutela risarcitoria.

La norma rappresenta un evidente contrappeso rispetto alle limitazioni del diritto di impugnare anzi indicate. In ogni caso, deve condividersi l'impostazione per cui la tutela risarcitoria prevista dall'art. 2377, comma 4 c.c., presenta, pur sempre, carattere subordinato o dipendente rispetto alla tutela reale costituita dal promovimento dell'azione di annullamento; e ciò risponde alla necessità di non distrarre a beneficio individuale dei soci le risorse patrimoniali destinate al conseguimento dell'oggetto sociale, alla realizzazione dello scopo lucrativo e alla garanzia dei creditori (si veda App. Milano, 27 settembre 1983 in Giust. civ., 1984, I, 1273; Trib. Milano, 11 luglio 1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 830; Trib. Napoli, Sez. spec. Imprese, Ord., 2 aprile 2019, in Società, 2019, 10, 1129; Cass. 25 maggio 2006, n. 12401, in Società, 2006, 9, 1105).

Osservazioni

Alla luce di quanto sopra indicato, è qui interessante osservare che la sentenza in commento si pone in continuità con l'orientamento della Suprema Corte, per il quale le norme degli artt. 1175 e 1375 c.c. sui principi di buona fede e correttezza svolgono una funzione integrativa del contratto sociale, costituendo “motivo di invalidità della delibera la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, ovvero risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto” (si veda Cass. 17 luglio 2007, n. 15950, cit.). La prova dell'esercizio fraudolento o ingiustificato del potere di voto, che può aversi in presenza di indici oggettivi che consentano di accertare la violazione dei principi suddetti o di indizi cronologicamente successivi in grado di rivelare ex post la sussistenza di tale violazione, è a carico della parte che invoca l'abuso (si veda Cass. 12 dicembre 2005, n. 27387, cit.; Cass. 17 luglio 2007, n. 15950, cit.; Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361, cit.).

Conclusioni

Sembra interessante, in conclusione, riportare una massima della giurisprudenza di legittimità, nella quale sono espressi in sintesi tutti gli elementi costitutivi della figura del cd. abuso di maggioranza: “la delibera di un'assemblea, sia essa di soci, di condomini o di associati (nel caso di specie, assemblea di un Fondo pensione tra ex dipendenti di banca) può essere annullata per abuso o eccesso di potere solo quando, anche se adottata nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, risulti arbitraria e fraudolentemente preordinata al solo perseguimento, da parte della maggioranza, di interessi diversi da quelli della compagine associativa oppure volutamente lesivi degli interessi degli altri soci, e sia priva di una propria autonoma giustificazione causale sulla base dei legittimi interessi dei soci di maggioranza; grava su chi impugna la delibera l'onere di fornire la dimostrazione dell'effettiva sussistenza dell'abuso o dell'eccesso di potere” (si veda Cass. 19 aprile 2003, n. 6361, in Mass. giur. it., 2003).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.