L'inadempimento dell'obbligo di sicurezza, accertato con criteri civilistici, fa venir meno lo scudo del parziale esonero
30 Luglio 2020
Massima
In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dal d.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 e 11, deve essere interpretata nel senso che l'accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del cd. danno differenziale, sia nel caso dell'azione di regresso proposta dall'INAIL, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all'elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale tra fatto ed evento dannoso. Il caso
In conseguenza della prolungata esposizione professionale alle polveri di amianto, un lavoratore riportava un mesotelioma pleurico, indennizzato poi dall'INAIL, anche con l'erogazione della rendita ai superstiti, a causa del suo decesso.
Successivamente sia gli eredi del lavoratore sia l'INAIL agivano in giudizio nei confronti del datore di lavoro per ottenerne la condanna, i primi, al risarcimento del danno differenziale e complementare, il secondo, al rimborso delle prestazioni economiche in precedenza erogate.
Accertata la responsabilità civile della società datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., a causa dell'esposizione prolungata alle polveri di amianto senza adozione di idonee misure protettive e di prevenzione, entrambi i giudici di merito accoglievano sia la domanda degli eredi del lavoratore deceduto sia l'azione di regresso dell'INAIL.
La società datrice di lavoro, con una pluralità di motivi di ricorso per cassazione, ha chiesto l'annullamento della sentenza di condanna, dolendosi, per quanto interessa questa nota, dell'esclusione dell'esonero dalla responsabilità civile datoriale nei confronti degli eredi del lavoratore deceduto e dell'INAIL che ha agito in regresso, pur in assenza del presupposto che sarebbe costituito esclusivamente dalla condanna penale per il fatto dal quale l'infortunio (o la malattia professionale) è derivato, da intendere anche come accertamento di responsabilità in sede civile, ma secondo i principi e le regole proprie del processo penale. La questione
La questione, avente valenza nomofilattica, esaminata dalla Corte di cassazione è la seguente:
al fine del superamento della regola del parziale esonero l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro in caso di azione del lavoratore proposta per il risarcimento del danno cd. "differenziale" derivante da infortunio o malattia professionale e, per connessione, nell'ipotesi di azione di regresso esercitata dall'INAIL deve avvenire con criteri penalistici o civilistici?
La soluzione
La Suprema Corte, con ampia e pregevole motivazione, che si confà ad una sentenza resa a sezioni unite, respinge la doglianza proposta e conferma la sentenza di merito, con cui la responsabilità datoriale era stata accertata con criteri civilistici e non penalistici. Si tratta di esito a cui era già pervenuta la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9817/2008; Cass. n. 10529/2008; Cass. n. 21590/2008; Cass. n. 15078/2009), smentito in rare occasioni (Cass. n. 15715/2012, secondo cui in tema di azione di regresso grava sull'INAIL l'onere di allegare e provare il fatto-reato, nei suoi elementi costitutivi), ma senza stabilire, nell'uno come nell'altro caso, se la regola del parziale esonero avesse conservato la sua effettività, della cui persistenza, invece, si era dubitato in ambito dottrinale.
La Magistratura superiore applica le regole comuni della responsabilità contrattuale, affermando per la prima volta il superamento del modello della transazione sociale, su cui era storicamente fondata la regola del parziale esonero (art. 10, d.P.R. n. 1124/1965), confermando quello che si era rivelato come l'orientamento maggioritario, che aveva ritenuto sufficienti le regole probatorie di cui agli artt. 1218 e 2087 c.c., per accogliere sia la domanda di danno differenziale proposta dal lavoratore (Cass. n. 29041/2018; Cass. n. 26995/2018; Cass. n. 27669/2017; Cass. n. 4970/2017; Cass. n. 21882/2016), sia quella dell'Istituto in via di regresso (Cass. n. 26497/2018; Cass. n. 21563/2018; Cass. n. 5385/2018; Cass. n. 22714/2017; Cass. n. 12561/2017; Cass. n. 2138/2015).
In particolare, la Corte riconosce che rispetto al contesto originario la norma contenuta nell'art. 10, d.P.R. n. 1124/65, avesse subito profondi mutamenti, derivati essenzialmente:
Oltre al superamento della logica transattiva legata alle origini dell'assicurazione obbligatoria, osserva ancora la Corte, l'accertamento del fatto materiale di reato demandato al giudice civile deve essere operato con criteri civilistici presuntivi anche per coerenza di sistema, essendo stato già applicato per riconoscere sia l'applicazione dell'eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, anche all'azione di risarcimento ex art. 2043 c.c. (Cass. s.u. 18 novembre 2008, n. 27337) sia il risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di una concreta fattispecie di reato, come impone invece l'art. 185 c.p., in presenza di una fattispecie corrispondente nella sua oggettività all'astratta previsione di una figura di reato (Cass. nn. 8827 – 8828/2003; Corte cost. n. 233/2003).
L'applicazione delle regole della responsabilità contrattuale, aggiunge la Corte, evita il sorgere di una disparità di trattamento tra lavoratori assicurati e non perché “pretendere in tali casi che il giudice civile operi con gli strumenti penalistici significherebbe oggettivamente aggravare la posizione del lavoratore danneggiato, sottoponendo il medesimo ad un trattamento deteriore - quanto al danno cd. "differenziale" - rispetto a quello destinato a qualsiasi altro danneggiato che può ottenere il risarcimento integrale avvalendosi delle più agevoli regole di accertamento della responsabilità civile. Disparità di trattamento che presenterebbe profili di tensione con l'art. 3 Cost., in combinato disposto con l'art. 38 Cost., che conferisce una speciale protezione ai lavoratori in caso di infortunio e malattia, per cui non sarebbe giustificato che costoro fossero meno tutelati rispetto a qualsivoglia altro cittadino e proprio in un momento di maggiore bisogno e di difficoltà”.
La Corte ritiene analogamente applicabili i criteri civilistici di accertamento della responsabilità anche all'azione di regresso, con ulteriori argomenti:
Infine, la Suprema Corte, escludendo che l'applicazione delle regole civilistiche possa essere interpretata come il definitivo tramonto della regola del parziale esonero, precisa che:
Osservazioni
La soluzione dettata dalla Cassazione è senza dubbio condivisibile, laddove applica indistintamente i criteri civilistici di accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro, a prescindere se il lavoratore chieda il risarcimento dei danni complementari o differenziali ed anche con riferimento all'azione di regresso esperibile dall'INAIL.
Si tratta di decisione innovativa, almeno a livello giurisprudenziale, considerato che la magistratura, costituzionale o di legittimità, non aveva sinora espressamente archiviato la logica transattiva delle origini dell'assicurazione obbligatoria, nonostante il fondamento costituzionale della protezione sociale (Corte cost. n. 22/1967; Corte cost. n. 134/1971), non più basata sul principio del rischio professionale.
Dopo solo tre anni dall'ultima corposa sentenza con cui la Corte ribadiva, sulla base della regola del parziale esonero, la vigenza di un sistema binario di accertamento della responsabilità civile gravante sul datore di lavoro, distinguendo ancora l'onere di allegazione e prova per ottenere il risarcimento del danno differenziale e complementare (Cass. n. 9166/2017), con la sentenza in esame viene avviata una nuova stagione caratterizzata dall'omogeneità delle regole per ottenere il risarcimento integrale del pregiudizio fisico riportato dall'infortunato, a prescindere dal fatto che il danno sia compreso o meno nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria, proprio perché il lavoratore non deve “subire in giudizio un aggravamento dei carichi probatori che non subisce qualsiasi altro danneggiato soggetto al diritto comune”; ma non senza tentennamenti a causa del riconoscimento della valenza ridotta dell'esonero, giustificata sulla base del dettato normativo, pur se privo del suo originario valore semantico.
In realtà, l'abbandono della logica transattiva delle origini, legata alla corrispettività tra premio ed esonero, in favore di una funzione di socializzazione del rischio e di tutela previdenziale imposta dall'art. 38 Cost., come anche il riconoscimento costituzionale del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona umana, non possono che determinare la crisi irreversibile di legittimità ed effettività della regola del parziale esonero, anche nelle ipotesi residuali individuate dalla Corte.
Una volta ammesso che il premio versato dal datore di lavoro serva solo a finanziare la tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali in vista dello "scopo di garantire con la massima efficacia la tutela fisica e sanitaria dei lavoratori" e che la vittima dell'infortunio sul lavoro sia titolare di “veri e propri diritti di prestazione” (Corte cost. n. 160/1974), aventi natura di diritti sociali fondamentali ex art. 38, comma 2, Cost., il parziale esonero non ha più un fondamento giuridico, diventando una limitazione arbitraria, non più costituzionalmente giustificabile perché, come osserva correttamente la Corte, produce “una disparità di trattamento tanto più irragionevole perché destinata a consumarsi nella sfera protetta dal riconoscimento costituzionale del diritto alla salute quale diritto fondamentale ed inviolabile della persona umana”.
Dovendosi conformare al principio dell'integrale riparazione del pregiudizio quale aspetto essenziale della tutela risarcitoria dei valori non patrimoniali dell'individuo, non resta che attendere un'altra occasione propizia per intonare il de profundis all'esonero, attribuendo al lavoratore infortunato il diritto al risarcimento del danno differenziale anche se il delitto di lesioni personali colpose sia perseguibile a querela ovvero il ristoro integrale se non abbia effettivamente ricevuto l'indennizzo erogabile dall'INAIL, applicando al fatto illecito commesso dal datore di lavoro il divieto di cumulo di indennizzo previdenziale e risarcimento del danno (Cass. s.u. 22 maggio 2018, n. 12566), solo quando l'infortunato abbia riscosso le prestazioni economiche, soluzione, peraltro, caldeggiata dalla Consulta in caso di intervenuta prescrizione delle prestazioni dovute dall'INAIL(Corte cost. 26 febbraio 1993, n. 71).
La motivazione della sentenza in esame non è rimasta isolata, ma è stata ribadita pochi giorni dopo con riferimento all'azione di regresso a cui va applicato il regime probatorio contrattuale di cui agli artt. 1218 e 2087 c.c. valevole per l'azione esercitata dal lavoratore per ottenere il risarcimento del danno differenziale, poiché “oltre che dal processo di affrancamento della protezione sociale del lavoratore dagli schemi e dalle categorie del diritto penale, l'allargamento della possibilità di accertamento del fatto reato attraverso l'impiego degli stessi schemi della responsabilità civile contrattuale ex art. 1218 c.c. discende dall'evoluzione impressa dalla giurisprudenza all'azione di regresso dell'INAIL. Ed anzitutto dal suo fondamento solidaristico, in quanto mezzo volto al reperimento delle risorse per rispondere ai bisogni di tutti i lavoratori infortunati ex art. 38 Cost. a prescindere dalla responsabilità civile, dalla colpa del lavoratore e dal pagamento di contributi” (Cass. n. 12465/2020). |