IVA: è possibile emettere una nota di variazione in diminuzione anche se la disposizione normativa fa venire meno un credito

Fabio Gallio
30 Luglio 2020

Con la risposta n. 107/2020, l'Agenzia delle Entrate ha sostenuto che, nel caso in cui venga meno un credito a causa di una disposizione normativa, è possibile, ai fini IVA, emettere una nota di variazione in diminuzione. Ciò, però, non preclude, come sostenuto in altri documenti di fonte erariale, la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa. Inoltre, è stato chiarito che è possibile emettere un'unica nota dal momento che la disposizione normativa ha disposto la cancellazione automatica dei debiti ed è sempre possibile individuare il debitore.
Premessa

Con la risposta n. 107 del 16 aprile 2020, fornita a seguito alla presentazione di un'istanza di interpello, l'Agenzia delle Entrate si è occupata della problematica relativa alle note di variazione IVA da emettere qualora una disposizione normativa ha sancito l'annullamento ex lege dei ruoli relativi alla TIA.

In particolare, l'istante gestisce i servizi inerenti alla raccolta, al trasporto e allo smaltimento dei rifiuti urbani e, per gli anni 2006, 2007 e 2008, si è occupata altresì per conto di un Comune dell'applicazione e della riscossione della Tariffa ai sensi dell'art. 49, commi 9 e 13, del D.Lgs. n. 22/1997 (c.d. T.I.A.)

Per il pagamento dell'utenza, la società ha emesso fattura composta dalla Tariffa e dalla relativa IVA, assolvendo al contempo all'obbligo di pagamento del tributo che è stato versato all'Erario all'atto dell'emissione.

A seguito di un'espressa disposizione di una normativa speciale sopravvenuta (si tratta dell'articolo 4, comma 1, d.l. n. 119 del 2018, che ha previsto lo stralcio automatico dei debiti fino a 1.000 euro affidati all'Agente della riscossione dal 2000 al 2010), l'operazione, per la quale è stata originariamente emessa fattura, è venuta meno in tutto o in parte a causa del venir meno in tutto o in parte del prezzo dovuto, corrispondente al debito di importo residuo fino a mille euro.

Pertanto, è stato chiesto all'Agenzia delle Entrate, se è possibile recuperare l'IVA non incassata ma versata all'erario ed in che modo recuperarla.

Tra gli altri quesiti, è stato richiesto se sussistano i presupposti per l'emissione da parte della società delle note di variazione in diminuzione ai sensi dell'articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Prima di procedere è opportuno soffermarsi brevemente sulla normativa delle variazioni ai fini IVA.

Il quadro normativo

Si deve ricordare che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972.

Le principali fattispecie che consentono l'emissione delle note di variazione in diminuzione sono le seguenti:

  • dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili (art. 26 co. 2 primo periodo del d.P.R. n. 633/72);
  • mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente, a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (art. 26 co. 2 secondo periodo del d.P.R. n. 633/72);
  • applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente (art. 26 co. 2 terzo periodo del d.P.R. n. 633/72);
  • rettifica di inesattezze della fatturazione (articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972);
  • risoluzione contrattuale, relativa a contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento di una delle due parti; tipicamente, il mancato pagamento del corrispettivo da parte del cessionario o committente (art. 26 co. 9 del d.P.R. n. 633/72). In merito si ricorda che l'Agenzia delle Entrate ritiene che, laddove le parti abbiano pattuito una clausola risolutiva espressa (art. 1456 c.c.) e il fornitore si avvalga della suddetta clausola per "supposto" mancato adempimento della controparte che contesta l'addebito in sede giudiziale, l'emissione della nota di variazione in diminuzione è subordinata all'esito del giudizio (Cfr. principio di diritto del 2.4.2019 n. 13).

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo Regio decreto n. 267 del 1942 (di seguito anche legge fallimentare), pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, la nota di variazione deve essere emessa, al più tardi, entro i termini per l'esercizio della detrazione IVA ex art. 19 co. 1 del d.P.R. n. 633/72, vale a dire entro la data di presentazione della dichiarazione IVA relativa all'anno in cui si è verificato il presupposto per operare la variazione in diminuzione (Cfr. Circolare n. 1/E/2018).

E' stato, infatti, chiarito che "le variazioni possono essere effettuate senza limiti temporali, anche se il diritto alla detrazione dell'imposta può essere esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si verifica il presupposto per operare la variazione in diminuzione "(cfr. risoluzione n. 89/E del 18 marzo 2002).

Si ricorda che, per effetto delle modifiche recate all'articolo 19, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 dall'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, "Il diritto alla detrazione dell'imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l'imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all' anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo.". A norma del successivo comma 2-bis, tale disposizione si applica alle fatture e alle bollette doganali emesse dal 1° gennaio 2017.


Pertanto, laddove il dies a quo per l'emissione delle note di variazione sia antecedente il 1° gennaio 2017, il diritto alla detrazione può essere esercitato "con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto"; a decorrere invece dal 1° gennaio 2017, la detrazione può essere esercitata al più tardi "con la dichiarazione relativa all'anno in cui il diritto alla detrazione è sorto" (cfr. risposta interpello Agenzia Entrate del 18.12.2018 n. 113).

Le variazioni IVA per i casi non contemplati dalla normativa

Nella risposta n. 107/2020, l'Agenzia ha ritenuta che la fattispecie esaminata è riconducibile agli eventi “simili” di cui al comma 2 dell'articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, che permettono, al contrario di quelli stabiliti dal comma 3, l'emissione di una nota di variazione ai fini IVA dopo il decorso di un anno dal momento di effettuazione delle operazioni originarie.

In particolare, il comma 2 del citato articolo 26 riconosce al cedente il diritto di portare in detrazione l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25 del medesimo d.P.R., quando l'operazione viene meno in tutto o in parte "in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili" nonché "per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose".


La prima parte dell'anzidetta disposizione prevede la possibilità di effettuare la variazione in diminuzione dell'IVA a fronte di vari eventi, tra cui i vizi genetici del rapporto (quali la nullità, l'annullabilità e "simili"), giudizialmente accertati (Risposta interpello Agenzia Entrate 7.8.2019 n. 331).

Sempre secondo l'Agenzia delle Entrate, tra i casi "simili" è possibile ricondurre tutte quelle cause in grado di determinare una modificazione dell'assetto giuridico instaurato tra le parti, caducando in tutto o in parte con effetto ex tunc gli effetti dell'atto originario, in particolare per ciò che attiene ai corrispettivi economici delle operazioni (Risposta interpello Agenzia Entrate 19.3.2019 n. 77). Inoltre, è stato chiarito che le ipotesi di risoluzione, recesso, revoca e simili del contratto possono riguardare tutto il contratto oppure alcune parti di esso, e nella pratica si manifestano attraverso atti di accertamento negoziale o sentenze, tra le quali è possibile ricondurre il lodo arbitrale rituale (Risposta interpello Agenzia Entrate 14.2.2019 n. 55).

Infatti, come precisato in altro documento dell'Agenzia delle Entrate (Con risoluzione 31 marzo 2009, n. 85), il citato articolo 26, secondo comma, riferendosi anche alle figure "simili" alle cause "di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione", consente un'accezione ampia delle ragioni per le quali un'operazione fatturata può venir meno in tutto o in parte o essere ridotta nel suo ammontare imponibile; ciò che conta, difatti, è che la variazione e la sua causa siano registrate a norma degli articoli 23, 24 e 25 del d.P.R. n. 633 del 1972.

In merito si ricorda che anche la Suprema Corte ha sancito che, in base all'articolo 26 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, le ragioni per le quali un'operazione fatturata viene meno in tutto o in parte o sia ridotta nel suo ammontare imponibile possono essere varie e possono consistere, non solo nella nullità, nell'annullamento, nella revoca, nella risoluzione, nella rescissione, ma anche in ragioni cui la legge rinvia per il fatto che esse sono ‘simili', ed anche a mancato pagamento, ad abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Quel che conta, per volontà del legislatore, è, perciò, non tanto la modalità con cui si manifesta la causa della variazione dell'imponibile dell'IVA, quanto piuttosto che della variazione e della sua causa si effettui registrazione ai sensi degli artt. 23, 24 e 25 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Sentenza della Corte di Cassazione civile del 6 luglio 2001, n. 9195).

Tra i casi esaminati dall''Agenzia delle Entrate, vi rientra anche quello che prevedeva la riduzione di un corrispettivo conseguente alla riduzione del costo della manodopera, relativamente al quale è stato precisato che poteva essere assimilata alla riduzione del prezzo effettuata in "applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente", contemplata dal secondo comma dell'articolo 26 quale presupposto per poter operare la variazione in diminuzione senza limiti di tempo; ciò ovviamente sempreché la riduzione del corrispettivo non fosse frutto di un accordo sopravvenuto e che la clausola contrattuale, in applicazione della quale venisse ridotto l'originario corrispettivo, fosse esistente, valida ed applicabile (Risoluzione Agenzia Entrate 17.2.2009 n. 42).

Recentemente, l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto che un accordo transattivo può rientrare nella categoria degli eventi "simili" di cui al comma 2 dell'articolo 26 del DPR n. 633 del 1972, anche se la nota di variazione in diminuzione, nella fattispecie esaminata, doveva essere emessa entro un anno dal momento della effettuazione dell'operazione originaria (Risposta interpello Agenzia Entrate 11.7.2019 n. 227; Così anche Risposta interpello Agenzia Entrate 3.6.2019 n. 178).

Al fine di emettere la nota di variazione è sempre stato sostenuto che deve essere assicurata l'"identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili" (Corte di cassazione sentenza 06 luglio 2001, n. 9188 e 2 giugno 1999, n. 5356).

Nella riposta 107/2020 in esame, si è ritenuto ragionevole l'emissione di un'unica nota di variazione riepilogativa di tutte le operazioni stralciate ex lege, in considerazione del fatto che, non solo può essere gravoso per il creditore rintracciare ogni singolo debitore, ma anche perché la disposizione normativa del discarico dei ruoli dispone la cancellazione automatica dei debiti in questione, senza alcuna richiesta in tal senso da parte dei debitori e dell'ente creditore.

Alcune considerazioni

La risposta ad interpello in esame chiarisce anche come la società istante potrebbe recuperare l'IVA versata all'erario.

Il recupero dell'IVA assolta potrebbe avvenire mediante presentazione di una dichiarazione IVA integrativa "a favore" (Cfr. art. 8 co. 6-bis del d.P.R. n. 322/98), ma va evidenziato che l'Agenzia delle Entrate (Risposta interpello del 14.2.2019 n. 55), in un'altra occasione, ha stabilito che, se la nota non è stata emessa entro il termini concessi per la detrazione, tale procedimento non sarebbe ammesso, in quanto mancherebbero i relativi presupposti, non ravvisandosi alcun errore ed omissione cui rimediare con riferimento all'anno di emissione della fattura originaria. L'emissione di una nota di variazione in diminuzione, secondo la tesi erariale, sarebbe una facoltà cui il contribuente può rinunciare.

Ciò sarebbe giustificato dal fatto che l'emissione di una nota di variazione produce effetti diversi dalla dichiarazione integrativa. Mentre la prima assicura che sia rispettato il principio di neutralità dell'IVA (al diritto alla detrazione in capo a colui che emette la nota di variazione corrisponde l'obbligo di iscrivere l'imposta a debito per chi la riceve), la dichiarazione integrativa consente il solo recupero dell'imposta versata in misura superiore ma non anche il riversamento da parte di chi l'ha detratta.

Tale tesi sembrerebbe superato dalla risposta 107/2020 in commento, dal momento che è stata prevista anche la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa.

In ogni caso, onde evitare che venga violato il principio di neutralità dell'IVA, si potrebbe ritenere possibile richiedere il rimborso dell' IVA versata all'erario. Infatti, come sottolineato dalla stessa Agenzia delle Entrate (Nella Risoluzione n. 74/E del 19 aprile 2007), nel caso in cui non sia possibile recuperare il credito attraverso la dichiarazione, il contribuente ha la possibilità di recuperare il credito Iva solo attraverso il procedimento del cosiddetto rimborso anomalo di cui al citato art. 21 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Si ricorda che tale articolo sancisce che la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

Inoltre, ora è possibile invocare anche quanto sancito dall'art. 30-ter del d.P.R. 633/1972, secondo cui la restituzione dell'imposta non dovuta può essere richiesta, a pena di decadenza, all'Erario entro il termine biennale dalla data del versamento, ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione (Per un maggiore approfondimento in merito a tale novità normativa, si rinvia alla Circolare di Assonime n. 12 del 31 maggio 2018).

Tale conclusione troverebbe conferma in altra risposta interpello dell' Agenzia delle Entrate (del 13 giugno 2019 n. 190), con la quale è stato chiarito che quando il cliente non può recuperare l'IVA, mediante la nota di variazione, dal cessionario in amministrazione straordinaria può presentare all'Erario la domanda di restituzione ex art. 30-ter del DPR 633/72.

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