La l. n. 77/2020 in tema di proroga del termine dei contratti
31 Luglio 2020
In fase di conversione in legge del decreto Rilancio (D. L. 34/2020 convertito con L. 77/2020), è stato aggiunto il comma 1-bis all'articolo 93 (Disposizioni in materia di proroga o rinnovo di contratti a termine e di proroga di contratti di apprendistato), che regolamenta la durata dei Contratti a Termine, anche in regime di somministrazione, e dei contratti di apprendistato.
Il primo comma dell'articolo 93 è rimasto invariato: “1. In deroga all'articolo 21 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all'emergenza epidemiologica da COVID-19, è possibile rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020, anche in assenza delle condizioni di cui all'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81.”.
E' evidente, pertanto, che la legge di conversione non ha modificato la possibilità, per il datore di lavoro, di prorogare e/o rinnovare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato (anche a scopo di somministrazione), senza l'obbligo di prevedere una causale tra quelle indicate al primo comma dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 81/2015.
In particolare, la possibilità di prorogare il termine dei contratti a termine è condizionata alla circostanza che questi ultimi fossero in essere alla data del 23 febbraio 2020.
Quanto alla durata di questa possibile proroga, il Ministero del Lavoro ha chiarito, con una FAQ pubblicata sul proprio sito, che è solo la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato, prorogato o rinnovato in base a tale disposizione, che non potrà superare la data del 30 agosto 2020. Infatti, nonostante le prime ipotesi, il Ministero ha così precisato che non è la stipula della proroga a poter intervenire entro il 30 agosto ma, si ribadisce, è la durata del rapporto che può giungere sino a tale data.
Per concludere sul primo comma dell'art. 93, in base a quanto disposto dall'articolo 19-bis del decreto Cura Italia (legge n. 27/2020, di conversione del decreto-legge n. 18/2020), il rinnovo potrà essere stipulato senza il rispetto del cd. stop & go e cioè di quella vacanza obbligatoria prevista tra due contratti a tempo determinato (articolo 21, comma 2, del Decreto Legislativo n. 81/2015).
Per chiarezza in tema rinnovo, secondo quanto stabilito dal Ministero del Lavoro, con la circolare n. 17 del 31 ottobre 2018, per rinnovo deve intendersi anche il contratto a tempo determinato stipulato dopo che tra le parti vi sia stato un precedente rapporto di somministrazione a termine.
Venendo alle modifiche apportate in fase di conversione del decreto Rilancio all'articolo 93, come accennato, è stato aggiunto il seguente comma 1-bis: “1-bis.Il termine dei contratti di lavoro degli apprendisti di cui agli articoli 43 e 45 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, e dei contratti di lavoro a tempo determinato, anche in regime di somministrazione, è prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell'attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.”.
Nella trascritta norma viene disposto, come risulta chiaro dalla lettura, che il termine dei contratti di lavoro relativi ai rapporti di apprendistato di primo livello (apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore) e di apprendistato di terzo livello (di alta formazione o di ricerca), sia prorogato di una durata pari al periodo di sospensione dell'attività lavorativa, prestata in forza dei medesimi contratti, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.
La legge impone un obbligo e, quindi, il datore di lavoro e il lavoratore non possono decidere diversamente.
In tema di apprendistato la norma richiama gli artt. 43 e 45 del Decreto Legislativo 81/2015 escludendo, pertanto, dalla proroga ex lege, l'apprendistato professionalizzante per il quale sussiste già una norma di salvaguardia analoga al comma 1bis all'esame, l'art.2 comma 4 d. lgs. 148/2015, che statuisce che “… il periodo di apprendistato è prorogato in misura equivalente all'ammontare delle ore di integrazione salariale fruite”.
Quindi, per riassumere, la norma all'esame impone il prolungamento della durata, inizialmente prevista, del contratto di apprendistato e del contratto a termine, anche in regime di somministrazione, stipulato tra le parti, per un periodo di tempo corrispondente alla sospensione dell'attività lavorativa. A condizione che tale sospensione sia direttamente connessa all'emergenza sanitaria da COVID-19.
La prima lettura della norma dà subito l'impressione non solo che il legislatore abbia travalicato i limiti della costituzionalità (pensiamo alla libertà d'impresa di cui all'art. 41 Cost.), ma anche che abbia introdotto una norma meramente impositiva per un periodo nel quale è schiacciante l'incertezza dell'immediato futuro.
Obbligare le aziende che, prima della dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria, avevano valutato le proprie necessità di implementare l'organico in ragione di valutazioni ponderate sul fabbisogno organizzativo che produttivo, appare una ingerenza eccessiva.
Ciò anche perché il legislatore, con la norma all'esame, impone alle aziende di farsi carico non solo di gestire un'ulteriore prestazione lavorativa, ma anche della conseguente retribuzione e contribuzione che non sempre potrà rispondere ad una concreta esigenza produttiva.
In buona sostanza il legislatore, per il tramite della proroga ex lege del termine dei contratti, sta facendo assistenzialismo, imponendone il costo ai datori di lavoro poiché, quei datori che hanno attivato l'ammortizzatore, si vedono neutralizzato il risparmio ottenuto, a causa dell'introduzione della proroga ex lege pari alla durata del contratto a termine.
Non solo, quei datori che, avendone la possibilità, hanno deciso di prorogare i contratti a termine, magari a seguito della chiusura nel primo periodo emergenziale, facendo uso del primo comma (così intendendo neutralizzare il periodo di inattività), si troveranno a dover subire una ulteriore proroga del rapporto. Forse la proroga in ragione del primo comma doveva ragionevolmente essere scomputata dalla proroga ex lege.
Stanti le problematiche connesse, forse sarebbe stato più rispondente alle esigenze del periodo rafforzare la Naspi.
Venendo adesso ad una prima lettura della norma in tema di apprendistato ci si può chiedere se il datore che intenda qualificare l'apprendista possa disapplicare la norma.
Il dato letterale dovrebbe condurre ad una risposta negativa, cioè il datore, in astratto, dovrebbe prorogare il rapporto già interrotto per l'emergenza sanitaria e per un periodo di pari durata, solo dopo potrebbe procedere con la qualificazione. In concreto, però, si potrebbe procedere tranquillamente con la qualificazione poiché nessuno avrebbe interesse ad impugnarla. In particolare, infatti, nel caso della qualificazione ante-tempus, il lavoratore si gioverebbe della stabilizzazione del rapporto e l'ente previdenziale riceverebbe una contribuzione completa anziché ridotta, come previsto per il periodo di apprendistato.
Diversamente, se l'azienda decidesse di non qualificare l'apprendista, allora il contratto dovrebbe essere prorogato di un periodo pari a quello della -eventualmente- intervenuta sospensione del rapporto a causa dell'emergenza sanitaria da COVID-19 e solo allora potrebbe essere comunicato il recesso. Infatti un recesso che dovesse intervenire ignorando il periodo di sospensione (ed il conseguente obbligo di proroga) sarebbe un recesso a rischio di impugnazione, poiché intervenuto nell'ignoranza dei tempi previsti dall'articolo 42, comma 4, del decreto legislativo n. 81/2015.
Ben più complesse sono le problematiche connesse ai contratti a termine, soprattutto in regime di somministrazione.
Per chiarire l'impatto in termini di applicazione della norma è sufficiente soffermarsi sulla rubrica per capire che si riferisce ai Contratti a Termine anche se “in regime di somministrazione” per i quali ultimi anche trova applicazione la proroga ex lege.
Il legislatore, però, nell'ambito della fattispecie “somministrazione”, more solito, ha dimenticato che – oltre al contratto tra il lavoratore somministrato e l'agenzia somministratrice – è previsto un ulteriore contratto, che è quello che deve sussistere tra l'impresa utilizzatrice e l'agenzia di somministrazione (c.d. contratto commerciale).
Poiché nella norma all'esame di tale contratto (commerciale) non si fa menzione, allora, stando ad una interpretazione letterale, non dovrebbe essere prorogato ex lege.
Quindi potremmo concludere che, poiché il lavoratore sottoscrive con l'agenzia di somministrazione un contratto a termine, potrebbe dover essere quest'ultima a dover prorogare il contratto ed a sopportarne l'onere. Sul punto, una FAQ pubblicata di recente sul sito del Ministero del Lavoro chiarisce, senza chiarire, che la proroga ex lege quanto ai contratti in somministrazione a tempo determinato intende prorogare “il rapporto di lavoro che intercorre tra l'Agenzia per il lavoro e il lavoratore”. Ma da chi debba essere utilizzato il lavoratore non viene “chiarito”.
Prima di considerare tale conclusione come quella perseguita dal legislatore, ricordando che la somministrazione è una fattispecie complessa che vede compartecipi tre soggetti giuridici, si deve osservare che imporre all'agenzia di somministrazione di farsi carico del lavoratore in assenza del presupposto fondamentale della fattispecie complessa (ovverosia che il lavoratore sia utilizzato da un terzo) vorrebbe dire snaturare quest'ultima e, quindi, si dovrebbe trovare una differente soluzione.
Una strada alternativa alla precedente ipotesi interpretativa può approdare alla conclusione che la norma non dovrebbe trovare applicazione laddove non vi sia un contratto commerciale attivo fra utilizzatore e somministrante. Infatti imporre all'utilizzatore di fruire della prestazione del lavoratore somministrato in assenza del contratto commerciale, vorrebbe dire imporre all'utilizzatore di ricorrere ad una somministrazione irregolare. Ed imporre al somministratore di mantenere attivo il contratto a termine con il lavoratore in assenza di un utilizzatore che ne possa fare utilizzo, vorrebbe dire snaturare la fattispecie tanto da non poterla nemmeno far rientrare nella tipologia “somministrazione”.
Sussiste, in realtà, una terza ipotesi interpretativa del comma all'esame, ovverosia quella che si debba ritenere prorogato ex lege anche il contratto commerciale, rientrando così nella fattispecie complessa “somministrazione regolare”. Probabilmente se questa fosse la reale intenzione del legislatore, dovrebbe superare la tutela della libertà d'impresa garantita dalla Costituzione.
Il legislatore è stato ulteriormente impreciso laddove ha scritto che i contratti sono prorogati “di una durata pari al periodo di sospensione dell'attività lavorativa”.
Ebbene, cosa si intenda per “periodo di sospensione dell'attività lavorativa” è un dubbio lasciato alla libera interpretazione del fruitore della norma.
La stessa, infatti, non fa riferimento al periodo di utilizzazione di un ammortizzatore sociale da Covid-19 (es. CIGO, FIS, CIGD, ecc.) ma, come visto, si limita a far riferimento ad un periodo non meglio identificato che riguarda chiaramente l'inattività lavorativa del singolo lavoratore, in conseguenza della sua sospensione dall'attività per le misure di emergenza epidemiologica da COVID-19. Quindi si potrebbe anche ipotizzare, seppure in maniera residuale, la intervenuta sospensione di un lavoratore senza che il datore, per ragioni ignote, abbia attivato l'ammortizzatore COVID 19.
Mentre le sospensioni di quei lavoratori che hanno fruito degli ammortizzatori sociali specifici rientrano chiaramente nel periodo di sospensione, anche le sospensioni dell'attività di lavoratori che non hanno fruito degli ammortizzatori si può ipotizzare che debbano essere conteggiate nel periodo da prorogare laddove siano direttamente dipendenti dall'emergenza sanitaria da Covid-19.
Nella recente richiamata FAQ pubblicata sul sito del Ministero del Lavoro, il Ministero ha poi incredibilmente precisato che vanno conteggiate nei periodi di sospensione utile ai fini della proroga anche le ferie che il lavoratore sia stato indotto ad utilizzare nel periodo di emergenza sanitaria. Ciò comporta che quei datori di lavoro che hanno ritenuto, prima di accedere agli ammortizzatori sociali da COVID-19, di far esaurire le ferie residue ai propri dipendenti a termine, dovranno prorogare la durata dei contratti di quei lavoratori di un periodo pari alle ferie godute così dovendo pagare sia le ferie che il lavoro svolto (se svolto in considerazione dell'eventuale utilità) in regime di proroga. Questa interpretazione, in realtà non tiene nella corretta considerazione cosa si intenda, in senso tecnico, per interruzione dell'attività lavorativa.
Nel periodo di sospensione da conteggiare ai fini della proroga ex lege, inoltre, andranno computate anche eventuali parziali sospensioni, per riduzione di orario, se conseguenti all'emergenza sanitaria.
Sempre in tema di sospensione dell'attività come connessa all'emergenza sanitaria, si riscontra uno scollamento di norme: segnatamente, mentre ad oggi la durata del periodo di emergenza epidemiologica è prorogata sino al 31 luglio, gli ammortizzatori sociali con causale COVID 19 prevedono che le sospensioni possano arrivare sino al 31 ottobre.
Ed allora, le sospensioni delle attività successive al 31 luglio, dovranno essere conteggiate ai fini della proroga all'esame? Probabilmente questo problema verrà risolto da norme di prossima promulgazione che prorogheranno tanto il periodo emergenziale quanto la durata degli ammortizzatori sociali specifici.
Oltre alla mancanza di chiarezza riguardo al periodo di “ultrattività” del contratto, la disposizione presenta una serie di criticità applicative qui sintetizzate:
Con riferimento ai contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della norma, si può ragionevolmente ritenere che questi rientrino nell'ambito di applicazione del nuovo comma 1-bis solo nel caso in cui detti contratti subiscano una sospensione direttamente connessa all'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Anche nel caso in cui la proroga ex lege conducesse il rapporto a termine oltre i 12 mesi (art. 19, comma 1, del decreto legislativo n. 81/2015) e, quindi, oltre il periodo della lecita a-causalità del rapporto a termine, tale periodo dovrebbe, ragionevolmente, essere neutralizzato. Stante, però, l'assenza di chiarezza sul punto, sarebbe opportuno che il contratto venisse prorogato chiarendo, ai fini della causale, che la proroga deriva dallo specifico obbligo legislativo.
In conclusione, la norma presenta non solo forti dubbi di tenuta costituzionale, ma anche in tema di efficacia, oltre che difficoltà di applicazione concreta. |