Tardività della translatio iudicii e qualificazione della riassunzione come domanda autonoma

Cesare Trapuzzano
03 Agosto 2020

Gli aspetti affrontati dalla pronuncia di legittimità in commento riguardano la possibilità di considerare l'atto di riassunzione tardivamente proposto davanti al G.O., all'esito della declaratoria del difetto di giurisdizione del G.A. originariamente adito, come autonoma domanda.
Massima

In caso di pronuncia declinatoria della giurisdizione, pur a fronte di una tardiva riassunzione, l'atto introduttivo del giudizio può configurarsi come autonomo ricorso, in presenza di tutti i requisiti di carattere formale e sostanziale di un atto introduttivo ex novo, oltre che di una rituale costituzione in giudizio delle parti resistenti che non si siano limitate ad eccepire la tardività della riassunzione ma abbiano accettato il contraddittorio processuale e compiutamente spiegato ogni difesa in merito; in tali condizioni, il processo, ancorché non tempestivamente riassunto - con tutte le conseguenze in termini di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della originaria domanda - non può essere dichiarato estinto.

Il caso

La Corte d'appello di Catania confermava la sentenza del Tribunale di Siracusa, che aveva dichiarato estinto il giudizio intrapreso verso un Comune per ottenere l'annullamento e la rettifica della graduatoria per l'avviamento al lavoro di un giardiniere caposquadra presso detto Comune. All'uopo, la Corte territoriale riteneva che la mancata tempestiva riassunzione dinanzi al G.O. - ex art. 50 c.p.c. - del giudizio in precedenza promosso innanzi al G.A., e definito con declaratoria del Consiglio di Giustizia amministrativa del difetto di giurisdizione di tale giudice in favore del G.O., comportasse, per effetto della translatio iudicii, l'estinzione dell'unico giudizio instaurato. Aggiungeva che, con il suddetto ricorso, il ricorrente aveva voluto riproporre la domanda con finalità riassuntiva del giudizio prima intrapreso e invocando gli effetti della translatio iudicii.

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso la parte soccombente, affidato a tre motivi. Resistevano con distinti controricorsi gli intimati. Con il primo motivo il ricorrente denunciava exart. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'art. 50 c.p.c. nonché dell'art. 59 della legge 18 giugno 2009 n. 69, per avere la Corte territoriale errato nell'applicare l'art.50 c.p.c., riguardante solo l'ipotesi di riassunzione a seguito di declaratoria di incompetenza, senza peraltro che il G.A. avesse fissato alcun termine per la riassunzione. Con il secondo motivo il ricorrente denunciava ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione del principio di conservazione degli atti processuali ex art. 156 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata considerato il ricorso in riassunzione come autonomo ricorso. Con il terzo motivo il ricorrente denunciava ex art. 360, comma 1,nn. 3, 4 e 5, c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., la nullità della sentenza e l'omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale ritenuto che l'invocata richiesta di applicazione del principio di conservazione degli atti processuali costituisse domanda nuova.

La questione

Gli aspetti affrontati dalla pronuncia di legittimità in commento riguardano la possibilità di considerare l'atto di riassunzione tardivamente proposto davanti al G.O., all'esito della declaratoria del difetto di giurisdizione del G.A. originariamente adito, come autonoma domanda, i cui effetti processuali e sostanziali si determinano ex nunc, ove l'atto di riassunzione presenti tutti i requisiti formali e sostanziali dell'atto introduttivo del giudizio e la controparte abbia accettato il contraddittorio, difendendosi sull'ipotesi ricostruttiva di merito dedotta in tale atto. Il che dovrebbe implicare che, una volta verificata la tardività della riassunzione, non ne consegua automaticamente l'estinzione del giudizio, ma la possibilità di decidere nel merito la controversia, allorché appunto l'atto introduttivo abbia i requisiti della domanda autonoma, in ordine alla quale la controparte abbia articolato le proprie osservazioni, nel rispetto del principio di conservazione degli atti processuali. Tale conclusione può altresì giustificare la proposizione di domande spiegate per la prima volta con tale atto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione, sezione Lavoro, ha ritenuto che il primo motivo fosse inammissibile, per mancata allegazione degli atti processuali sui quali erano fondate le censure, e - in ogni caso - infondato. E ciò in applicazione del consolidato principio secondo cui, in tema di riassunzione del processo a seguito di declinatoria della giurisdizione, ove non sia stato indicato il termine per adire il giudice munito di giurisdizione, trova applicazione, in via analogica, quello di sei mesi previsto ratione temporis dall'art. 50 c.p.c. (Cass. civ., 31 maggio 2017, n. 13734; Cass. civ., 7 ottobre 2015, n. 2010). Infatti, l'art. 59 della legge n. 69/2009 ha introdotto l'istituto della translatio iudicii, meccanismo idoneo a trasferire il giudizio dinnanzi al G.A., o altro giudice ritenuto munito di potere, attraverso il binomio sentenza declinatoria-riassunzione di parte, mantenendo salvi gli effetti processuali e sostanziali delle domande, ferme restando eventuali preclusioni maturate. In sostanza, il giudice ad quem, dinnanzi al quale avviene la riassunzione, eredita un giudizio nel medesimo stato in cui è stato abbandonato dal precedente giudice, favorendone la definizione in applicazione dei principi di celerità ed economia processuale. Nel giudizio riattivato innanzi al giudice provvisto di giurisdizione sono, quindi, conservate tutte le attività poste in essere e così gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta dinanzi ad un giudice privo di giurisdizione, realizzandosi in tal modo la sostanziale riduzione ad unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione, con la connessa esclusione di ogni rilevanza impeditiva dell'eventuale errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione. La Corte regolatrice ha altresì evidenziato che, sempre ai sensi del citato art. 59, il regolamento di giurisdizione d'ufficio può essere sollevato solo dal giudice successivamente investito mediante translatio iudicii fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, sempre che le Sezioni Unite non si siano già pronunciate sulla questione di giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., 2 luglio 2011, n. 15868; Cass. civ., Sez. Un., 9 settembre 2010, n. 19256; Cass. civ., Sez. Un., 3 marzo 2010, n. 5022). Tutto ciò, ed in particolare la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della originaria domanda, presuppone, però, una riassunzione avvenuta nei termini di cui all'art. 50 c.p.c., situazione, questa, non sussistente nel caso esaminato.

La Corte di legittimità ha, invece, accolto il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo, rinviando alla Corte di appello di Catania in diversa composizione. Innanzitutto la S.C. ha dato seguito all'orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini dell'ammissibilità di un motivo di ricorso, non costituisce condizione necessaria l'esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta la violazione, essendo invece necessario che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (Cass. civ., 7 maggio 2018, n. 10862; Cass. civ., Sez. Un., 24 luglio 2013, n. 17931; Cass. civ., 21 gennaio 2013, n. 1370; Cass. civ., 24 marzo 2006, n. 6671). Per l'effetto, la Corte ha ritenuto ammissibile il ricorso con il quale si lamenti la violazione di una norma processuale sotto il profilo della violazione di legge, anziché sotto quello dell'error in procedendo di cui all'ipotesi del n. 4 dell'art. 360 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., n. 1370 del 2103). Al riguardo, la S.C. ha rilevato che nel caso in esame il motivo delinea in modo chiaro il tipo di censura prospettato e posto a base della richiesta di annullamento della sentenza impugnata (il ricorso in riassunzione poteva, anzi doveva, essere considerato e qualificato come un ordinario ricorso introduttivo di una autonoma controversia di merito ... l'atto introduttivo in questione ... possiede in sé tutti i requisiti di carattere formale e sostanziale per essere considerato e qualificato anche come autonomo ricorso di merito), per cui la formale contestazione in termini di violazione di legge non implica l'inammissibilità della censura. E ha aggiunto che il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell'ambito dell'error in procedendo: in tale ipotesi, ove si assuma, come nella specie, che l'interpretazione dell'atto processuale di primo grado abbia determinato l'omessa pronuncia su una domanda che si sostiene proposta (regolarmente ed a determinati fini erroneamente pretermessi), la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere all'esame e all'interpretazione dell'atto processuale e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti (Cass. civ., 25 ottobre 2017, n. 25259; Cass. civ., Sez. Un., 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. civ., 11 luglio 2007, n. 15496; Cass. civ., 8 agosto 2003, n. 12022).

Tanto precisato, la Corte ha sostenuto che un ricorso con il quale il giudizio dinanzi al G.O. sia stato riassunto oltre il termine perentorio fissato dall'art. 59, secondo comma, della legge n. 69 del 2009, in presenza di tutti i requisiti di carattere formale e sostanziale di un atto introduttivo ex novo, ben può essere considerato come nuovo ed autonomo ricorso, senza la salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, come inizialmente proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione. Ciò si evince dalla stessa giurisprudenza di legittimità, resa in materia di regolamento di giurisdizione e con riferimento alla diversa operatività per le parti e per il giudice adito, a seconda del tipo di atto proposto, di determinate preclusioni (Cass. civ., Sez. Un., 18 dicembre 2014, n. 26655; Cass. civ.,Sez. Un., 10 marzo 2014, n. 5493; Cass. civ., Sez. Un., 20 luglio 2011, n.15868). È stato, invero, affermato che, al fine di stabilire se innanzi al giudice adito dopo una pronuncia declinatoria della giurisdizione sia proseguito il processo originario o ne sia stato instaurato uno nuovo, occorre accertare se il giudizio sia stato riassunto nei termini previsti da detta disposizione e se contenga i requisiti previsti dall'art. 125 disp. att.c.p.c., fra i quali il richiamo dell'atto introduttivo del precedente giudizio e l'indicazione del provvedimento del giudice in base al quale è avvenuta la riassunzione (Cass. civ., 16 febbraio 2001, n.2276). Inoltre, l'atto di riassunzione del giudizio a seguito di una pronuncia di incompetenza, ex art. 50 c.p.c., può contenere una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, poiché la particolare funzione dell'istituto della riassunzione (conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza) non è di ostacolo a che esso cumuli in sé quella introduttiva di un nuovo giudizio, purché sia rispettato il contraddittorio, tanto più che, ove la nuova domanda fosse ritenuta inammissibile, la necessità di introdurre, per quest'ultima, un nuovo giudizio, da riunire al precedente, si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (Cass. civ., 10 luglio 2014, n. 15753).

Pertanto, la Corte regolatrice, dal complesso degli indicati principi, ha dedotto che, pur a fronte di una tardiva riassunzione, è possibile che l'atto introduttivo del giudizio, in presenza di tutti i requisiti di carattere formale e sostanziale di un atto introduttivo ex novo, oltre che di una rituale costituzione in giudizio delle parti resistenti che non si siano limitate ad eccepire la tardività della riassunzione ma abbiano accettato il contraddittorio processuale e compiutamente spiegato ogni difesa in merito, possa essere considerato quale autonomo ricorso, ancorché la parte ricorrente, in sede di principale (ed evidentemente più favorevole) prospettazione, abbia premesso di voler conservare gli effetti sostanziali e processuali di cui alla domanda proposta innanzi al G.A. Soccorre, al riguardo, il principio generale secondo cui, quando un vizio riguardi solo il modo di esercizio di un potere processuale esistente ed individuabile, il procedimento conosce sempre la possibilità di conservare gli effetti derivanti dal contestuale esercizio di un altro potere egualmente esistente ed individuabile. E tanto per una salvaguardia che consente alla parte di raggiungere lo scopo ultimo della giustiziabilità delle pretese in un contesto processuale in cui in cui sia stato assicurato il contraddittorio delle parti indicate quali legittimati passivi. Sennonché, la Corte di legittimità ha rilevato che, nel caso di specie, il ricorso proposto dalla parte conteneva tutti i requisiti di carattere formale e sostanziale di un atto introduttivo proposto ai sensi dell'art. 414 c.p.c., cioè l'indicazione delle parti, la determinazione dell'oggetto della domanda, l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali tale domanda era stata fondata, con le relative conclusioni, l'indicazione dei mezzi di prova ed in particolare dei documenti offerti in comunicazione; inoltre, lo scopo cui il ricorrente tendeva (tutela giudiziale delle pretese in contraddittorio con le parti indicate quali contraddittori) era stato raggiunto per effetto della rituale costituzione in giudizio dei convenuti (dovendosi ricordare che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto: Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio2016, n. 2951). Con la conseguenza che il processo, ancorché non tempestivamente riassunto per le ragioni subordinatamente evidenziate con riguardo al primo motivo di ricorso (con tutte le conseguenze in termini di conservazione degli effetti sostanziali e processuali della originaria domanda), non poteva essere dichiarato estinto, essendo il ricorso comunque interpretabile quale atto introduttivo autonomo.

Osservazioni

L'ordinanza in commento afferma il principio secondo cui, nel caso di tardivo trasferimento della controversia da un plesso giurisdizionale ad altro, e segnatamente dal G.A. al G.O. (e in particolare dinanzi al giudice del lavoro), all'esito della declinatoria di giurisdizione pronunciata dal primo, non segue automaticamente l'estinzione del giudizio per l'irritualità della translatio iudicii, potendone, invece, discendere, in applicazione del principio di conservazione degli atti processuali ex art. 156 c.p.c., l'interpretazione dell'atto di riassunzione come nuova, ed autonoma, domanda introduttiva del giudizio, i cui effetti sostanziali e processuali chiaramente non retroagiscono al momento della proposizione della primaria domanda proposta davanti al giudice che ha negato la propria giurisdizione, non operando il principio di salvezza di tali effetti alla stregua della tardività della riassunzione. Piuttosto, gli effetti sostanziali e processuali si produrranno ex nunc, ossia dal momento in cui tale autonoma domanda è spiegata. Affinché l'atto tardivo di riassunzione possa essere qualificato come autonomo atto introduttivo del giudizio davanti al G.O. devono comunque essere integrate alcune condizioni: A) in primo luogo, l'atto di riassunzione deve presentare i requisiti formali e sostanziali di un'autonoma domanda, recte deve riportare l'indicazione delle parti, la determinazione dell'oggetto della domanda (petitum immediato), l'esposizione dei fatti (causae petendi) e degli elementi di diritto sui quali tale domanda era stata fondata, con le relative conclusioni, l'indicazione dei mezzi di prova ed in particolare dei documenti offerti in comunicazione; B) in secondo luogo, le controparti devono accettare il contraddittorio sulle deduzioni contenute in tale domanda, difendendosi nel merito, e non già limitarsi ad eccepire la tardività della riassunzione. Allorché siffatte condizioni sussistano, l'atto tardivo di riassunzione produce gli effetti di un'autonoma domanda giudiziale, di cui non può essere disconosciuta l'ammissibilità.

Questa conclusione è stata tratta dal S.C. avuto riguardo alla valutazione complessiva del sistema. Innanzitutto, con riferimento al tema dei rapporti tra la giurisdizione amministrativa e le altre giurisdizioni, ordinaria e speciali, l'art. 11 del d.lgs. n. 104/2010 - ponendosi in rapporto di specialità rispetto alla disciplina dettata, in via generale, dall'art. 59 della legge n. 69/2009 (la quale, pertanto, interviene soltanto in via sussidiaria) - individua nella sola riproposizione del processo, innanzi al Giudice indicato nella pronuncia declinatoria della giurisdizione, il mezzo di tutela esperibile ai fini della salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originariamente proposta, a differenza del dettato del citato art. 59, che invece contempla anche, ove ricorrano determinate condizioni, l'istituto della riassunzione. Ne consegue che la domanda, ai detti fini, deve essere sempre nuovamente e tempestivamente proposta, con contenuto non diverso dalla precedente, dinanzi al giudice munito di giurisdizione, così determinando l'instaurazione di un giudizio nuovo, secondo la disciplina applicabile a quest'ultimo, anche con riguardo alla ritualità del contraddittorio (Cass. civ.,Sez. Un.,sent. 26 ottobre 2018, n. 27163). Infatti, in tema di translatio iudicii, qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l'atto che determina la prosecuzione del giudizio è diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia, o meno, le medesime caratteristiche della prima, sicché, ove si passi da un processo di tipo prevalentemente impugnatorio ad uno esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l'atto di prosecuzione deve assumere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del petitum, mentre, se il giudizio prosegua verso altro avente le medesime caratteristiche, detto atto assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall'art. 125-bis disp. att. c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., 15 dicembre 2016, n. 25837). In tale evenienza, l'unicità del giudizio, dal quale discende la salvezza degli effetti della domanda originaria, riconosciuta dall'art. 59 della legge n. 69 del 2009, sussiste anche quando la domanda non venga “riassunta”, bensì “riproposta”, con le modifiche rese necessarie dalla diversità di rito e di poteri delle diverse giurisdizioni in rilievo, sicché al momento della prosecuzione la parte può anche formulare una nuova e distinta domanda, connessa con quella originariamente proposta, dovendosi riconoscere all'atto di prosecuzione anche natura di atto introduttivo di un nuovo giudizio limitatamente al diverso petitum ed alla diversa causa petendi, senza che, rispetto ad esso, operino gli effetti che discendono dalla translatio, ferma restando la maturazione delle sole decadenze sostanziali e non anche di quelle endoprocessuali, suscettibili di operare soltanto in relazione al rito applicabile dinanzi al giudice ad quem (Cass. civ., 22 luglio 2016, n. 15223). Quindi, già a monte la riproposizione della domanda non esclude a priori la possibilità di prosecuzione dell'originario giudizio, in presenza dei presupposti menzionati. A fortiori sembra essere giustificata la qualificazione della riassunzione tardiva come autonoma domanda. Tanto chiarito, e in secondo luogo, quando, a seguito di sentenza dichiarativa dell'incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un'attività processuale astrattamente riconducibile al modello della riassunzione, spetta al giudice davanti al quale la riassunzione stessa sia stata effettuata stabilire se essa, come concretamente attuata, sia tempestiva e, più in generale, risponda ai requisiti di forma e di contenuto necessari perché si verifichi l'effetto della continuazione del processo davanti al giudice ad quem e sia evitata l'estinzione. A tal fine, è necessario compiere un attento esame del contenuto sostanziale dell'atto di riassunzione per verificare la sussistenza di una non equivoca volontà di proseguire il giudizio inizialmente promosso, volontà configurabile anche implicitamente, senza che occorra una espressa dichiarazione in questo senso (Cass. civ., 30 luglio 2018, n. 20068; Cass. civ., 12 maggio 2010, n. 11498; Cass. civ., 23 novembre 2007, n. 24444). La stessa valutazione spetta laddove la riassunzione (tardiva) segua ad una declinatoria di giurisdizione, in ragione del principio della translatio iudicii (Corte cost. 12 marzo 2007, n. 77). Nulla pertanto inibisce di qualificare l'atto introduttivo in sé non già come riassunzione ma come nuovo atto propulsivo ex novo del giudizio.

Qualificato l'atto come riassunzione, la conseguenza processuale della tardiva riassunzione di una causa non è l'inammissibilità del giudizio, bensì l'estinzione dello stesso, che opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza successiva alla riassunzione - o comunque anche successivamente in fase di impugnazione - ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, comportando, in sede di legittimità, la cassazione del provvedimento impugnato senza rinvio perché il processo non poteva essere proseguito (Cass. civ.,9 maggio 2018, n. 11144). Al riguardo, la translatio è ammissibile (e può attuarsi così attraverso il meccanismo della riassunzione, eventualmente emendativa) nei casi in cui non muti il petitum mediato, e non mutino pure i fatti storici (la loro qualificazione ad opera della parte è, invece, irrilevante) che quel diritto originariamente contribuivano ad individuare (mentre se ne potranno aggiungere di nuovi, specie nel caso in cui si passi dal giudice civile al giudice amministrativo, e si faccia così questione di vizi dell'atto). Intanto la sanzione dell'estinzione del giudizio è però dichiarabile, in quanto il relativo atto non possa essere “salvato”, interpretandolo come domanda autonoma, introduttiva di un nuovo giudizio. Del resto, l'atto di riassunzione del giudizio a seguito di una pronuncia di incompetenza, ex art. 50 c.p.c., può contenere una domanda nuova in aggiunta a quella originaria, poiché la particolare funzione dell'istituto della riassunzione (conservazione degli effetti sostanziali della litispendenza) non è di ostacolo a che esso cumuli in sé quella introduttiva di un nuovo giudizio, purché sia rispettato il contraddittorio, tanto più che, ove la nuova domanda fosse ritenuta inammissibile, la necessità di introdurre, per quest'ultima, un nuovo giudizio, da riunire al precedente, si tradurrebbe in un inutile dispendio di attività processuale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo (Cass. civ., 10 luglio 2014, n. 15753).

Senonché, la possibilità di qualificare la riassunzione tardiva come autonoma domanda è stata ricavata dai seguenti precedenti. Il fatto che, per la translatio iudicii prevista dall'art. 50 c.p.c., al fine di stabilire se dinanzi al giudice dichiarato competente sia proseguito il processo originario o ne sia stato instaurato uno nuovo, occorre accertare se il giudizio sia stato riassunto nei termini previsti da detta disposizione e se contenga i requisiti previsti dall'art. 125 disp. att. c.p.c., fra i quali il richiamo dell'atto introduttivo del precedente giudizio e l'indicazione del provvedimento del giudice in base al quale è fatta la riassunzione (Cass. civ., 16 febbraio 2001, n. 2276), lascia intendere che l'atto tardivo di riassunzione ben possa essere letto, in presenza dei relativi requisiti formali e sostanziali, come autonomo atto introduttivo del giudizio, purché all'esito la controparte si sia difesa nel merito. D'altronde, il giudice amministrativo non può sollevare conflitto negativo di giurisdizione, ai sensi dell'art. 11, comma 3, c.p.a., se la causa non è stata innanzi a lui tempestivamente riassunta; in tal caso, egli, investito della stessa domanda, deve statuire sulla giurisdizione, non ostandovi la precedente declinatoria ad opera di altro giudice, poiché il decorso del termine di riassunzione esclude che il nuovo giudizio possa considerarsi prosecuzione dell'altro (Cass. civ.,Sez. Un., ord.18 dicembre 2014, n. 26655). Il che importa che la parte possa scegliere, in esito alla declinatoria di giurisdizione, se avvalersi della translatio o proporre autonoma domanda. Si tratta appunto di una scelta e non già di un obbligo. E d'altronde laddove la riassunzione sia tardiva, ma presenti i requisiti di sostanza e di forma di un autonomo atto introduttivo del giudizio, il principio di conservazione degli atti processuali per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c. impone la salvezza dell'atto quale autonomo atto introduttivo, con la decorrenza degli effetti sostanziali e processuali dalla nuova proposizione. Ancora, in tema di regolamento di giurisdizione, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 59 della legge n. 69/2009, il giudice adito non può investire direttamente le Sezioni Unite della Corte di cassazione della risoluzione di una questione di giurisdizione, ma è tenuto a statuire sulla stessa ai sensi dell'art. 37 c.p.c., giacché, ai sensi del citato art. 59, il regolamento di giurisdizione d'ufficio può essere sollevato solo dal giudice successivamente investito mediante translatio iudicii, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, sempre che le Sezioni Unite non si siano già pronunciate sulla questione di giurisdizione (Cass. civ.,Sez. Un., ord.10 marzo 2014, n. 5493). Anche in questo caso è confermato che la domanda autonoma può essere avanzata in alternativa alla riassunzione, sebbene impedisca la proposizione del regolamento di giurisdizione d'ufficio. Peraltro, tale conclusione è consolidata – e risalente – nel nostro ordinamento: poiché l'attore - trascorso inutilmente il termine perentorio, fissato dalla legge o dal giudice a quo, per la riassunzione - è libero di riproporre ex novo la causa, senza necessità della previa dichiarazione di estinzione del processo precedente, l'atto di riassunzione notificato oltre i termini stabiliti, pur non determinando la translatio iudicii, può tuttavia valere come atto introduttivo di un giudizio nuovo (Cass. civ., 4 novembre 1986, n. 6451; Cass. civ., 22 settembre 1983, n. 5628; Cass. civ., 20 ottobre 1981, n. 5485; Cass. civ., 15 febbraio 1950, n. 384; App. Napoli 2 marzo 2005). Conclusione questa suffragata dalla esigenza di conservazione degli effetti propri ed esclusivi dell'atto processuale che, seppure inidoneo ad assicurare la continuità di un unico processo, risulti producente ad un diverso e minore fine, quello cioè della instaurazione ex novo di un autonomo giudizio. In questa prospettiva è necessario: a) che l'intendimento della parte di procedere alla riassunzione del processo sia pur sempre strumentale rispetto alla volontà di ottenere dal giudice una pronunzia in ordine alla propria domanda (ancorché gli effetti processuali e sostanziali di questa non possano più risalire alla proposizione dell'originaria domanda e alla instaurazione del contraddittorio davanti al giudice che ha declinato la propria giurisdizione; b) che la narrativa contenuta in tale atto delle pregresse vicende processuali non si ponga in termini di incompatibilità con l'instaurazione di un giudizio del tutto nuovo; c) che la forma prescelta per la riattivazione del contraddittorio coincida con quella richiesta ai fini del promovimento ex novo del giudizio (stante il rito da osservare nella causa di specie); d) che la notificazione del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza renda possibile la instaurazione di un rapporto processuale avulso da quello precedente, non tempestivamente coltivato, e dotato di autonoma vitalità; e) che, in conseguenza, la parte resistente si sia difesa nel merito, accettando il contraddittorio sulla domanda autonoma. L'integrazione delle citate condizioni non può inibire la qualificazione della riassunzione tardiva come domanda nuova, pena la lesione ingiustificata del diritto di difesa in giudizio.

Guida all'approfondimento
  • G. Battaglia, Riparto di giurisdizione e translatio iudicii, in Riv. dir. proc., 2012, 1, 81 (nota a sentenza);
  • C. Consolo, A proposito di declinatoria di giurisdizione ed effetto conservativo del termine, in Dir. proc. amm., 1, 2016, 332; ;
  • A. Giussani, Le novità in materia di scelta del giudice nella l. n. 69 del 2009, in Riv. trim. dir. proc. civ., 4, 2010, 1191;
  • C. Glendi, Oggetto del processo e «translatio iurisdictionis», in Dir. e prat. trib., 2013, 1, 10069 (commento alla normativa);
  • A.G. Orofino, Translatio iudicii e modifica della domanda innanzi al giudice amministrativo, in Dir. proc. amm., 1, 2017, 44;
  • G. Ruffini, Difetto di giurisdizione e translatio iudicii fra confusione del legislatore ed equivoci degli interpreti, in Giur. it., 2013, 214.

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