Indennizzabilità dei danni da coronavirus da parte delle assicurazioni private contro gli infortuni. Le opposte posizioni
03 Agosto 2020
Le morti e le invalidità provocate dalla pandemia di coronavirus hanno posto il quesito relativo alla loro indennnizzabilità da parte delle assicurazioni private contro gli infortuni, indennizzabilità invece pacificamente riconosciuta dall'INAIL per quegli eventi che risultino riconducibili ad una causa di lavoro. Si sono subito delineate opposte posizioni che conseguono, talora, alla presenza di interessi contrapposti. Il punto focale della discussione è certo rappresentato dall'inquadramento o meno nell'ambito dell'infortunio delle conseguenze dannose riconducibili ad infezioni virali tra le quali rientra di certo anche l'infezione da coronavirus. Tenuto conto che anche la teoria che considera infortunio la suddetta infezione è basata su motivate argomentazioni di notevole peso stupisce leggere che: «… allo stato la semplice (o meglio semplicistica) affermazione che Covid-19 ( e la malattia infettiva in genere) sia da considerare un infortunio indennizzabile debba essere considerata al pari di una fake news, vale a dire di una notizia che, basandosi su parziali/parcellari verità, acquisisce un'apparente plausibilità soprattutto attraverso casse di risonanza mediatiche incontrollate, trovando alimentazione nelle aspettative di taluni» (così U. Genovese, Covid-19 ed infortunistica privata: siamo di fronte ad un'aporia o ad un “bug”, in Ridare.it 17/7/2020) La causa violenta negli infortuni sul lavoro
L'immediata osservazione che viene spontanea riguarda il velato riferimento all'interpretazione della definizione di causa violenta presente sia nella definizione degli infortuni sul lavoro sia nella definizione di infortunio generalmente adottata nelle assicurazioni private contro gli infortuni. Come noto, si è infatti posto il problema, anzitutto negli infortuni sul lavoro, se nella predetta causa violenta rientrino o meno anche le infezioni microbiche o virali e quindi anche l'infezione da coronavirus. Un accurato excursus dell'evoluzione della differenziazione tra infortunio e malattia è stato a suo tempo predisposto dall'INAIL (Malattia – infortunio Trattazione in ambito INAIL a cura di Innocenzi, Rullo, Sferra ed Ossicini Milano 2007). In tale lavoro si ricorda che sin dal 1918 si era delineata una nuova classificazione medico legale delle forze lesive comprendendo nell'ambito della causa violenta anche le infezioni microbiche. E si precisa inoltre che l'assimilazione della causa virulenta di natura biologica con la causa violenta era stata ammessa sin dal 1910 dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione di Torino. A commento di tale impostazione si è osservato che una siffatta concezione della causa violenta permette di includere tra le cause determinanti l'infortunio lavorativo non già le modalità di penetrazione nell'organismo di agenti microbici e parassitari, bensì l'azione lesiva insita nella loro virulenza. Tanto consente un'osservazione riguardo quella giurisprudenza dei nostri tempi che ha considerato infortunio sul lavoro l'infezione da epatite virale che colpì un infermiere che si era punto con una siringa infetta. Con l'applicazione del predetto principio si arriva quindi a dire che la puntura della siringa ha rappresentato solo la modalità di penetrazione del virus e non l'infortunio che è invece riconducibile all'azione lesiva del virus dell'epatite. Non resta a questo punto che concludere nel senso che è pacifico che per gli infortuni sul lavoro è causa violenta che concreta l'infortunio anche l'infezione da agenti microbici o virali come riconosciuto da copiosa giurisprudenza (Per la giurisprudenza degli anni 2000 si rinvia ai precedenti richiamati nel contributo alla presente rivista del 25/5/2020, A.POLOTTI DI ZUMAGLIA, Le infezioni da coronavirus e le assicurazioni contro i danni alla persona in Ridare.it. Per la giurisprudenza dello scorso secolo ci si limita a ricordare Cass. civ., 3 novembre 1982 n. 5764 in Riv. Inf. e Mal. Profess. 1982, II, 137. In dottrina, oltre a ricordare i precedenti riportati nel contributo suindicato mi si consenta ricordare, visto che ne viene fatta citazione nell'articolo citato in premessa, A. CANDIAN, A POLOTTI DI ZUMAGLIA, M SANTARONI, Assicurazione vita e infortuni. Contratti para assicurativi, Torino, 1992 p. 210). Le assicurazioni infortuni private e le infezioni microbiche o virali
Visto che sin dal secolo passato si è pacificamente ammesso che tutte le infezioni microbiche o virali rientrano negli infortuni sul lavoro, resta la questione se dette infezioni rientrino, come detto, anche nelle assicurazioni private contro gli infortuni. Ma al fine di chiarire gli esatti termini della questione non resta che procedere ad un'attenta interpretazione delle clausole contrattuali delle polizze e verificare l'ampiezza delle garanzie da esse offerte. Si tratta allora di operazione squisitamente tecnica devoluta al giurista che vi provvederà con l'applicazione delle norme dettate dal codice civile in tema di interpretazione del contratto (artt. 1362-1371 c.c.) ed in questa fase non è previsto l'intervento del medico legale. Quest'ultimo dovrà infatti procedere, al momento del sinistro, alla valutazione del nesso causale tra l'evento che costituisce il fatto infortunio e le lesioni da esso provocate, nonché il nesso causale tra le lesioni e le minorazioni provocate indicandone l'importanza; gli è quindi devoluta l'analisi del nesso materiale e del nesso giuridico, ma non l'interpretazione del contratto. La definizione di infortunio generalmente adottata dalle polizze fa riferimento agli eventi dovuti a causa fortuita, violenta ed esterna tali da produrre all'assicurato lesioni corporali obbiettivamente constatabili, le quali abbiano quale conseguenza la morte od una invalidità permanente, od una inabilità temporanea. Non si ha quindi una differenza sostanziale tra la definizione adottata dalle polizze private e quella adottata dal testo unico per gli infortuni sul lavoro posto che in entrambe il nucleo centrale è rappresentato dalla causa violenta. Posto che una definizione di causa violenta non è presente nelle polizze private infortuni se ne deve necessariamente dedurre che detta definizione non è ricavabile se non dalla giurisprudenza che ha riguardato gli infortuni sul lavoro e da ciò consegue che l'infezione microbica o virale costituisce infortunio anche per dette polizze. In sintesi, può dirsi che il concetto di causa violenta non è limitato alle cause traumatiche e le conseguenze della violenza possono anche non essere immediatamente constatabili; di conseguenza si deve ammettere che l'infezione da coronavirus costituisce anch'essa infortunio. Come si è visto la definizione di infortunio in infortunistica privata richiede che vi sia stato un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna legato da un nesso di causalità con la lesione che a sua volta dovrà essere anch'essa collegata da un nesso di causalità con l'invalidità e la morte. Ed allora può dirsi che nell'assicurazione contro gli infortuni si ha un rischio a formazione successiva (per una completa analisi delle varie problematiche sorte in tema di infortuni si rinvia a A. POLOTTI DI ZUMAGLIA, Le assicurazioni contro i danni alla persona, Giuffrè Francis Lefebvfre, Milano 2019, p. 20 e ss.) Discutere sul concetto di lesione per limitarne la presenza alle sole lesioni traumatiche, così escludendo dall'operatività delle polizze infortuni le infezioni da cornavirus non trova alcuna giustificazione valida visto che il richiamo generico alla lesione in sé consente di far riferimento ad ogni tipo di lesione. In sostanza, se un assicuratore volesse far riferimento alle sole lesioni traumatiche ha solo da specificarlo chiaramente in polizza. Richiamare poi la clausola relativa ai criteri di indennizzabilità non si vede che rilievo possa avere visto che detta clausola non fa altro che fornire dei criteri per quantificare l'importanza della lesione da indennizzare ad infortunio già verificato. Da quanto sin qui osservato discende che le polizze che si limitano a descrivere l'infortunio con la definizione appena richiamata comprendono le conseguenze lesive da coronavirus, mentre tali conseguenze sarebbero escluse nei casi in cui esistano espresse delimitazioni che tanto consentano. E tali delimitazioni possono essere costituite sia da specificazioni del tipo di lesione che si intende prendere in considerazione richiedendo ad esempio che la stessa sia solo di origine traumatica così escludendo le malattie microbiche o virali, o prevedendo apposita esclusione che potrebbe essere generica come si vede in alcune polizze o addirittura specifica come viene fatto in certi casi per l'HIV. Ad escludere la possibilità di operatività di una polizza privata contro gli infortuni per le conseguenze da coronavirus si potrebbe pensare che mentre l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro deve sopperire a particolari necessità anche di carattere sociale, l'assicurazione privata non ha tali necessità. In sostanza si può prospettare l'ipotesi che l'assicuratore privato quando ha accettato di coprire ad esempio gli infortuni extraprofessionali ha pensato ad un rischio tipico della vita normale come il cadere dalle scale od il subire un incidente stradale e non ad una malattia virale. Ma oltre quanto già prospettato in precedenza (v. A POLOTTI DI ZUMAGLIA, Le infezioni da coronavirus e le assicurazioni contro i danni alla persona, in Ridare.it.) resta il fatto che dottrina e giurisprudenza sono state da tempo molto chiare sulla questione in esame. Ed allora si deve concludere nel senso che se l'assicuratore si è limitato a mantenere la definizione classica di infortunio senza ulteriori delimitazioni di rischio intendeva chiaramente assicurare anche gli infortuni conseguenti ad infezioni microbiche o virali come il covid 19. Sostenere che invece tanto non si era inteso assicurare significherebbe dire che quell'assicuratore non si è mai premurato di meglio studiare la questione per rendersi conto della reale situazione ed adottare le conseguenti iniziative, il che pare poco credibile conoscendo il buon livello tecnico dei nostri assicuratori. In conclusione, pare logico ritenere che sostenere ora l'irrisarcibilità dei danni da covid 19 con le normalissime polizze infortuni solo con le argomentazioni appena richiamate abbia il significato di una precoce difesa per il timore del presentarsi di fondate richieste. È ovvio che laddove vengano proposte argomentazioni di altro peso si dovrà adottare diverso atteggiamento. I compiti del medico legale e del giurista
Per scendere sul piano pratico e tornando alle problematiche del coronavirus, è chiaro che una volta data alla relativa infezione il carattere di infortunio, il medico legale avrà il compito, con l'ausilio delle nozioni che gli sono proprie, di accertare anzitutto se vi sia stata l'infezione, per poi chiarire, in caso positivo, se vi sia stata una lesione ovviamente interna e se dalla stessa sia eventualmente derivata la morte dell'assicurato od un'invalidità permanente, quantificandone in quest'ultimo caso l'importanza con il ricorso ai noti baremes . L'individuare invece i contenuti delle varie clausole contrattuali sarà, come già detto, conseguenza dell'interpretazione delle stesse, interpretazione che spetta al giurista. Quest'ultimo potrà anche verificare se le predette clausole non siano eventualmente vessatorie per violazione delle norme sul codice del consumo (d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206) come potrebbe ad esempio accadere nel caso in cui con complesse delimitazioni del rischio si finisca per svuotare di contenuti il contratto od anche semplicemente ridurne l'ampiezza in modo tale da determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto stesso . A puro titolo di esempio di quanto appena affermato si può richiamare un precedente di merito, sia pur non aderente alla discussione in corso, che così si è espresso: «É vessatoria e, conseguentemente nulla, la clausola inserita da una compagnia di assicurazioni in una polizza infortuni, malattia ed assistenza, stipulata da una donna poi deceduta a causa di una grave patologia e determinante a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. (Nel caso di specie, la suddetta clausola, infatti, prevedeva la non trasmissibilità agli eredi del diritto all'indennizzo previsto in polizza per l'ipotesi di malattia che avesse come conseguenza la morte, una invalidità permanente, ovvero una inabilità temporanea)» (Trib. Napoli, Sez XII, SO e altri c. RO.Fa, 12/09/2016 in Quotidiano Giuridico 2016) Si può a questo punto concludere nel senso di ritenere che la decisione sulle caratteristiche di infortunio o meno dell'infezione in questione non può che conseguire ad un accurato esame delle condizioni del contratto interessato nel caso concreto dando ad esse l'interpretazione che le norme di legge consentono, con l'avvertenza che la mancanza di idonee esclusioni comporterà l'operatività delle garanzie. Tanto precisato non resta che osservare che l'accusa di spargere fake news diretta ad argomentazioni attentamente meditate senza pregiudizi è da rinviare sdegnosamente al mittente.
|