Il concorso dei sindaci di società quotate nel reato di false comunicazioni sociali

Enrico Corucci
03 Agosto 2020

Nel reato di false comunicazioni sociali delle società quotate di cui all'art. 2622 c.c. la configurabilità del concorso omissivo da parte dei componenti del collegio sindacale non è esclusa dal fatto che, in esse, il controllo contabile sia attribuito a revisori esterni...
Massima

Nel reato di false comunicazioni sociali delle società quotate di cui all'art. 2622 c.c. la configurabilità del concorso omissivo da parte dei componenti del collegio sindacale non è esclusa dal fatto che, in esse, il contollo contabile sia attribuito a revisori esterni, residuando a carico dei sindaci l'obbligo di vigilare sulla rispondenza del bilancio ai fatti e alle informazioni di cui il collegio sindacale sia a conoscenza a seguito della partecipazione alle riunioni degli organi sociali o dell'esercizio dei suoi doveri di vigilanza e dei suoi poteri di ispezione e controllo.

Il caso

La vicenda sottoposta all'attenzione della Suprema Corte trae origine dalla emissione di un provvedimento di sequestro preventivo per equivalente disposto in via di urgenza dal pubblico ministero, e quindi convalidato dal Giudice per le indagini preliminari, finalizzato alla confisca del profitto del reato di false comunicazioni sociali di società quotata per avere gli indagati esposto nei bilanci di esercizio e consolidato ricavi derivanti dalla negoziazione con società del gruppo di licenze ritenute fittizie e di strumenti fnanziari il cui valore era stato falsato. Il reato era ascritto a titolo di addebito provvisorio, tra gli altri, anche al presidente e componente del collegio sindacale della società.

Il provvedimento del Tribunale del riesame di Bologna, che aveva confermato il menzionato decreto di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari, era oggetto di ricorso in Cassazione da parte degli indagati, le cui difese avanzavano una pluralità di censure.

Tra quelle mosse dal presidente del collegio sindacale merita ricordare, per ciò che qui interessa, come si criticasse anche in radice la possibilità di configurare il concorso di persone nel reato di false comunicazioni sociali da parte del sindaco di società quotate quale titolare dell'obbligo di garanzia di cui all'art. 40 cpv. c.p., in quanto, in tali circostanze, spettano non già al collegio sindacale bensì ai revisori esterni l'accertamento della regolare tenuta della contabilità e della corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione nonché la verifica della corrispondenza del bilancio alle risultanze delle stesse scritture e della sua conformità alle norme che lo disciplinano.

Le argomentazioni difensive in argomento erano tuttavia ritenute prive di fondamento dalla Corte di Cassazione che, in parte qua, rigettava il ricorso.

La questione

Il tema sottoposto all'attenzione della Suprema Corte concerne dunque la questione circa la possibilità di ritenere che l'oggetto dell'obbligo di garanzia, nella forma dell'obbligo di impedimento (della commissione del reato da parte di altri), che grava sui componenti del collegio sindacale di una società quotata, il cui controllo contabile è sempre riservato al revisore, si estenda, ed in caso positivo in quali termini, anche a quello della verifica nel merito dei contenuti del bilancio.

Le soluzioni giuridiche

La trasparenza dell'informazione societaria trova attualmente tutela, a seguito della riforma di cui alla l. 27 maggio 2015, n. 69, negli artt. 2621, 2621-bis, 2621-ter e 2622 c.c., l'ultimo dei quali disciplina, in particolare, il reato di false comunicazioni sociali delle società quotate.

Soggetti attivi del reato sono gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori della società, per cui il reato é proprio.

In ragione della struttura tipica del reato di cui all'art. 2622 c.c. e dei principi generali del concorso di persone nel reato, la partecipazione dei sindaci al delitto può tradursi:

1. in una condotta commissiva, sicché il reato può perfezionarsi anche in termini monosoggettivi, allorché la comunicazione sociale diretta ai soci o al pubblico provenga dal sindaco medesimo (cfr., ad es., art. 2429 c.c., sia pure in riferimento all'intero collegio sindacale);

2. nel concorso nel reato tramite condotte commissive che si sostanzino nell'istigazione alla redazione di comunicazioni mendaci od alla omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione sia imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene ovvero in qualsiasi azione che costituisca contributo morale a ciò, oppure ancora che si sostanzino nel prestare, allo stesso scopo, un supporto tecnico o comunque in qualsiasi azione che costituisca contributo materiale al perfezionamento dell'indicato fatto tipico;

3. nel concorso nel reato mediante omissione, secondo gli schemi del reato omissivo improprio ed a condizione, evidentemente, che il sindaco sia ritenuto titolare di un obbligo di garanzia dal cui oggetto non sia esclusa tout court la verifica nel merito dei contenuti del bilancio e della sua corrispondenza alle scritture.

La fattispecie concreta sottesa alla sentenza in commento appare concernere proprio l'ipotesi sub 3) ed a fronte del motivo di ricorso costituito dal ritenere escluso, in ragione dell'attribuzione del controllo contabile ai revisori e non già ai sindaci, che l'obbligo di garanzia a carico di questi ultimi possa estendersi nei termini appena indicati, la Suprema Corte giungeva ad una risposta negativa, affermando al contrario come detto obbligo di garanzia sussista.

Nelle società quotate in effetti il controllo contabile è sottratto ai sindaci per essere invece attribuito ai revisori legali, i quali debbono esprimere, con apposita relazione, un giudizio sul bilancio di esercizio e sul bilancio consolidato, ove redatto, illustrare i risultati della revisione legale ed ancora verificare nel corso dell'esercizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili (cfr. art. 14 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39). Per le società di diritto comune che non siano tenute alla redazione del bilancio consolidato si ricorda invece come il loro statuto possa prevedere che la revisione legale dei conti sia esercitata dal collegio sindacale (cfr. art.2409-bisc.c.).

A norma dell'art. 149 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, rientra invece tra i doveri del collegio sindacale della società quotata la vigilanza sull'adeguatezza della struttura organizzativa della società per gli aspetti di competenza, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo-contabile nonché sull'affidabilità di quest'ultimo nel rappresentare correttamente i fatti di gestione.

Osserva la Corte, dunque, come il collegio sindacale delle società quotate non sia più titolare di una funzione di verifica ex post su singoli atti, quanto piuttosto di un controllo complessivo ex ante sulle procedure aziendali e sulla relativa adeguatezza, controllo definito quale “sintetico” e “complessivo” sugli aspetti amministrativi e contabili della società.

Tale tipologia di controllo non implica tuttavia un integrale esautoramento del collegio sindacale dall'ambito del controllo contabile, non potendosi escludere dal novero delle competenze di detto collegio lo svolgimento di approfondimenti in caso di rilevazione di indici di sospetto emersi in sede di verifica dell'adeguatezza e del funzionamento dell'assetto contabile. Tali conclusioni ad avviso della Corte trovano fondamento, oltre che nel citato art. 149 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, nell'art. 150, 3° co. del medesimo decreto secondo cui il collegio sindacale e il revisore legale o la società di revisione legale si scambiano tempestivamente i dati e le informazioni rilevanti per l'espletamento dei rispettivi compiti, né certo essendo esclusa la possibilità che il collegio sindacale sottoponga all'assemblea osservazioni e proposte sul bilancio e sulla sua approvazione. La Corte richiama poi il principio Q.3.7 delle norme di comportamento del collegio sindacale di società quotate elaborate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili secondo cui compete ai sindaci la vigilanza sulla rispondenza del bilancio ai fatti e alle informazioni di cui essi siano a conoscenza a seguito della partecipazione alle riunioni degli organi sociali o dell'esercizio dei loro doveri di vigilanza e dei loro poteri di ispezione e controllo. Si prevede ancora che, qualora il collegio sindacale sia in possesso in virtù della propria attività di vigilanza ovvero di altre fonti comunque disponibili, di notizie su determinati fatti o situazioni che incidono sulla rappresentazione in bilancio di operazioni sociali o comunque nutra dubbi sulla rappresentazione delle poste di bilancio, richieda ulteriori informazioni e/o chiarimenti agli amministratori, al revisore legale o al dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili. Disposizioni analoghe sono poi contenute nel principio Q.3.8 in tema di bilancio consolidato.

A fronte di tale quadro normativo, dunque, al collegio sindacale di società quotate non è alieno l'obbligo di verifica circa la rappresentazione nei bilanci dei fatti di cui l'organo sia giunto a conoscenza nell'espletamento delle proprie attività di controllo sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e sull'adeguatezza degli assetti amministrativi e contabili o dei quali sia giunto a conoscenza altrimenti, ed in questi termini prende forma l'obbligo di garanzia del quale è titolare.

Né infine tale obbligo di garanzia può eccettuarsi in ragione dell'esistenza di organi ed autorità pubbliche preposti alla vigilanza delle società quotate giacché trattasi all'evidenza di controlli di natura successiva.

Tutto ciò premesso, la Corte di Cassazione concludeva ritenendo sussistente nel caso di specie il fumus commissi delicti del reato di cui all'art. 2622 c.c. a carico del presidente del collegio sindacale in quanto la cessione degli strumenti finanziari costituiva operazione oltremodo significativa per la vita societaria (cfr. anche art. 150, 1° co. d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), emergendo inoltre una conoscenza di questi concernente la rappresentazione dei fatti nel bilancio anche in ragione del ruolo ricoperto dallo stesso sindaco nelle società aventi causa nella negoziazione degli strumenti finanziari.

Osservazioni

Le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte in tema di obbligo di garanzia debbono condividersi ed invero i doveri dei sindaci disciplinati dall'art. 2403 c.c. non vengono meno con l'attribuzione ad altri del controllo contabile, non essendo i primi espropriati dall'utilizzo dei propri poteri allorché emergano elementi che consentano di dubitare fondatamente della veridicità dei bilanci anche perché, secondo l'id quod plerumque accidit, la loro redazione in termini di falsità costituisce strumento onde mascherare dissesti o fatti illeciti già verificatisi ed è causa, ancora, della commissione di ulteriori fatti delittuosi, essenzialmente per poter continuare a ricorrere al credito senza che ve ne siano le condizioni ovvero a disporre di utilità sociali a fini parimenti illeciti. Invero appare difficile ritenere che tutto ciò non dia luogo ad inosservanza della legge ed a violazione dei principi di corretta amministrazione per cui, a mente dell'appena citato art. 2403 c.c., al sindaco, nell'ambito dei propri compiti, resta l'obbligo di impedire la commissione di simili fatti.

Rimane peraltro la necessità di valutare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato omissivo improprio a carico del sindaco, i quali si individuano oltre che nella sua condotta omissiva, nell'evento da questa cagionato con dolo.

In tema è nota la teoria dei c.d. “campanelli d'allarme” quali segnali d'allerta cui, ove noti e nel loro complesso, possa attribuirsi, con accertamento di natura casistica, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto sì che la condotta omissiva si possa qualificare per “l'accettazione del rischio” dell'evento nei termini del dolo eventuale. Quanto alla conoscenza del segnale d'allarme, essa può derivare da qualsiasi fonte, ancorché ciò sembri affermato soltanto in modo implicito, richiamandosi il citato principio contabile Q.3.7, nella sentenza in commento.

Quest'ultima, peraltro, affronta conclusivamente la questione dell'elemento soggettivo del reato nei termini conseguenti all'essere una pronuncia resa in sede cautelare ed in particolare escludendo, in base alle ragioni indicate dal Tribunale, che dal contegno di natura omissiva del sindaco potesse derivare, per ciò solo, la natura colposa della sua condotta.

In argomento preme tuttavia osservare come l'art.2622 c.c. delinei un dolo specifico (costituito dal fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto) ulteriormente qualificato dall'avverbio consapevolmente per cui, ove il concorso nel reato consegua a condotte omissive, fondatamente si dubita che detto concorso possa essere integrato allorché, eventualmente anche tramite l'applicazione della teoria dei “campanelli di allarme”, il dolo si tratteggi nei soli termini del dolo eventuale, il quale difficilmente si concilia con l'appena citata consapevolezza dell'esposizione mendace ovvero dell'omissione di fatti materiali rilevanti la cui comunicazione sia imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene.

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