Associazioni sportive dilettantistiche (ASD). Tra recenti orientamenti giurisprudenziali e riforma del Terzo settore

Francesca Moroni
03 Agosto 2020

Con ordinanza n. 3746 del 14 febbraio 2020 i giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR competente che confermava la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del regime agevolativo spettante a un'associazione sportiva dilettantistica, per il mancato versamento dell'IRAP per gli anni di imposta dal 2002 al 2008.
Regime fiscale agevolato. Requisiti formali e sostanziali

Con ordinanza n. 3746 del 14 febbraio 2020 i giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTR competente che confermava la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del regime agevolativo spettante a un'associazione sportiva dilettantistica, per il mancato versamento dell'IRAP per gli anni di imposta dal 2002 al 2008.

Nello specifico, l'Agenzia denunciava violazione o falsa applicazione dell'art. 148 del TUIR, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 7, nonchè della L. n. 289 del 2002, art. 90 e dell'art. 2697 c.c. in quanto la società contribuente non sarebbe risultata destinataria delle agevolazioni destinate alle associazioni sportive dato che le attività svolte avevano carattere commerciale.

In proposito, i giudici di legittimità evidenziano come l'esenzione d'imposta prevista dall'art. 148 TUIR, in favore delle associazioni non lucrative (nella specie, ASD), dipende non solo dall'«elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall'effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla società contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell'affiliazione al CONI, essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell'atto costitutivo o nello statuto» (Cass. n. 11492 del 2019; Cass. n. 10393 del 2018).

Peraltro, ai fini della qualifica di ente non commerciale rileva l'esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari non rientranti nelle fattispecie di cui all'art. 2195 c.c. e verso il pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione; di conseguenza, nella fattispecie concreta al vaglio della Corte, non trova applicazione il regime fiscale di favore (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 143) per carenza dei requisiti di “decommercializzazione”. L'ASD, infatti, non aveva rispettato il divieto di distribuzione degli utili, aveva inoltre omesso la compilazione del libro dei soci e, dai controlli effettuati, non si riscontrava una effettiva partecipazione degli associati alla vita dell'ente (sui requisiti di decommercializzazione, v., anche Cass. n. 22939 del 2018).

Inoltre, con riferimento alla gestione di attività di ristorazione da parte dell'ASD me\desima, la Corte sottolinea il fatto che «l'attività di gestione di un bar-ristoro da parte di un ente non lucrativo, può essere qualificata come “non commerciale”, ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4) e di quella sui redditi (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 111, oggi trasfuso nello stesso decreto, art. 148) solo se la suddetta attività sia strumentale rispetto ai fini istituzionali dell'ente e sia svolta esclusivamente in favore degli associati» (conforme, Cass. n. 15474 del 2018; in dottrina M. Basilavecchia, Sono imponibili le prestazioni rese dal bar di un circolo sportivo, in Corr. Trib., 2006, 41).

In conclusione, i Giudici esprimono il principio secondo cui “l'esenzione contributiva prevista in favore delle associazioni sportive dilettantistiche dipende non solo dall'elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall'effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sull'interessato e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, del riconoscimento da parte del CONI.

Il riparto dell'onere della prova tra contribuente e Amministrazione finanziaria

In termini più generali, occorre soffermarsi su ulteriori questioni che emergono dalla richiamata ordinanza e che sono state oggetto di precedenti pronunce della Cassazione.

In primis ribadisce la Corte che l'onere probatorio sull'effettivo svolgimento di attività senza scopo di lucro (requisito sostanziale) è a carico del contribuente. Al riguardo, tale onere non risulta soddisfatto dimostrando esclusivamente la mera affiliazione a Federazioni sportive Nazionali o l'iscrizione al CONI – pur essendo comunque un elemento necessario – ma occorre provare come i proventi riscossi derivino da attività di natura istituzionale e l'eventuale avanzo di gestione sia reinvestito nell'ambito della stessa attività sociale.

In altre parole, in relazione alla regola riguardante il riparto dell'onere probatorio, spetta al contribuente dimostrare il possesso dei requisiti di legge che consentono di poter fruire dei benefici fiscali (fatti costitutivi), mentre spetta all'Amministrazione finanziaria provare l'esistenza di elementi che escludono il godimento di detti benefici (fatti impeditivi).

Lo svolgimento di attività commerciale prevalente rispetto a quella istituzionale, che esclude il godimento dei benefici fiscali, deve essere quindi documentata dal Fisco sulla base di elementi concreti e provati.

L'ASD deve, al contrario, dimostrare la sussistenza di quegli elementi costitutivi che attribuiscono il diritto all'esenzione (sul punto v., anche, Cass., n. 2152, 30 gennaio 2020; Cass., n. 15479, 26 luglio 2016. In dottrina, G. Rivetti, La qualificazione tributaria delle attività degli “Enti di Terzo Settore” tra incertezze interpretative e ripensamenti legislativi, «Riv. Dir. Trib.», Pisa, Pacini giuridica, 2019, 2, pp. 445 ss; S. Buttus, L'ente del Terzo settore (ETS) quale “ente non commerciale” ai fini fiscali. La difficile convivenza tra D.lgs. n. 117/2017 e TUIR, «Riv. Dir. Trib.», 12 luglio 2019; F. Amatucci, La identificazione degli enti non commerciali ai fini fiscali tra requisiti formali e sostanziali nel panorama europeo, «Rivista di Diritto tributario internazionale», n. 2, 2012, pp. 77-89).

Tuttavia, risulta fondamentale tenere distinta, sul piano giuridico, la questione relativa l'individuazione della qualità dell'ente da quella afferente la qualificazione, commerciale o non commerciale, delle attività poste in essere dall'associazione (Cass., ord. n. 8182, 24 aprile 2020). Qualora, infatti, l'AF contesti l'applicazione della richiamata norma agevolativa di cui all'art. 148, terzo comma del TUIR, in riferimento alla natura non commerciale dell'attività posta in essere in concreto dall'ASD, non può anche contestualmente contestare il riconoscimento della qualità di ente non commerciale all'Associazione.

Del resto, «l'art. 148 prevede una “decommercializzazione” specifica per alcune categorie di associazioni (tra cui le associazioni sportive dilettantistiche), estendendo il regime agevolativo alle attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, qualora tali associazioni si conformino ad una serie di clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti, tra cui quelle aventi ad oggetto il divieto di distribuzione di utili durante la vita dell'associazione (salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge), la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, l'obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie e la partecipazione effettiva degli associati alla vita dell'ente» (Cass. 26 settembre 2018, n. 22939; Cass. 9 maggio 2018, n. 11050); di contro la qualifica di ente senza scopo di lucro richiede che l'attività dell'ente abbia avuto per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività non commerciali.

Deve, pertanto, distinguersi la questione relativa alla individuazione della qualità dell'ente (no profit o for profit)da quella relativa alla qualificazione, ai fini fiscali, delle attività poste in essere dall'ente stesso.

In sintesi, la Corte esprime il principio per cui le ASD assumono sempre la qualifica di enti non commerciali come espressamente disposto dall'art. 149, comma 4, del TUIR e hanno diritto alle richiamate agevolazioni fiscali qualora rispettino i requisiti, formali e sostanziali, stabiliti dalla legge. In caso contrario, se non si conformano alle previsioni normative e non risultano in possesso dei citati requisiti, i corrispettivi dalle attività svolte assumono natura commerciale e quindi saranno soggetti all'IVA e alla tassazione ai fini delle imposte dirette; tuttavia - specificano i giudici - anche ricorrendo tale condizione, l'associazione non perderà automaticamente la qualifica di ente non commerciale.

Conclusioni. La riforma del Terzo settore: un panorama normativo incerto

Con la recente riforma del Terzo settore, si presenta per le ASD la possibilità di assumere la qualifica di ETS; questo comporterebbe l'applicazione della disciplina prevista nel Codice di Terzo Settore (CTS) ma, contestualmente, la perdita delle principali agevolazioni oggi in vigore.

Sul piano funzionale, si evidenzia come l'art. 5, comma 1 del CTS, presenti un elenco di attività di interesse generale che devono essere svolte in via esclusiva o principale dagli ETS; tra queste attività si ricomprende, appunto, l'«organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche». Di conseguenza, un'associazione che avesse come oggetto sociale lo svolgimento di un'attività sportiva dilettantistica potrebbe iscriversi nel RUNTS e così assumere la qualifica di ETS.

Nello specifico, le ADS potrebbero direttamente iscriversi nella sezione APS del Registro Unico del Terzo settore (RUNTS): già in precedenza, infatti, molte ASD possedevano proprio la qualifica di Associazione di Promozione Sociale, in relazione al fatto che queste ultime associazioni normalmente organizzano e gestiscono attività sportive dilettantistiche per e in favore dei propri associati (l'attività delle APS risulta infatti di natura mutualistica più che solidaristica, ossia è indirizzata verso ed in favore degli associati, come in pratica avviene per le ASD).

Come chiarito dalla Circolare n. 18/E dell'Agenzia delle Entrate del 1o agosto 2018, non sussiste incompatibilità tra iscrizione nel Registro CONI delle ASD ed iscrizione nel RUNTS e sono quindi cumulabili le qualifiche di ASD e di ETS (o di APS).

Per quanto concerne la disciplina applicabile, l'art. 89, comma 1 del CTS, stabilisce come per gli enti del Terzo settore non trovi applicazione «l'articolo 143, comma 3, l'articolo 144, commi 2, 5 e 6 e gli articoli 148 e 149 TUIR» e neanche «la legge 16 dicembre 1991, n. 398».

In concreto, iscrivendosi al RUNTS, si perderebbe la possibilità di usufruire del regime di decommercializzazione dei corrispettivi specifici, come disciplinato dal TUIR, nonché quello di forfetizzazione delle imposte (IVA e IRES), salva comunque la possibilità di poter usufruire di un analogo regime forfetario ex art. 85 CTS, qualora l'ente assuma la qualifica di APS e nel precedente periodo di imposta abbiano percepito ricavi commerciali non superiori ad euro 130.000.

Di interesse il rilievo che oltre ai citati vantaggi fiscali, l'iscrizione al RUNTS comporterebbe comunque anche vantaggi non fiscali come, ad esempio la possibilità di accedere a fondi pubblici per la realizzazione di progetti e di attività di interesse generale (v. art. 72 CTS) ovvero di usufruire del “regime di favore” in riferimento ai rapporti con gli enti pubblici.

Nello specifico, le Amministrazioni pubbliche - di cui all'art. 1, comma 2, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 -, possono sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento, in favore di terzi, di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Le citate convenzioni, sul piano economico, possono prevedere esclusivamente pe le ODV e le APS coinvolte, il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate (art. 56, CTS).

Infine, si segnala la disciplina in materia di compatibilità con le destinazioni d'uso (art. 71 CTS): le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono considerate compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dalla legislazione in materia, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.

Peraltro, lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli ETS, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent'anni, nel corso dei quali l'ente concessionario ha l'onere di effettuare sull'immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e tutti quelli necessari a mantenerne la funzionalità.

In conclusione sulla convenienza o meno per una ASD di iscriversi al RUNTS ovviamente non c'è una risposta univoca ma si rimanda ad una valutazione discrezionale dell'associazione stessa, in base ad una concreta analisi dei propri costi / benefici; ad esempio qualora l'ASD presenti ricavi commerciali elevati e comunque superiori ad euro 130.000, avrà sicuramente interesse a non diventare ETS in quanto perderebbe la possibilità di usufruire del regime di tassazione forfettaria ex L. 398/91. (v. A. Fici, Terzo settore e sport dilettantistico, AICCON, Working Paper, 173, 2019).

Di contro, appare probabile che l'eventuale stanziamento di fondi europei per attività sociali avrà in futuro come (sicuri) destinatari gli ETS iscritti al RUNTS, con maggiore difficoltà per tutti gli altri enti non iscritti di potervi accedere.

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