Le norme emergenziali per le imprese in crisi nella Relazione tematica n. 56/2020 della Corte di Cassazione

04 Agosto 2020

La Corte Suprema di Cassazione, Ufficio del Massimario e del ruolo, con la Relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020 avente ad oggetto le “Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale”, ha affrontato, tra gli altri, il tema relativo alle norme “emergenziali” per le imprese in crisi.
Le norme “emergenziali” per le imprese in crisi

La Corte di Cassazione ha dedicato un apposito capitolo della sua Relazione tematica (Relazione n. 56 dell'8 luglio 2020) alle norme cosiddette emergenziali per le imprese in crisi.

E ciò perché, come da essa stessa sottolineato, la pandemia da Coronavirus e le conseguenti misure adottate dai singoli Stati per limitare la diffusione del contagio modificheranno certamente le attuali condizioni di mercato, con inevitabili conseguenze sul sistema economico-finanziario delle imprese.

Nella Relazione la Corte ha citato espressamente uno studio intitolato “Impact of the Coronavirus on the Italian non-financial corporates”, nel quale la Cerved Rating Agency ha stimato per le imprese italiane una perdita cospicua di fatturato ed ha previsto, nella peggiore delle ipotesi, un rischio di default di circa il 10,4 per cento (quindi un tasso doppio rispetto al normale).

Notevole rilievo ha poi dato alla raccomandazione recapitata ai legislatori europei dal Comitato esecutivo di CERIL (Conference of European Restructuring and Insolvency Law) che, il 20 marzo 2020, ha espresso preoccupazioni sull'idoneità della normativa sia europea che dei singoli Stati nazionali ad affrontare la crisi da Covid-19 ed ha auspicato misure sospensive di obblighi e termini di presentazione delle domande di accesso alle procedure concorsuali. Tale raccomandazione ha ipotizzato una sorta di irresponsabilità degli imprenditori a prescindere dall'effettiva prova che la crisi dell'impresa dipenda effettivamente dalla pandemia. Ed ha inoltre evidenziato la necessità di affrontare la grave crisi di liquidità che le imprese stanno vivendo, non solo con interventi diretti degli Stati (eventualmente) in deroga alla normativa sugli aiuti di Stato e non solo con il corposo acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea, ma anche con una moratoria generalizzata delle azioni esecutive contro le imprese insolventi.

La Corte ha analizzato nel dettaglio la normativa emergenziale dettata dal Decreto Legge n. 23 dell'8 aprile 2020 (“Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga dei termini amministrativi e processuali”), il quale ha introdotto misure temporanee per le aziende che incidono sia sulla disciplina fallimentare che su quella delle imprese.

Con tale decreto viene procrastinata al 1° settembre 2021 l'entrata in vigore del Codice della Crisi d'impresa e dell'insolvenza, emanato con il d.lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019. La Relazione illustrativa al d.l. giustifica il differimento dell'entrata in vigore del Codice sulla base di una copiosa serie di motivi. Il primo - evidenzia la Corte - concerne le misure di allerta, costruite dalla l. delega n. 155 del 2017 dall'archetipo francese, con lo scopo di incentivare l'emersione anticipata della crisi – di cui si stabiliscono gli indicatori – e promuovere le trattative tra debitore e creditori in un plesso neutro e degiurisdizionalizzato, riservato e confidenziale. Su uno sfondo economico afflitto - si legge - le finalità immanenti al nuovo istituto risulterebbero frustrate per l'inettitudine degli indicatori ad assolvere al proprio ruolo selettivo. Lo scopo del Codice è quello di risolvere il problema della crisi di impresa prima che esso trasmodi nell'insolvenza irreversibile dell'imprenditore, con l'inevitabile apertura della procedura di liquidazione giudiziale. È su questo impianto teleologico che si inseriscono le regole sulla negoziazione “protetta” della crisi e sul concordato preventivo, col netto favor per quello in continuità. Si tratta di una somma di finalità che nel dilaniato contesto economico attuale sarebbe evidentemente inappagata.

Spicca anche - prosegue la Corte - l'opportunità pragmatica di consentire agli operatori di fronteggiare la drammaticità del momento con l'apparato consueto dei loro strumenti, dispensandoli dalle incertezze del collaudo anche interpretativo di quelli di nuova matrice. Non marginale appare, poi, l'impellenza di coordinare al meglio l'entrata in vigore della legge con l'applicazione della Direttiva UE 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva delle imprese, il cui termine di recepimento nei paesi membri scade il 17 luglio 2021.

Il d.l. n. 23 prevede anche la sospensione ex lege, per l'esercizio in corso, dell'obbligo per le società di ricostituire il capitale in caso di perdita (artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, e 2482-ter), con l'inertizzazione delle conseguenze previste dall'ordinamento per il caso di sua omissione (artt. 2484, comma 1, n. 4 per le società di capitali e 2545-duodecies c.c. per le società cooperative). Vengono, in altri termini, ibernate (così testualmente la Corte) dal 9 aprile 2020 e fino al 31 dicembre 2020 le norme sulle perdite del capitale e sullo scioglimento delle società. La parentesi esonerativa si apre al di fuori di qualsiasi controllo pubblicistico e intercetta tutte le imprese, senza distinzioni. In buona sostanza - si legge nella Relazione dei Supremi Giudici - le società di capitali che abbiano sofferto perdite tali da attingerne il capitale in misura superiore al terzo, sono sollevate – quand'anche abbiano fatto ricorso all'istituto del concordato preventivo o all'accordo di ristrutturazione dei debiti – dall'obbligo di ricapitalizzarsi o di trasformarsi in altro tipo societario fino alla fine di quest'anno. Una sorta di franchigia - chiosa la Corte - della regola codicistica “trasforma, ricapitalizza o liquida”, la cui meccanica e subitanea applicazione lacererebbe in misura vistosa l'intero tessuto industriale. La Relazione al decreto afferma che “nonostante le massicce misure finanziarie in corso di adozione, si palesa una prospettiva di notevole difficoltà nel reperire i mezzi per un adeguato rifinanziamento delle imprese”. Chiaro, peraltro, che l'estemporanea stasi degli obblighi valga ad aggiornare all'anno che verrà il problema della tenuta strutturale delle imprese, chiamate sin d'ora a ridefinire strategicamente il proprio equilibrio economico-finanziario.

Sussistenza della continuità aziendale per la redazione del bilancio

Ancora, la Corte puntualizza come il d.l. n. 23 del 2020 (art. 7) sterilizzi transitoriamente l'obbligo, contemplato dall'art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c., di verificare la sussistenza della continuità aziendale per la redazione del bilancio relativo all'anno in corso. Le società che già operavano nella prospettiva della continuità aziendale sono abilitate ope legis a seguire il medesimo criterio di redazione del bilancio 2020 quand'anche gli indici di continuità dovessero risultare deficitari all'attualità. La Corte evidenzia come si introduca una sorta di prorogatio del “going concern”, che consente alle imprese di tenere per buoni – in una peculiare continuità aziendale ultrattiva – gli schemi e le poste del recente passato ante-Covid, quand'anche non propriamente rappresentative di una realtà ormai solcata dalla crisi. Nello scenario odierno alla perdita temporanea di reddito si associa l'impossibilità di effettuare previsioni di cassa. La continuità viene resa, pertanto, singolarmente retrospettica, atteggiandosi a profilo da rintracciare all'interno di bilanci già chiusi e redatti in data antecedente al 23 febbraio 2020, ossia di documenti anteriori all'irruzione del Coronavirus. Anche in questo caso, precisa la Cassazione, l'esenzione è generalizzata e prescinde dall'analisi della situazione dell'impresa, non vagliandosi se essa sia o meno interessata dalle conseguenze della pandemia o esibisca una precarietà finanziaria pregressa o indipendente.

La norma - si legge nella Relazione - ha un obiettivo palpabile: sospendere il giudizio sulle prospettive di continuità aziendale in occasione del bilancio d'esercizio “nel presupposto che le difficoltà attuali siano temporanee e nella prospettiva (rectius: con l'auspicio) del futuro recupero del going concern” (Guiotto, La temporanea sospensione del giudizio sulla continuità aziendale nel bilancio d'esercizio, in Fallimento, 2020, 5, 603). Si soprassiede - chiarisce la Corte - rispetto alla prognosi sull'impresa, quindi, in attesa che la situazione globale si sedimenti. Nondimeno - proseguono i supremi Giudici - le prospettive della continuità aziendale non sono destinate ad esser valutate esclusivamente in occasione del bilancio d'esercizio, dovendo essere oggetto di verifica continuativa da parte degli amministratori attraverso adeguati assetti organizzativi, com'è previsto dall'art. 2086 c.c., norma non vanificata dal d.l. n. 23 del 2020. La sussistenza della continuità e di adeguate prospettive economiche è, del resto, una circostanza di fatto che non può essere asseverata per decreto quand'anche provvisto di forza di legge. Ne deriva che, cessata l'emergenza Coronavirus e spirati i termini di efficacia dell'art. 7, le società si troveranno, in ogni caso, a valutare in termini ordinari la loro consistenza patrimoniale e le loro attuali (a quel tempo) prospettive economiche. Sarà indispensabile che l'impresa abbia mantenuto oppure riacquistato un equilibrio economico-finanziario e una consistenza patrimoniale tali da consentirle effettivamente la prosecuzione della propria attività. Il percorso si rivelerà scosceso.

Finanziamenti a favore della società senza la postergazione

L'art. 8 del d.l. n. 23 permette poi ai soci di ottenere il rimborso dei finanziamenti effettuati a favore della società senza subire la postergazione rispetto agli altri creditori, quindi con un disinserimento transitorio dei vincoli derivanti dagli artt. 2467 e 2497-quinquies c.c. La finestra temporale entro cui i vincoli non rilevano è ricompresa, ancora una volta, fra l'entrata in vigore del decreto “liquidità” (9 aprile 2020) e la fine dell'esercizio sociale in corso (31 dicembre 2020). Il trattamento di favore per i soci - si legge - alligna nell'opportunità di consentire all'ente il rastrellamento di tutte le risorse finanziarie possibili, quand'anche sub specie di prestiti “anomali” da parte di membri della compagine che in una congiuntura tanto convulsa dell'impresa sarebbero scoraggiati a metterle sul piatto.

Agevolazioni

Vi è poi l'art. 9 del d.l. il quale contiene agevolazioni in favore degli imprenditori in concordato o che abbiano imboccato la via dell'accordo di ristrutturazione, riconoscendo loro la facoltà di chiedere una proroga del termine sino a novanta giorni per riformulare un piano e in pendenza di istanze di fallimento; nel caso in cui l'omologa sia già stata pronunciata, gli imprenditori potranno posticipare sino a sei mesi i termini dei pagamenti programmati. L'obiettivo - si legge - è quello di evitare che le procedure avviate o definite in condizioni di mercato non deformate dalla pandemia facciano naufragio in un quadro di riferimento violentemente mutato. Se nel caso di procedure già in fase esecutiva - prosegue la Corte - l'architrave emergenziale si risolve in una proroga ex lege, forfettizzata in sei mesi, dei termini di adempimento, per le procedure ancora in itinere si crea il viatico per una riattualizzazione delle ipotesi solutorie della crisi.

Improcedibilità delle domande di fallimento

Infine il d.l. n. 23 del 2020, all'art. 10, dispone l'improcedibilità delle domande di fallimento depositate tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020, facendo salve solo quelle proposte dal pubblico ministero e corredate da istanze cautelari o conservative ex art. 15 l. fall. (Procedimento per la dichiarazione di fallimento). Il legislatore, sulla scia degli altri Paesi Europei, prevede l'improcedibilità, optando per una misura eccezionale e temporanea, volta a sbarrare sia le istanze dei creditori, sia quelle in proprio del debitore, così consentendo a quest'ultimo di “valutare con maggior ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbe in gran parte da ricondursi a fattori esogeni” (così la Relazione illustrativa al d.l.).

Da segnalare infine che la Corte di Cassazione, nella sua Relazione tematica, ravvisa nel d.l. n. 23 del 2020 un'altra assenza: quella delle imprese minori non fallibili, rientranti nell'area del c.d. “sovraindebitamento”, disciplinato dalla l. n. 3 del 2012. Ne consegue - si legge - che per gli accordi sulla composizione della crisi o per il piano del consumatore non vi sia alcuna proroga dei termini di adempimento previsti nella proposta ai creditori, né alcuna possibilità per i soggetti sovraindebitati di adeguare le proposte già presentate e già approvate alle mutate condizioni economiche. Né parrebbero applicabili in via analogica le misure d'eccezione previste per le imprese fallibili.

In conclusione

Dalla lettura delle Relazione tematica n. 56/2020 della Corte di Cassazione sembrerebbero ravvisarsi delle vere e proprie “criticità” nella normativa emergenziale sulla crisi d'impresa.

In particolare:

  • Le misure di allerta previste dal nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza sembrerebbero essere compromesse nella loro ratio - l'incentivazione dell'emersione anticipata della crisi - per l'inettitudine degli indicatori ad assolvere al proprio ruolo selettivo;
  • non sembra valutata appieno l'urgenza di coordinare l'entrata in vigore del nuovo Codice della crisi con l'applicazione della Direttiva UE 1023/2019 sui quadri di ristrutturazione preventiva delle imprese, il cui termine di recepimento per i Paesi membri scade il 17 luglio 2021;
  • per le società di capitali che abbiano intaccato il proprio patrimonio in misura superiore a un terzo, la sospensione degli obblighi previsti dal codice civile di ricapitalizzarsi o di trasformarsi in altro tipo societario fino alla fine di quest'anno rimanda all'anno prossimo il problema della loro tenuta strutturale. Esse, però, dovranno fin da subito perlomeno ipotizzare strategicamente l'assetto economico finanziario che assumeranno nel 2021;
  • la sospensione dell'obbligo di cui all'art. 2423-bis, comma 1, n. 1, c.c., di verificare la sussistenza della continuità aziendale per la redazione del bilancio relativo all'anno in corso, comporterà comunque per le società, una volta superata l'emergenza da Covid-19, l'analisi della propria reale consistenza patrimoniale e delle loro prospettive economiche. Sicché, anche oggi (in tempi di emergenza da Coronavirus) le imprese dovranno fare di tutto per mantenere o riacquistare un equilibrio economico-finanziario e una consistenza patrimoniale tali da consentire loro la prosecuzione effettiva della propria attività post Covid-19;
  • in tema di imprese minori non fallibili ex L. n. 3 del 2012, per quanto attiene sia agli accordi sulla composizione della crisi che al piano del consumatore, nella normativa emergenziale non si ravvisa alcuna proroga dei termini di adempimento previsti nella proposta ai creditori, così come non si ravvisa alcuna possibilità per i soggetti sovraindebitati di adeguare le proprie proposte, già presentate ed approvate, alle mutate condizioni economiche.

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