Il pagamento dei debiti anteriori nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi

05 Agosto 2020

Il pagamento di debiti anteriori ex art. 3, comma 1-bis, d.l. n. 347/2003 non può essere autorizzato per assecondare pretese “ricattatorie” dei creditori anteriori, né qualora l'azienda dell'imprenditore insolvente sia oggetto di un contratto d'affitto, atteso che in detta ipotesi l'eventuale pagamento non sarebbe funzionale alla continuità aziendale della società in procedura, ma a quella dell'affittuaria.
Massima

Con il decreto in commento il Tribunale di Torino è stato chiamato a pronunciarsi su una norma la cui applicazione non è molto ricorrente nella prassi ma che, ad ogni modo, assume significativa rilevanza sistematica nel più ampio contesto della disciplina delle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza. La norma in questione è quella che, nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al d.l.23 dicembre 2003, n. 347, consente al giudice delegato di autorizzare il pagamento di debiti anteriori all'apertura della procedura medesima.

Quanto detto è espressamente sancito dall'art. 3, comma 1-bis, del menzionato d.l. n. 347/2003, a mente del quale “il giudice delegato, prima dell'autorizzazione del programma, può autorizzare il commissario straordinario al pagamento di creditori anteriori, quando ciò sia necessario per evitare un grave pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa o alla consistenza patrimoniale dell'impresa stessa”; già prima dell'inserimento di tale disposizione nel corpo del citato art. 3 (per opera dell'art. 1, d.l. 3 maggio 2004, n. 119), peraltro, una regola analoga poteva trarsi dall'art. 18, comma 2, d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, secondo cui “sono inefficaci rispetto ai creditori i pagamenti di debiti anteriori alla dichiarazione dello stato di insolvenza eseguiti dall'imprenditore dopo la dichiarazione stessa senza l'autorizzazione del giudice delegato”.

Entrambe le disposizioni richiamate prevedono, in sostanza, che l'organo gestorio della procedura possa chiedere di essere autorizzato dal giudice delegato al pagamento dei debiti anteriori, rispettivamente, alla dichiarazione di insolvenza pronunciata dal Tribunale (per la procedura di cui al d.lgs. n. 270/1999) o al decreto di ammissione immediata alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.l. n. 347/2003. Rispetto a quella di cui al d.lgs. n. 270/1999, tuttavia, la previsione di cui all'art. 3 d.l. n. 347/2003 si contraddistingue per l'espressa indicazione dei presupposti al ricorrere dei quali l'autorizzazione può essere concessa, e cioè che i pagamenti in discussione appaiano funzionali ad evitare “un grave pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa o alla consistenza patrimoniale dell'impresa stessa”.

Come anticipato, si tratta di una regola di notevole importanza sistematica, per ragioni che lo stesso Tribunale di Torino non ha mancato di mettere in luce: rappresenta infatti una palese deroga al principio della par condicio creditorum sancito dall'art. 2741 c.c. il quale, pur se correttamente inteso nel senso del necessario rispetto delle regole di graduazione dei crediti nell'attuazione del concorso dei creditori sul patrimonio del debitore, costituisce ancora uno dei connotati fondamentali di tutte le procedure concorsuali, tra le quali vanno ricondotte le procedure di cui al d.lgs. n. 270/1999 ed al d.l. n. 347/2003.Tali considerazioni, unitamente alle peculiarità del caso concreto, inducono a ritenere utile la disamina del provvedimento in oggetto.

Il caso

In sintesi, il caso concretamente portato all'attenzione del Tribunale di Torino può essere descritto nei termini che seguono.

Una società sottoposta alla procedura di amministrazione straordinaria ex d.l. n. 347/2003 ha affittato un proprio ramo d'azienda ad un terzo soggetto il quale, al contempo, ha formulato una proposta irrevocabile di acquisto del medesimo ramo aziendale con prezzo prestabilito in misura fissa e non condizionata ad alcuna variabile.

In tale quadro, alcuni fornitori “strategici” funzionali alla prosecuzione dell'attività svolta dall'affittuaria mediante il ramo d'azienda in questione, già creditori della società insolvente per forniture anteriori all'affitto ed all'ammissione alla procedura, intimano ai commissari il pagamento immediato dei propri crediti pregressi, ponendo tale adempimento quale condizione per la prosecuzione dei rapporti di fornitura con la società affittuaria del ramo d'azienda.

Valutata l'eventualità che l'interruzione di tali forniture potesse incidere sulla normale operatività del ramo d'azienda affittato, i commissari della procedura chiedono al giudice delegato l'autorizzazione ad effettuare detti pagamenti, ritenendo sussistenti nel caso di specie i presupposti richiesti dall'art. 3, comma 1-bis, del d.l. n. 347 del 2003 e chiarendo che i ridetti pagamenti sarebbero funzionali proprio a “non pregiudicare l'operazione di affitto dell'azienda” (così nel decreto).

Il giudice delegato si è perciò trovato a dover esaminare tale richiesta ed a valutare la concreta ricorrenza, nel caso appena descritto, dei presupposti richiesti dall'art. 3, comma 1-bis, d.l. n. 347/2003 per l'autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

La rilevanza delle pretese “ricattatorie” dei fornitori strategici

Passando ad esaminare il contenuto della decisione, è opportuno anticipare sin da subito che il giudice delegato ha respinto l'istanza proposta dai commissari straordinari, sulla base di una molteplicità di considerazioni che meritano puntuale disamina.

Nel decreto in commento viene affrontato in primo luogo il tema connesso alla rilevanza, ai fini de quibus, di eventuali atteggiamenti “ricattatori” posti in essere dai creditori anteriori e consistenti, in pratica, nel condizionare la prosecuzione dei rapporti commerciali con l'impresa insolvente al pagamento integrale ed immediato (cioè al di fuori delle regole del concorso) dei crediti maturati anteriormente all'ammissione alla procedura.

Nel caso di specie il giudice delegato ha escluso che simili condotte possano rilevare ai fini dell'autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori, affermando che il “grave pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa” richiesto dalla norma possa essere dimostrato soltanto “allegando l'impossibilità oggettiva di controparte di rendere la prestazione se non fosse pagata”.

Il giudice delegato, dunque, ha accolto una lettura molto restrittiva della norma, sulla cui correttezza si possono tuttavia nutrire alcuni dubbi. Tralasciando ogni considerazione di natura extragiuridica, è certo che, salvo ipotesi particolari non ricorrenti nel caso di specie, chiunque debba ritenersi libero di proseguire o interrompere i propri rapporti commerciali con altri soggetti, e ciò a maggior ragione nell'ipotesi in cui la potenziale controparte negoziale si sia già resa inadempiente rispetto ad impegni assunti precedentemente. È poi persino tautologico affermare che, qualora l'interruzione dei rapporti commerciali sia idonea a compromettere la prosecuzione dell'attività dell'imprenditore insolvente (detto in altri termini, se il fornitore è da considerarsi “strategico”), una legittima scelta in tal senso da parte del fornitore potrebbe causare “grave pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa”. Poste tali premesse, appare lecito dubitare della fondatezza di quanto affermato nel decreto in commento, nella parte in cui si esclude che il pregiudizio alla prosecuzione dell'attività d'impresa riconducibile a simili pretese da parte dei creditori possa rilevare agli effetti dell'art. 3, comma 1-bis, d.l. n. 347/2003.

In definitiva, il pagamento dei debiti anteriori vantati da fornitori strategici ben può assumere il connotato dell'essenzialità in vista della prosecuzione dell'attività dell'imprenditore insolvente, a prescindere dai motivi che possano spingere il fornitore ad interrompere le relazioni commerciali in caso di mancato pagamento dei crediti maturati anteriormente.

A tal proposito è interessante richiamare la giurisprudenza formatasi in merito all'art. 182-quinquies, comma 5, l.fall. che, anche nell'ambito della procedura di concordato preventivo c.d. “in continuità”, consente all'imprenditore di chiedere l'autorizzazione al pagamento di “crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell'attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”.

Fatte salve alcune non secondarie differenze di disciplina, anche tale norma contempla una deroga al principio della par condicio creditorum per quei debiti il cui pagamento immediato appaia essenziale per la prosecuzione dell'attività dell'imprenditore in concordato. Ebbene, la giurisprudenza ha chiarito che tale norma “ha l'evidente ratio di consentire al debitore di adeguarsi all'eventuale pretesa dei c.d. fornitori strategici di essere soddisfatti con modalità diverse rispetto agli altri creditori concorsuali e quindi di violare i canoni della par condicio a fronte della prospettiva (della minaccia) di non riuscire ad ottenere la fornitura di beni o servizi indispensabili, in quanto di fatto insostituibili, alla continuazione dell'attività di impresa”, ed ancora, ha precisato come “presupposto essenziale per la ammissibilità della richiesta sia la circostanza che i fornitori in questione abbiano piena libertà di fornire o no la loro prestazione e non siano invece vincolati da un rapporto contrattuale in essere; se questo, infatti, vi fosse il loro obbligo deriverebbe dal contratto e per l'adempimento non sarebbe necessaria la prospettiva di alcun particolare beneficio” (così, Trib. Modena, 6 agosto 2015, rel. V. Zanichelli, il quale conclude: “In altri termini e in estrema sintesi: la prospettiva dell'immediato e, se richiesto, integrale pagamento serve a convincere chi potrebbe legittimamente rifiutarsi di cooperare e non a ricondurre alla ragione chi illegittimamente rifiuta la prestazione dovuta, pena, diversamente interpretando, un'ingiustificabile caduta etica del legislatore che incoraggerebbe il cedimento ad una pretesa illegittima premiando il portatore della stessa”; nello stesso senso, Trib. Rovigo 1° agosto 2016).

Per quanto eticamente discutibili, quindi, secondo tale diversa ricostruzione le pretese “ricattatorie” dei fornitori strategici possono assumere rilevanza ai fini dell'autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori all'ammissione al concordato preventivo in continuità, che anzi sarebbe consentito dall'ordinamento proprio al fine di assecondare tali pretese, favorendo indirettamente la prosecuzione dell'attività dell'imprenditore in concordato.

Poiché la norma dettata in tema di amministrazione straordinaria è chiaramente ispirata dalla medesima finalità (cioè favorire, per quanto possibile, la continuazione dell'attività d'impresa del debitore insolvente), l'esclusione di una analoga rilevanza delle medesime condotte nell'ambito dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi diviene allora assai meno certa di quanto la lettura del decreto in commento possa lasciare intendere.

La rilevanza del pregiudizio alla “continuità indiretta”

Il provvedimento in esame indica un'ulteriore ragione, ritenuta dirimente, a fondamento del rigetto dell'istanza formulata dai commissari. Come visto in precedenza, nel caso di specie i debiti in discussione facevano capo a fornitori ritenuti strategici rispetto all'operatività di un ramo d'azienda che la società in procedura aveva affittato ad un terzo soggetto, il quale si era anche impegnato ad acquistarlo ad un prezzo già determinato e fisso.

Alla luce di tali circostanze, il giudice delegato ha ritenuto che il mancato pagamento di detti debiti e la conseguente eventuale interruzione dei rapporti di fornitura da parte dei creditori avrebbero pregiudicato semmai l'attività dell'affittuario, ma sarebbero rimasti irrilevanti per la società in procedura, sia sotto il profilo della continuazione dell'attività, già sostanzialmente cessata proprio in conseguenza dell'affitto del ramo aziendale, sia sotto il profilo della consistenza patrimoniale dell'impresa, dato che i canoni di affitto ed il prezzo di vendita non avrebbero risentito dall'eventuale interruzione dell'attività dell'affittuaria.

Anche tali rilievi meritano alcune riflessioni. Quanto all'affermata irrilevanza dell'interruzione dell'operatività del ramo d'azienda affittato rispetto alla consistenza patrimoniale della società in procedura, tale assunto può ritenersi corretto soltanto dando per scontata l'accettazione della proposta di acquisto formulata dall'affittuaria; diversamente, qualora per qualsiasi ragione la proposta non fosse accettata ed il ramo d'azienda fosse retrocesso, la funzionalità o meno dello stesso potrebbe verosimilmente incidere in maniera rilevante sulla consistenza patrimoniale della società insolvente, che si ritroverebbe alla fine del rapporto d'affitto con un ramo d'azienda ormai inattivo e dunque privo di avviamento.

Assumendo per certa l'accettazione della proposta di acquisto formulata dall'affittuaria, invece, il mancato pagamento dei debiti in discussione risulterebbe davvero irrilevante rispetto alla consistenza patrimoniale della società in procedura. È altresì vero che, nello stesso caso, il mancato pagamento dei fornitori in questione e l'eventuale interruzione dei rapporti commerciali indispensabili all'operatività del ramo aziendale affittato (e destinato ad essere venduto) non comporterebbe alcun effetto diretto sulla prosecuzione dell'attività della società ammessa alla procedura, ormai consistente, quanto al ramo d'azienda in oggetto, alla mera riscossione dei canoni d'affitto.

In sostanza, come dimostra di avere ben chiaro l'estensore del provvedimento in esame, l'eventuale pagamento dei fornitori di cui si tratta sarebbe funzionale non alla continuità aziendale della società in procedura, ma a quella dell'affittuaria. È proprio sulla base di tale constatazione che il giudice delegato ha concluso per l'insussistenza dei presupposti richiesti dall'art. 3, comma 1-bis, d.l. n. 347/2003, dimostrando implicitamente di ritenere che, agli effetti di tale norma, assumerebbe rilievo soltanto il pregiudizio alla continuità aziendale “diretta”, cioè quella assicurata direttamente all'attività dell'imprenditore ammesso alla procedura. Anche tale conclusione lascia tuttavia aperti alcuni interrogativi.

Pure in questo caso può giovare il parallelo con la disciplina in tema di concordato preventivo con continuità aziendale, il quale, secondo la recente giurisprudenza di legittimità, è configurabile anche quando l'azienda dell'imprenditore in crisi sia oggetto di un contratto d'affitto (recante o meno l'obbligo dell'affittuario di procedere successivamente all'acquisto dell'azienda stessa). Nell'ottica della salvaguardia della continuità aziendale “in senso oggettivo”, infatti, la Suprema Corte ha riconosciuto che vi è continuità aziendale meritevole di tutela anche quando l'attività d'impresa è proseguita da un soggetto diverso dall'imprenditore ammesso al concordato (cfr. Cass., sez. I, sent. 19 novembre 2018, n. 29742).

Nella medesima pronuncia la Cassazione ha preso in considerazione anche l'eventualità che il debitore concordatario affittante l'azienda possa essere autorizzato ex art. 182-quinquies, comma 5, l.fall. al pagamento di debiti anteriori, “sostanzialmente in favore dell'affittuario temporaneamente garante della continuità di impresa ed evidentemente strategici anche per esso”; pur non nascondendo la problematicità di tale ipotesi, la Suprema Corte ha ritenuto di non poter escludere a priori che una simile autorizzazione possa essere concessa, affermando che “Proprio il segnalato impiego dell'affitto d'azienda quale tappa di un percorso in funzione di una ricollocazione dell'impresa competitiva sul mercato, nella prospettiva di affidabilità soggettiva dell'affittuario in relazione al piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, può ben giustificare il pagamento di crediti anteriori per prestazioni di beni o di servizi anche nell'ipotesi di continuità con affitto d'azienda. Evidentemente, non ad opera diretta del terzo affittuario in bonis, siccome soggetto estraneo al concordato, ma del debitore richiedente una specifica autorizzazione” (così ancora, Cass., sez. I, sent. 19 novembre 2018, n. 29742).

La Cassazione, dunque, non soltanto ha ammesso la configurabilità del concordato con continuità indiretta, ma ha anche chiarito che il pagamento di debiti anteriori da parte del soggetto in concordato possa essere autorizzato anche quando ciò sia indispensabile per garantire la prosecuzione dell'attività oggettivamente intesa, a prescindere dal fatto che tale attività non sia più esercitata dal debitore concordatario ma da un terzo che conduca in affitto l'azienda del primo.

Alla luce dei principi sanciti dalla giurisprudenza in tema di concordato preventivo con continuità indiretta, le conclusioni raggiunte dal giudice delegato nel decreto in commento appaiono opinabili, tanto più considerato che, nella disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, le “finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali” (così l'art. 1, d.lgs. n. 270/1999) assurgono esplicitamente a scopo fondamentale della procedura stessa.

In tale prospettiva, il pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa richiesto dall'art. 3, comma 1-bis, d.l. n. 347/2003 per l'autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori potrebbe, e forse dovrebbe, intendersi anche in senso puramente oggettivo, come pregiudizio alla continuazione dell'attività d'impresa esercitata attraverso il “patrimonio produttivo” originariamente facente capo all'imprenditore insolvente.

Conclusioni

Alla luce delle sintetiche riflessioni sin qui esposte, si può concludere rilevando l'eccessiva rigidità mostrata nel caso di specie dal giudice delegato chiamato a valutare l'istanza proposta dai commissari straordinari.

Trattandosi di una vistosa deviazione dal principio della par condicio creditorum, è corretto ritenere che le valutazioni demandate sul punto al giudice delegato debbano essere rigorose. Tale rigore dovrebbe tuttavia indirizzarsi sull'accertamento del concreto pericolo che il mancato pagamento dei debiti anteriori possa arrecare pregiudizio alla “continuazione dell'attività d'impresa” o alla “consistenza patrimoniale dell'impresa stessa”; in altri termini, gli unici pagamenti autorizzabili sono quelli davvero indispensabili alla prosecuzione dell'attività d'impresa o per la conservazione dell'integrità aziendale, pur nella consapevolezza che tale indispensabilità possa scaturire da atteggiamenti latamente “ricattatori” (ma comunque legittimi) dei creditori anteriori.

Attesa la finalità conservativa del patrimonio produttivo che costituisce il cardine dichiarato dell'istituto dell'amministrazione straordinaria, inoltre, il fatto che la continuità aziendale venga assicurata da un terzo soggetto piuttosto che dall'imprenditore insolvente dovrebbe assumere importanza secondaria agli effetti dell'autorizzazione al pagamento dei debiti anteriori, rilevando principalmente che il pagamento sia realmente funzionale a non pregiudicare tale continuità.

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