Lavoratori fuori sede: non tutte le maggiorazioni corrisposte sono indennità di trasferta

Francesca Siccardi
06 Agosto 2020

L'indennità di trasferta concorre a formare reddito nella misura del 50% del suo ammontare solo se sussistono congiuntamente le seguenti condizioni: 1) mancata indicazione nel contratto della sede di lavoro; 2) svolgimento di attività lavorativa...

L'indennità di trasferta concorre a formare reddito nella misura del 50% del suo ammontare solo se sussistono congiuntamente le seguenti condizioni: 1) mancata indicazione nel contratto della sede di lavoro; 2) svolgimento di attività lavorativa che richiede continua mobilità; 3) corresponsione al dipendente di un'indennità in misura fissa, in relazione allo svolgimento di attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili.

Così ha precisato la Corte di cassazione, con ordinanza del 4 agosto 2020, n. 16673, stabilendo quando le somme erogate ai dipendenti debbano essere qualificate indennità di trasferta.

Una società ha fatto ricorso in opposizione al verbale di accertamento con cui l'INPS aveva qualificato come trasfertisti alcuni lavoratori ed assoggettato a contribuzione previdenziale le somme loro erogate a titolo di trasferta, applicando l'art. 51, comma 6, TUIR.

Il Tribunale e la Corte d'appello hanno rigettato l'opposizione, ritenendo che, sebbene nei contratti di lavoro fosse indicata una sede ove prestare l'attività, i lavoratori erano comunque tenuti ad espletare la prestazione in luoghi sempre variabili e diversi, non sostenevano alcuna spesa per gli spostamenti e, comunque, ricevevano un'indennità di trasferta parametrata alla distanza chilometrica del cantiere e corrisposta in misura superiore rispetto alle giornate lavorative. Da tali elementi, pertanto, i giudici di merito hanno dedotto che la trasferta avesse carattere strutturale per l'attività d'impresa e che i dipendenti avrebbero dovuto essere inquadrati come trasfertisti.

Avverso la pronuncia la parte soccombente ha presentato ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell'art. 51, comma 6, TUIR, risultando dirimente ai fini del decidere le circostanze che nei contratti individuali di lavoro fosse indicata la sede lavorativa, ove la prestazione era occasionalmente resa, e che ai dipendenti veniva corrisposta l'indennità di trasferta solo in relazione all'effettivo svolgimento di attività lavorativa in sede diversa.

La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, ricordando, innanzitutto, che per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali si applica quanto sancito dall'art. 51 del TUIR.

Tale norma prevede al comma 5 che le indennità percepite per trasferte o missioni fuori dal comune formano reddito solo per la parte eccedente l'importo previsto dalla legge, mentre al comma 6 sancisce che le indennità e maggiorazioni retributive spettanti ai lavoratori che sono per contratto tenuti ad espletare attività in luoghi sempre diversi - anche se corrisposte con continuità – concorrono a formare reddito nella sola misura del 50% del loro ammontare.

Il comma 6, poi, è stato oggetto di interpretazione autentica ad opera del d.l. n. 193 del 2016, convertito in l. n. 225 del 2016, secondo cui tale regime trova applicazione solo se sussistano tre condizioni concomitanti, e cioè mancata indicazione nel contratto della sede di lavoro, svolgimento di attività che richieda la mobilità continua del dipendente, corresponsione di una maggiorazione indennitaria in misura fissa, a prescindere dal fatto che il lavoratore si sia effettivamente recato in trasferta.

La Suprema Corte ha effettuato una ricognizione giurisprudenziale in proposito, richiamando anche la pronuncia resa dalle Sezioni Unite nel 2017, che, sulla scorta della retroattività della norma autoqualificatasi come di “interpretazione autentica”, ne hanno sancito l'aderenza ai principi costituzionali di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di equo processo.


Proprio in esito a detta sentenza, infatti, successivamente si è consolidato l'orientamento secondo cui «l'articolo 51, comma 6, trova applicazione solo per le indennità corrisposte ai lavoratori per i quali sussistano congiuntamente le seguenti condizioni: 1) mancata indicazione nel contratto della sede di lavoro; 2) svolgimento di attività lavorativa che richiede continua mobilità; 3) corresponsione al dipendente di un'indennità in misura fissa, in relazione allo svolgimento di attività lavorativa in luoghi sempre diversi e variabili».

Non essendosi l'indagine di merito svolta informata ai suddetti criteri, avendo ritenuto irrilevanti l'indicazione in contratto della sede di lavoro e la corresponsione di indennità in misura variabile giacché rapportata alle effettive giornate di trasferta, con conseguente qualificazione dei dipendenti interessati come trasfertisti, la Cassazione ha cassato l'impugnata sentenza, rinviando la causa alla Corte di appello affinché si uniformi ai criteri legali, anche alla luce del nuovo quadro giurisprudenziale.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.