Rimozione dell'atto illegittimo: il procedimento di autotutela a presidio del buon andamento dell'azione amministrativa

10 Agosto 2020

L'autotutela configura il potere riconosciuto alla Pubblica amministrazione di farsi giustizia da sé e attiva un procedimento di secondo grado che consente all'amministrazione di rivalutare le scelte adottate e di rimuovere un atto ritenuto illegittimo, salvo il sindacato giurisdizionale di cui all'art. 113 Cost. Il procedimento di autotutela assume i connotati di una procedura di secondo grado, atteso che ha ad oggetto un provvedimento originario che viene sottoposto ad una nuova valutazione.
La natura del procedimento di autotutela

L'autotutela configura il potere riconosciuto alla Pubblica amministrazione di farsi giustizia da sé e attiva un procedimento di secondo grado che consente all'amministrazione di rivalutare le scelte adottate e di rimuovere un atto ritenuto illegittimo, salvo il sindacato giurisdizionale di cui all'art. 113 Cost. Il procedimento di autotutela assume i connotati di una procedura di secondo grado, atteso che ha ad oggetto un provvedimento originario che viene sottoposto ad una nuova valutazione. L'azione amministrativa deve essere improntata ai principi dell'imparzialità e del buon andamento costituzionalizzati all'art. 97, pertanto, la Pubblica Amministrazione ha il dovere di intervenire qualora siano ravvisabili delle condotte contrarie ai suddetti principi. Il potere di autotutela consente all'Amministrazione Finanziaria di non ricorrere all'autorità giurisdizionale per l'eliminazione di un atto invalido, inopportuno o comunque non più rispondente all'interesse pubblico, potendovi provvedere da sé mediante l'emissione di un provvedimento esecutivo (P. Virga, Diritto amministrativo, Atti e ricorsi, 2, 4 ed. agg. Milano, 1997, 131).

L'autotutela rappresenta un residuo della funzione giurisdizionale esercitata dall'Amministrazione mediante l'adozione di provvedimenti amministrativi ed è espressione della semplificazione amministrativa riconosciuta dalla L. 241/90. In ragione della rilevanza dell'interesse pubblico e per l'esigenza di soddisfare l'imparzialità, la Pubblica Amministrazione è titolare di un potere di “provvedere da se'' non essendo necessario l'intervento di un altro organo per annullare l'atto”.

L'istituto trova fonte nell'art. 97 della Costituzione ed è espressione della discrezionalità amministrativa che comporta un'attenta valutazione e un bilanciamento da parte dell'amministrazione degli interessi in gioco. Il procedimento di autotutela non si presenta come ulteriore strumento di difesa del contribuente, in tal caso, infatti, si parlerebbe di “tutela” azionando l'intervento di soggetti terzi (A. Buscema, L'autotutela tributaria, Buffetti, Roma, 2009), ma come potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione di garantire l'imparzialità. La Pubblica Amministrazione procede ad una ponderazione degli interessi per giungere alla soluzione più ragionevole e coerente con i principi costituzionali e gode di una presunzione di legittimità del suo operato di guisa che, qualora l'atto risulti illegittimo la Pubblica Amministrazione è tenuta a ritirarlo. L'autotutela può avere luogo ex officio ovvero ad istanza di parte. Per ciò che concerne l'autotutela d'ufficio la disciplina è recepita direttamente dall'art. 21-nonies della l. 241/90 a tenore del quale “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”.

La ratio della precitata norma va ravvisata nella necessità di tutelare l'affidamento del destinatario, nonché la certezza e la stabilità degli effetti giuridici prodotti (E. Giardino, L'autotutela amministrativa e l'interpretazione della norma, in Giorn. d. amm., 2018, 4, 439).

Il termine “può” non indica una mera facoltà, ma il potere attribuito alla Pubblica Amministrazione di intervenire in presenza di un atto emesso in violazione delle disposizioni di legge. L'autotutela è, dunque, un potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione che deve essere esercitato secondo il principio di bilanciamento di interessi ovvero tenendo conto dei destinatari (interessati) e dei controinteressati.In ossequio al principio di economicità e della certezza dei rapporti giuridici, l'esercizio del potere di autotutela deve avvenire entro un termine ragionevole come specificato dalla stessa norma giuridica “il potere di autotutela può essere esercitato entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione del provvedimento di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

La condotta dell'Amministrazione finanziaria, infatti, deve avvenire non solo secondo i principi di imparzialità, trasparenza e buona fede (art. 97 Cost.), ma anche secondo il principio di economicità che esprime l'esigenza dei cittadini di avere delle risposte in tempi brevi. Non è fissato un termine ex lege per l'esame delle istanze potendosi, invero, applicare il termine ordinario di novanta giorni di cui all'art. 2, comma 3, l. n. 241/90 per la conclusione del procedimento amministrativo (S. Capolupo, Manuale dell'accertamento delle imposte, Milano, 2005, 1908).

Come ogni procedimento amministrativo, anche l'autotutela si presenta come un insieme di fasi strumentali all'adozione del provvedimento finale. Originato il procedimento si instaura una fase cd. istruttoria durante la quale l'amministrazione esamina la richiesta valutando attentamente gli interessi, la violazione contestata e l'eventuale affidamento che sul provvedimento già emesso è stato riposto. Al pari di ogni provvedimento anche l'atto finale del procedimento di autotutela dovrà contenere tutti gli elementi indicati dall'art. 7, L. n. 212/2000, che stabilisce che gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:

a) l'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento;

b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela;

c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'attività amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.

Qualora l'Amministrazione decida di rimuovere l'atto, il provvedimento di autotutela deve essere ampiamente motivato, in altre parole, i provvedimenti di autotutela sono legittimi nella misura in cui sussistano attuali ragioni di interesse pubblico puntualmente esternate in motivazione; tale motivazione si impone ancora di più nel caso in cui si sia creata in capo ai privati una aspettativa qualificata (T.A.R. Roma (Lazio) sez. II 21 luglio 2016 n. 8380 in www.dejure.it).

L'art. 21-nonies l. 241/90prescrive un vincolo motivazionale a carico della Pubblica Amministrazione che si identifica con le ragioni di interesse pubblico, l'atto finale dovrà essere adeguatamente motivato e specificare l'interesse prevalente che ha determinato l'emissione del provvedimento.

I presupposti per l'attivazione del procedimento di autotutela

Il ricorso della Pubblica amministrazione all'autotutela, mediante annullamento d'ufficio, sia classica che sui generis, può avvenire solamente in presenza delle condizioni di cui all'art. 21-nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 ovvero, sussistendo le ragioni diinteresse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; peraltro, alla luce delle modifiche introdotte dal d.l. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla l. 11 novembre 2014, n. 164, sussiste uno sbarramento temporale all'esercizio del potere di autotutela, fissato in diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici. I presupposti per l'operatività dell'autotutela sono:

  • accertata illegittimità dell'atto;
  • sussistenza delle ragioni di interesse pubblico;
  • decorso di un termine ragionevole;
  • bilanciamento di interessi tra interessati e controinteressati,
L' autotutela nei procedimenti aventi ad oggetto tributi

In ambito tributario un primordiale accenno al procedimento di autotutela è stato ravvisato nell'art. 3, comma 6, d.l. n. 261/1990, conv. in legge n. 331/1990 a tenore del quale “gli accertamenti effettuati ai sensi dell'art. 41-bis del decreto n. 600/73 sono annullati dall'ufficio che li ha emessi se, dalla documentazione prodotta dal contribuente, risultano infondati in tutto o in parte”.

E' con il d.l. n. 564/1994 convertito nella legge n. 656/94 che si inizia espressamente a parlare di autotutela come potere riconosciuto alla Pubblica Amministrazione.

L'autotutela può avere ad oggetto gli atti impositivi e gli atti della riscossione e, come evidenziato, può essere attivata d'ufficio qualora sia la Pubblica Amministrazione a ravvisare un vizio nell'atto emesso e provveda a ritirarlo ovvero può conseguire anche ad un'istanza di parte e, in tale ipotesi, il contribuente può fare richiesta di rimozione del provvedimento fino al secondo grado di giudizio. Quando la richiesta proviene dal privato l'Amministrazione è chiamata ad intervenire su sollecitazione del contribuente che al fine di evitare il contenzioso tributario chiede un intervento diretto e tempestivo dell'Amministrazione. Il contribuente che richiede all'Amministrazione Finanziaria di ritirare in via di autotutela un avviso di accertamento divenuto definitivo, deve prospettare l'esistenza di un interesse di rilevanza generale dell'Amministrazione alla rimozione dell'atto. Per procedere alla rimozione dell'atto non è sufficiente la sussistenza di un vizio di legittimità, essendo, altresì, necessario che il provvedimento di autotutela sia funzionale al soddisfacimento di un interesse pubblico, non realizzabile altrimenti. Il procedimento di autotutela attivato ad istanza di parte è la massima espressione dell' “autotutela”, perché consente al cittadino di soddisfare il proprio interesse (il cittadino che chiede il ritiro dell'atto deve provare la sussistenza di un interesse pubblico. E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2009, 974).

La legge non prescrive particolari forme di presentazione dell'istanza che, pertanto, può assumere qualunque forma ed è proponibile in carta semplice. Il contribuente dovrà indicare le ragioni di fatto e di diritto sottese alla richiesta che deve essere corredata da una documentazione idonea a sostenere la tesi prospettata dal soggetto istante. Al diritto del contribuente di chiedere all'Amministrazione Finanziaria la rimozione di un atto illegittimo corrisponde il dovere dell'Amministrazione di procedere. Non si tratta, infatti, di una mera concessione dell'Ufficio e, pertanto, all'istanza di autotutela non può e non deve corrispondere l'inerzia dell'Amministrazione Finanziaria. Qualora il procedimento sia attivato mediante la presentazione di una istanza da parte del privato si configura un obbligo di procedere, più che un obbligo di provvedere e, dunque, l'obbligo di effettuare una valutazione e un'attenta disamina della richiesta. Secondo una parte della giurisprudenza l'esercizio dei poteri (il potere della Pubblica Amministrazione non implica alcun vulnus all'effettività della tutela giurisdizionale amministrativa e ai principi costituzionali sanciti dagli artt. 24, 111 e 113, Cost., rappresentando piuttosto il naturale e coerente contemperamento della pluralità degli interessi e dei principi costituzionali che vengono in gioco nel procedimento amministrativo, ed in particolare di quello secondo grado. Il procedimento di autotutela è espressione della dinamicità dell'azione amministrazione e dell'esercizio della relativa funzione da parte della Pubblica amministrazione che ne è titolare) di autotutela ha carattere discrezionale, per cui è da escludere la sussistenza di un obbligo di provvedere in merito (T.A.R. Napoli (Campania) sez. III 22 agosto 2016 n. 4085 in www.dejure.it.).

Secondo quanto previsto dall'art. 2, c. 1 del DM 11.2.1997, n.37 l'autotutela può operare in ipotesi, che sono tassativamente previste ovvero: “l'amministrazione finanziaria può procedere in tutto o in parte all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro”:

  • errore di persona;
  • evidente errore logico o di calcolo;
  • errore sul presupposto dell'imposta;
  • doppia imposizione;
  • mancata considerazione di pagamenti d'imposta, regolarmente eseguiti;
  • mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza;
  • sussistenza di requisiti per usufruire di deduzioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
  • errore materiale del contribuente facilmente riconoscibile dall'amministrazione.

La tassatività delle ipotesi è evidentemente giustificata dalla necessità di rispettare il principio di certezza del diritto ed evitare, altresì, un uso irragionevole dell'istituto dell'autotutela.

Secondo l'articolo 1-bis del decreto legge n. 564/1994 “nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato”. Nell'esercizio del potere di autotutela l'Amministrazione Finanziaria deve tenere conto del parametro di cui all'art. 53 Cost. (quando il procedimento di autotutela ha ad oggetto un provvedimento di accertamento o altro atto concernente i tributi, l'esercizio del potere non risponde alla discrezionalità amministrativa, ma è espressione di una doverosità che dipende dal rispetto della capacità contributiva del soggetto interessato) che obbliga l'amministrazione finanziaria ad adottare un comportamento in linea con la capacità contributiva del soggetto interessato. Pertanto, per l'esercizio del potere di autotutela occorre tenere presente i principi costituzionali di cui all'art. 53 e 97 da interpretarsi in combinato disposto. Qualora la condotta dell'amministrazione finanziaria assuma i caratteri di una violazione sostanziale della giusta ripartizione, l'Ufficio è tenuto ad attivarsi, rimuovendo l'atto illegittimo.

L'insussistenza del presupposto impositivo ovvero la determinazione in misura superiore al quantum effettivamente dovuto dal contribuente rappresenta già di per sé un valido motivo di interesse pubblico che impone all'amministrazione finanziaria di ripristinare la legalità violata. In altri termini, i vizi relativi alla indebita imposizione (ossia quelli di carattere sostanziale, come contrapposti a illegittimità meramente formali) non ledono (come ovvio) solo il contribuente che richiede l'annullamento d'ufficio, ma anche, innanzitutto, l'interesse pubblico a una tassazione giusta e conforme al principio di legalità e, quindi, di capacità contributiva.

Il provvedimento conseguente all'instaurazione del procedimento di autotutela

L'Amministrazione Finanziaria, al seguito della presentazione dell'istanza di parte può adottare un provvedimento espresso o una condotta cd. silente.

Molto si è discusso in merito all'impugnabilità dell'atto con cui l'Amministrazione rifiuti di ritirare l'atto ritenuto illegittimo (Cass. civ. Sez. V n. 14243/2015 in Fisco e società), anche in considerazione della mancata indicazione del diniego di autotutela tra gli atti cd. autonomamente impugnabili. Pur in assenza di un espresso riferimento all'interno dell'art. 19 D. Lgs. 546/92 e in linea con gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, il diniego di autotutela è atto impugnabile, perché è ravvisabile una pretesa a carico del contribuente. Qualora l'Amministrazione Finanziaria rifiuti di rimuovere l'atto, il diniego di autotutela è impugnabile solo ed esclusivamente per vizi propri dell'atto stesso dovendo limitarsi alla correttezza dell'esercizio del potere discrezionale da parte dell'Amministrazione Finanziaria. Resta inteso che anche l'impugnazione del diniego di autotutela (espresso o tacito) deve essere giustificata da un interesse ad agire del contribuente (c.d. interesse legittimo “riflesso”) che non può essere immediatamente coincidente a quello sostanziale relativo alla pretesa tributaria.

Il ricorso del contribuente evidentemente sollecita un accertamento sulla legittimità della condotta dell'Amministrazione finanziaria, così come avviene nel caso di impugnazione degli atti autonomamente impugnabili elencati nell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992, ma il provvedimento di autotutela non è annoverato in detto elenco poiché l'autotutela (anche quella parziale) solo indirettamente incide sulla costituzione dell'obbligazione tributaria, essendo invece direttamente rivolta a fornire al contribuente istante una risposta in ordine alla correttezza dell'agire amministrativo che ha condotto alla notificazione dell'atto impositivo (P. Piantavigna, Riflessioni sull'autotutela parziale alla luce dell'ondivaga nomofilassi della Cassazione in Rivista di Diritto Finanziario e Scienza delle Finanze, 2016, 3, 77).

Il giudice chiamato a decidere sull'impugnazione del diniego di autotutela dovrà limitarsi a verificare la correttezza dell'esercizio del potere discrezionale da parte dell'Amministrazione Finanziaria, non potendo sindacare sulla fondatezza della pretesa tributaria. Un sindacato di merito da parte del giudice tributario finirebbe per determinare un'indebita sostituzione del giudice nell'attività amministrativa o un'inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (in tal senso Comm. trib. reg. Campobasso (Molise) sez. II 03 novembre 2017 n. 651; Comm. trib. reg. Roma (Lazio) sez. VIII 05 aprile 2017 n. 1891 in www.dejure.it.).

Se l'Ufficio omette di rispondere alla richiesta, il contribuente, qualora ritenga che l'inerzia sia grave, può adire il giudice che potrà sostituirsi all'Amministrazione nell'annullamento dell'atto. Il diniego di autotutela non può essere ricondotto nell'ambito degli avvisi di accertamento che si presentano come provvedimenti di primo grado, mentre il diniego di autotutela è il risultato di un procedimento di secondo grado, né può essere ricondotto nella categoria del diniego di agevolazioni proprio in ragione della natura di procedimento di secondo grado (E. Manoni, Luci ed ombre sulla natura del procedimento di autotutela e sulla giustiziabilità del silenzio – rifiuto nota a Corte Cost. 13/07/2007, n. 181 in Riv. e Prat. Trib., 2018, 5, 2054).

Se l'Amministrazione Finanziaria non risponde al contribuente mediante l'adozione di un provvedimento espresso, ma assume una posizione silente, tale è da intendersi espressione di un rifiuto nell'ambito di un comportamento concludente. L'ordinamento giuridico ha disciplinato anche l'azione avverso il silenzio dal momento che, colui che ne abbia interesse, può agire per ottenere l'accertamento dell'obbligo dell'amministrazione di provvedere. Rientrano nella giurisdizione del giudice tributario le controversie relative agli atti di autotutela tributaria, al silenzio - rifiuto in ordine alla richiesta di annullamento in autotutela e ciò in quanto per stabilire l'ambito della giurisdizione delle Commissioni tributarie rileva l'aspetto sostanziale del tributo e del rapporto tributario, ovvero alla forma di manifestazione della volontà impositiva della p.a.(T.A.R. Lazio Roma Sez. II ter, 03/12/2019, n. 13804 in Massima Redazionale, 2019).

Qualora l'Amministrazione non abbia provveduto alla rimozione dell'atto ritenuto illegittimo in ossequio ai principi di buona fede e leale collaborazione e il giudice accolga il ricorso del contribuente, quest' ultimo potrà esperire nei suoi confronti un'azione di responsabilità per risarcimento dei danni (il mancato esercizio del potere di autotutela fa sorgere una responsabilità in capo all'amministrazione finanziaria in considerazione della lesione che la sua condotta può aver cagionato a carico del contribuente).

Qualora l'amministrazione finanziaria non proceda alla rimozione del provvedimento amministrativo può essere tenuta al risarcimento del danno, per il mancato o ritardato annullamento di un atto illegittimo, nell'esercizio del potere di autotutela quando tale condotta abbia provocato un pregiudizio alla situazione giuridico – patrimoniale del destinatario. In particolare, qualora il contegno dell'amministrazione sia conseguente ad un'istanza di parte, il contribuente potrà avanzare richiesta di “doppio risarcimento del danno”. In primis, per aver emesso un atto illegittimo in aperta violazione con il principio di buon andamento e imparzialità costituzionalizzato all'art. 97 e in secundis per non aver rimosso l'atto illegittimo su richiesta del contribuente. In tal caso spetterà al giudice ordinario accertare se vi sia stato un profilo di responsabilità soggettiva (a titolo di dolo o di colpa) da parte dell'Amministrazione Finanziaria che giustifichi la condanna al risarcimento dei danni (il codice del processo amministrativo all'art. 30 prevede espressamente che “può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva può altresì essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi).

Il risarcimento dei danni (Cass. civ. Sez. V Sent., 19/12/2019, n. 33920 (rv. 656603-01) in Ced Cassazione, 2019. “Qualora la domanda di risarcimento dei danni sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall'Amministrazione finanziaria dello Stato o da altri enti impositori, la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria, non potendo sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi dell'art. 2 del D.lgs. n. 546 del 1992, rientrano nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni tributarie; infatti, anche nel campo tributario, l'attività della P.A. deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge ma anche dalla norma primaria del “neminem laedere”, per cui è consentito al giudice ordinario - al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato - accertare se vi sia stato, da parte dell'Amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo (Rigetta, Comm.Trib. Reg.. Roma, 01/04/2014)”) può comprendere sia i danni morali subiti dal contribuente leso da un provvedimento (danno biologico o esistenziale); sia danni patrimoniali (spese sostenute per incaricare un difensore). Parimenti risulta disciplinato il cd. danno da ritardo, qualora l'amministrazione, pur in presenza di un obbligo di provvedere, non concluda il procedimento nel termine di trenta giorni o in quello diverso previsto all'art. 2 l. 241/90.

Il riferimento al danno ingiusto, previsto all'art. 2 bis L. 241/90 induce ad affermare che perché sia riconosciuta la tutela risarcitoria è necessario che si configuri una lesione al bene della vita, atteso che soltanto la suddetta lesione determina l'ingiustizia del danno (Cons. St. Sez. IV, n. 1437/2020). Nell'ambito dell'interesse pubblico, infatti, vi rientra anche il diritto del contribuente di non versare in misura maggiore rispetto alla capacità contributiva.

È necessario tenere distinto il procedimento di autotutela da altri istituti che prevedono una modifica del provvedimento emesso. Preliminarmente, occorre differenziare il procedimento di autotutela dal procedimento di accertamento integrativo che consente all'Amministrazione Finanziaria di integrare un procedente atto al sopraggiungere di nuovi elementi. Il procedimento di autotutela differisce dalla revoca, in questa ultima ipotesi, l'eliminazione del provvedimento non dipende da cause di illegittimità, ma da ragioni di opportunità essendo mutate nel tempo le esigenze (la revoca ha luogo a seguito del mutamento del pubblico interesse determinato dal verificarsi di circostanze sopraggiunte.).

La revoca si configura come espressione di una amministrazione attiva che si concreta nel ritiro di un atto con efficacia ex nunc ed ha incidenza sul rapporto tra le parti, prima ancora che sul provvedimento, mentre il provvedimento di autotutela rimuove gli effetti con efficacia ex tunc (Per un approfondimento in tema di revoca dell'atto amministrativo si indirizza la lettura di S. Stammati, La revoca degli atti amministrativi. Struttura e limiti, linee dell'evoluzione, con una parentesi all'annullamento d'ufficio in Studi in memoria di V. Bachelet, Giuffre', Milano, 1987).

Le diverse tipologie di autotutela

Fin qui si è detto dell'autotutela cd. decisoria con la quale l'Amministrazione Finanziaria rimuove un atto ritenuto illegittimo. Qualora, invece, l'Amministrazione Finanziaria sostituisca l'atto illegittimo con altro atto si configura la cd. autotutela sostitutiva (in presenza di una causa di nullità dell'atto impositivo entro il termine di decadenza previsto per l'esercizio della funzione impositiva l'ufficio può emettere un nuovo atto che annulla e sostituisce il precedente, purché non si sia formato il giudicato. À. Russo, Autotutela sostitutiva dell'avviso di accertamento anticipato valida anche se riproduce l'atto annullato in Il fisco, 2018, 23, 1 – 2283.) che rappresenta un annullamento parziale dell'originario atto e comporta una rideterminazione della pretesa, con conseguente riduzione dell'an e del quantum. L'Amministrazione Finanziaria, per l'esercizio dell'autotutela sostitutiva, deve rispettare il termine di decadenza previsto per l'emissione di un atto impositivo e del giudicato (T.A.R. Bari (Puglia) sez. I 07 luglio 2016 n. 878 in www.dejure.it “anche dopo l'entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, il rapporto di incidenza fra autotutela amministrativa e giudicato non deve essere risolto aprioristicamente, con l'affermazione assoluta della prevalenza del secondo sulla prima; al contrario, deve essere affidato in concreto al riscontro dell'esatta portata del medesimo giudicato e del bene della vita riconosciuto. Sicché, ove il giudicato non inibisca l'esercizio dei tratti liberi dell'azione amministrativa (secondo la regola generale sancita adesso dall'art. 34, co. 2, c.p.a.), ovvero ne consenta espressamente la riedizione, è inconfigurabile una situazione di inottemperanza”.) sostanziale (E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2017).

Ancora controversa è la possibilità di modificare in malam partem il provvedimento originario. L'Amministrazione Finanziaria non potrebbe ampliare l'originaria pretesa fiscale, ma può emettere un nuovo atto che si sostituisce al precedente, avulso da vizi. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità con sentenza n. 31467/2019 ha affermato che l'Amministrazione Finanziaria può rimuovere un precedente atto ed emetterne uno nuovo anche modificativo di precedenti statuizioni più favorevoli al contribuente, in assenza di una disposizione normativa circa l'ammissibilità di modifiche in bonam partem o in malam partem (D. Mendola, Autotutela sostitutiva: l'AF può emettere un nuovo atto modificativo in aumento della pretesa di un precedente atto nota a Corte di Cassazione n. 31467/2019 in Il tributario. It.).

All'autotutela decisoria e a quella sostitutiva si aggiunge l'autotutela cd. esecutiva, ravvisabile nella fase della riscossione ovvero al momento del soddisfacimento della pretesa fiscale. L'autotutela esecutiva consente all'Amministrazione Finanziaria di riscuotere le somme dovute dal contribuente “coattivamente”.

La riscossione può essere coattiva ogniqualvolta l'Agente della riscossione operi mediante ruolo, può essere volontaria, in caso di adempimento spontaneo dell'obbligazione tributaria da parte del contribuente (versamento diretto).

Infine, può avvenire mediante ritenuta diretta ad opera del sostituto d'imposta. Il procedimento di autotutela esecutiva prende avvio mediante iscrizione a ruolo del contribuente, debitore delle somme dovute e non versate all'erario. Nella fase di riscossione l'Amministrazione Finanziaria può attivare un subprocedimento cd. cautelare al fine di procurarsi delle garanzie di soddisfacimento della pretesa impositiva adottando diversi provvedimenti cautelari ovvero l' ipoteca esattoriale, il fermo amministrativo e il pignoramento diretto. La prima tipologia di misura cautelare trova origine all'art. 77 del D.P.R. 602/73 a tenore del quale “decorso inutilmente il termine di cui all'art. 50, comma 1, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede”. L'ipoteca esattoriale può essere iscritta sui beni immobili del debitore e soggiace alla disciplina prevista per l'ipoteca in materia privatistica, salvo gli elementi di specialità. L'amministrazione finanziaria può porre un vincolo di indisponibilità sui beni mobili registrati del debitore, mediante l'emanazione di un provvedimento di fermo amministrativo disciplinato all'art. 86 del D.P.R. 602/73 secondo cui “decorso inutilmente il termine di cui all'art. 50, comma 1, il concessionario può disporre il fermo dei beni mobili del debitore o dei coobbligati iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza”.

Infine, come garanzia l'Ufficio può procedere al pignoramento diretto sui conti correnti del debitore.

Il procedimento di autotutela attivato dal Garante del contribuente

L'autotutela tributaria è disciplinata anche dall'art. 13, comma 6, l. 212/2000 a tenore del quale “il Garante del contribuente, anche sulla base delle segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente”.

Tuttavia, tale disposizione evidenzia una differenza sostanziale con il procedimento di autotutela ordinario, ovvero il sollecito proviene da un soggetto terzo rispetto alle parti dell'obbligazione tributaria, in tal modo, l'Amministrazione Finanziaria procede al riesame del provvedimento sulla base di una sollecitazione di un organo terzo.

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