Scelta della strategia processuale da parte di un difensore

Andrea Penta
12 Agosto 2020

È obbligato il difensore ad assolvere, nella fase genetica del rapporto e in quella esecutiva, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente?

È obbligato il difensore ad assolvere, nella fase genetica del rapporto e in quella esecutiva, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente?

È controversa la questione concernente la sussistenza o meno dell'obbligo, in capo all'avvocato, di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso del suo svolgimento, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente.

Ritengo che la risposta al quesito debba essere positiva, sia pure con le precisazioni che seguono.

Infatti la Cassazione, anche recentemente, ha riaffermato il seguente principio di diritto: «Nell'adempimento dell'incarico professionale conferitogli, l'obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo, dovendo ritenersi il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello jus postulandi, attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio» (così Cass. civ., ord. n. 19520/2019 e sent. n. 8312/2011).

In termini più generali, va ricordato che «l'avvocato è tenuto all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, c.c. e 2236 c.c., e della buona fede oggettiva o correttezza la quale, oltre che regola di comportamento e di interpretazione del contratto, è criterio di determinazione della prestazione contrattuale, imponendo il compimento di quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio. L'impegno imposto dall'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza, dovendo essere correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto e alla qualità dei soggetti coinvolti, è da valutarsi alla stregua della causa concreta dell'incarico conferito al professionista che, a tale stregua, è pertanto tenuto a fornire le necessarie informazioni al cliente, anche per consentirgli di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale» (v. Cass. civ., ord. n. 8494/2020). Ne consegue, a titolo meramente esemplificativo, che l'omessa comunicazione al cliente dell'interruzione del processo e della possibilità di riassunzione, fino a far decorrere il relativo termine massimo con conseguente estinzione del giudizio, costituisce fonte di responsabilità professionale del difensore.

Da ultimo, è opportuno evidenziare che “la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché l'inadeguatezza rispetto al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata dal giudice di merito ex ante, in relazione alla natura e alle caratteristiche della controversia e all'interesse del cliente ad affrontarla con i relativi oneri, dovendosi in ogni caso valutare anche il comportamento successivo tenuto dal professionista nel corso della lite; pertanto, in relazione ad una causa che presenti un'elevata probabilità di soccombenza per il proprio cliente, il difensore che abbia accettato l'incarico non può successivamente disinteressarsene del tutto, incorrendo in responsabilità professionale ove esponga il cliente all'incremento del pregiudizio iniziale, se non altro a causa delle spese processuali cui lo stesso va incontro per la propria difesa e per quella della controparte” (v. Cass. civ., ord. n. 30169/2018; in dottrina, sul nesso di causalità, M. Rossetti, Responsabilità dell'avvocato, su Ri.da.re., il quale coglie l'occasione per ribadire che le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo; si segnala altresì A. Penta, La scelta di una determinata strategia processuale: valutazione ex ante o ex post?, su Ri.da.re.4 aprile 2019). In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento a una causa di opposizione a decreto ingiuntivo dal sicuro esito sfavorevole, aveva escluso la responsabilità professionale dell'avvocato il quale, pur avendo sconsigliato il cliente di svolgere l'opposizione, aveva accettato l'incarico in considerazione della sua impossibilità di onorare nell'immediato il debito, adoperandosi successivamente nel corso della lite per addivenire a una transazione, tuttavia non accettata dal cliente.

*Fonte: www.ridare.it

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