Attenuante del concorso della vittima nell'omicidio per violazione di norme sulla sicurezza: discutibile la violazione dell'art. 3 Cost.

Teresa Zappia
13 Agosto 2020

In forza del principio “ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio”, la sostanziale identità, sotto il profilo oggettivo e teleologico, degli artt. 589 e 589-bis c.p., giustifica la questione di legittimità costituzionale dell'art. 589, comma 2, c.p. in relazione all'art. 3 Cost...
Massima

In forza del principio “ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio”, la sostanziale identità, sotto il profilo oggettivo e teleologico, degli artt. 589 e 589-bis c.p., giustifica la questione di legittimità costituzionale dell'art. 589, comma 2, c.p. in relazione all'art. 3 Cost., nella parte in cui, diversamente dal settimo comma dell'art. 589-bis c.p., non prevede una diminuzione di pena ove l'evento dannoso non sia esclusivamente conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole.

Il caso

Nel procedimento penale in esame B. S., P. M. e T. M. sono imputati per il reato di cui agli artt. 40 cpv, 113 e 589, comma 2 c.p. La condotta addebitata consiste nella violazione delle previsioni di cui all'art. 71, comma 3 in riferimento al punto 3.1.3 dell'allegato VI al D.lgs. n. 81/2008, sub specie la mancata adozione di adeguate misure tecniche ed organizzative dirette ad un utilizzo in sicurezza delle attrezzature per la movimentazione dei carichi. Tali mancanze determinavano la morte di H. V. Quest'ultimo, dopo essere stato istruito da P. M. sulla zona ove sarebbe dovuto avvenire uno scarico di merci e una volta sceso dal mezzo, veniva travolto e schiacciato da una balla di terriccio a seguito dello sbilanciamento del carico del carrello elevatore.

Il difensore degli imputati ha eccepito l'illegittimità costituzionale dell'art. 589, comma 2, c.p. nella parte in cui non riconosce, diversamente dal comma 7 dell'art. 589-bis c.p., una diminuzione di pena nel caso in cui la condotta colposa dell'infortunato abbia contribuito alla causazione dell'evento dannoso.

La questione giuridica

La mancanza di una previsione analoga a quella di cui al comma 7 dell'art. 589-bis c.p. per il reato di omicidio colposo è conforme all'art. 3 Cost.?

La soluzione giuridica

L'eccezione sollevata dalla difesa è stata ritenuta dal Gip non manifestamente infondata ed avente rilevanza nel processo in corso.

Il giudice ha rilevato la sostanziale identità tra le fattispecie astratte di cui agli articoli 589 e 589-bis c.p. Ambedue, infatti, descrivono condotte caratterizzate da colpa specifica: nel primo caso la colpa consiste nella violazione della normativa posta a tutela della sicurezza dei luoghi di lavoro; nel secondo nel mancato rispetto della normativa tesa a tutelare la sicurezza degli utenti delle strade.

In entrambe le fattispecie il bene oggetto di tutela è l'integrità fisica delle persone (lavoratori – utenti), sicché il Gip ha ritenuto che le due norme, se non sovrapponibili tra loro, siano quantomeno in relazione quanto alla loro funzione. Di ciò costituirebbe conferma l'identità della pena applicata per le due ipotesi di illecito penale (comma 2 dell'art. 589 c.p.) sino alla creazione del distinto ed autonomo reato di omicidio stradale.

Il giudice ha rilevato la mancanza nell'art. 589 c.p. di una previsione analoga a quella contenuta nel nuovo art. 589-bis c.p. mediante la quale, nel caso in cui la condotta della vittima del reato sia stata tale da contribuire alla causazione dell'evento dannoso, il legislatore ha disposto una riduzione della pena.

L'esistenza di una tale disposizione anche per l'illecito ascritto agli imputati comporterebbe una mitigazione del trattamento sanzionatorio ove fosse riconosciuta la loro responsabilità ma, nello stesso tempo, venisse accertata una condotta imprudente da parte dell'infortunato.

L'evidenziata sostanziale identità delle due norme, insieme alla coincidenza dei beni tutelati, ha condotto il Gip a prospettare la natura involontaria della differenziazione operata dal legislatore, configurandosi un'incidentale mancanza di coordinazione tra l'art. 589 e l'art. 589-bis c.p.

In forza del principio “ubi eadem legis ratio, ibi eadem legis dispositio”, il giudice ha ritenuto ingiustificata la disparità di trattamento tra le due ipotesi di reato, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 589, comma 2, c.p. in relazione all'art. 3 Cost. è stata, pertanto, rimessa alla Corte costituzionale.

Osservazioni

Nella decisione in esame il Gip individua nel settimo comma dell'art. 589-bis c.p. un elemento circostanziale suscettibile, ove esteso anche ai fatti sussunti nell'art. 589, comma 2, c.p., di determinare una mitigazione del trattamento sanzionatorio. Facendo leva sull'art. 3 Cost., ha rileva il rischio di una ingiustificata disparità di trattamento, tenuto conto non solo del profilo oggettivo (la condotta tipica) ma anche di quello strettamente teleologico (il bene giuridico tutelato).

Il caso rende opportune alcune considerazioni.

L'omicidio stradale si pone all'interno di un contesto normativo peculiare. Il dovere di attenzione del conducente trova il suo parametro di riferimento - oltre che nelle regole di generale prudenza - nel principio generale di cautela che informa la circolazione stradale. Sul conducente gravano obblighi comportamentali funzionali anche alla prevenzione di eventuali condotte colpose degli altri utenti (es. in violazione dell'art. 190 C.d.S.), dovendo prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni di questi e cercando di superarle senza recare loro danno o ledere terzi (Cass., sez. IV, n. 1207 del 1993).

Quanto sopra, in linea generale, costituisce un ostacolo normativo alla possibilità di escludere la responsabilità del conducente ove venga accertato un comportamento colposo della persona offesa, costituendo esso una concausa dell'evento lesivo, penalmente irrilevante ai sensi dell'art. 41 c.p. In applicazione di quest'ultima disposizione, sarebbe necessaria una condotta configurante una vera e propria causa eccezionale, non prevista né prevedibile, da sola sufficiente a produrre l'evento. Solo in tale ipotesi il fatto lesivo potrebbe ricondursi, sul piano eziologico, esclusivamente alla condotta della persona offesa, con conseguente impossibilità di ascrizione dello stesso anche al conducente (Cass., sez. IV, n. 33207 del 2013). La giurisprudenza tende a limitare la possibilità di fare affidamento sull'altrui correttezza nell'ambito della circolazione stradale, pur non obliterandone completamente la rilevanza, in conformità al principio di personalità della responsabilità penale: si è preferita, infatti, una nozione di prevedibilità ed evitabilità in concreto, in forza della quale il principio di affidamento non può operare allorquando vi sia la “ragionevole prevedibilità della condotta” del terzo o della vittima da parte del soggetto attivo (Cass., sez. IV, n. 7664 del 2017).

Tuttavia, mentre l'affidamento opera sul piano della colpevolezza, la circostanza che la condotta della persona offesa abbia configurato una concausa dell'evento deve essere guardata mediante la lente dell'offensività.

Il legislatore del 2016, dopo aver individuato circostanze aggravanti “privilegiate” (art. 590-quater c.p.) ha tenuto conto della possibilità che talune condotte, seppur legate eziologicamente all'evento dannoso, possano in concreto aver avuto un'efficienza causale non esclusiva. La gravità del trattamento sanzionatorio predisposto per le ipotesi di omicidio stradale aggravato ha condotto alla previsione di una peculiare circostanza attenuante ad effetto speciale, operante non solo per il reato “base” – costituente la riproduzione della disciplina precedente la novella del 2016 – ma anche quello c.d. circostanziato.

Il settimo comma dell'art. 589-bis c.p. configura sostanzialmente una deroga al principio dell'equivalenza delle concause di cui all'art. 41 c.p., cui carattere eccezionale conduce ad una interpretazione necessariamente restrittiva. Applicando l'art. 41 c.p., infatti, il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità, anche ove la concausa si sia sostanziata in un fatto illecito altrui.

In linea generale, nei reati colposi l'eventuale concorso della colpa della parte offesa non solo non esclude, né interrompe, il rapporto di causalità, ma non configura neanche un elemento circostanziale incidente sulla pena. L'art. 62, comma 1 n. 5, c.p., prevede come circostanza attenuante comune solo l'ipotesi in cui il “fatto doloso” della persona offesa abbia concorso nella determinazione dell'evento, e non anche il “fatto colposo” che invece rileva sul piano civilistico del risarcimento del danno (artt. 2056 e 1227 c.c.). La "minima importanza" dell'apporto dell'agente potrebbe rilevare come circostanza attenuante ex art. 114 c.p., sottratta al divieto di bilanciamento previsto dall'art. 590-quater c.p. (diversamente dallo stesso settimo comma dell'art. 589-bis c.p.) Il giudice può, inoltre, tenerne conto al momento della graduazione della pena ex art. 133 c.p., sotto il profilo della modalità della condotta.

Deve rammentarsi, inoltre, che in materia di trattamento sanzionatorio la Corte Costituzionale ha riconosciuto la discrezionalità del legislatore nella definizione delle cornici edittali per ciascun reato, trovando essa un limite nell'impossibilità di sanzionare condotte di minore gravità con pene eccessive, ossia sproporzionate rispetto al canone dell'offensività. Le scelte legislative circa le differenze nel trattamento sanzionatorio degli illeciti penali non possono essere sindacate ove non manifestamente irragionevoli.

Nella fattispecie in esame, si ripete, il settimo comma dell'art. 589-bis c.p. non attiene al profilo dell'offensività dell'azione/omissione, essendo il bene-vita comunque leso dal comportamento colposo del reso. L'attenuante speciale non identifica una fattispecie di minore offensività, ma si colloca su un piano distinto, ossia quello dell'efficienza causale della condotta, ove il principio cardine non è quello della proporzionalità (della pena rispetto alla gravità della condotta) ma quello, distinto, dell'equivalenza delle concause dell'evento.

La lamentata incostituzionalità della mancata estensione dell'art. 589-bis, comma 7, c.p. anche al reato di omicidio colposo sembra, dunque, non tenere conto dei suddetti rilievi e, in modo particolare, dell'orientamento espresso dal giudice delle leggi circa i limiti dell'esercizio della potestà legislativa in materia penale. Le scelte sulla misura della pena sono affidate alla discrezionalità politica del legislatore, purché esse risultino conformi al principio di proporzionalità del trattamento sanzionatorio e tengano conto della finalità rieducativa della pena. Il sindacato della Corte Costituzionale è stato invece escluso relativamente alle valutazioni discrezionali di dosimetria sanzionatoria, essendo esse di esclusiva pertinenza del legislatore e potendo essere assoggettate al giudizio di legittimità costituzionale solo ove palesemente arbitrarie (C. cost. n. 40 del 2019, n. 233 del 2018, n.142/2017).

Solo qualora la sanzione risulti manifestamente sproporzionata, con sperequazioni punitive di particolare gravità, il giudice delle leggi è intervenuto a riequilibrare la risposta punitiva dell'ordinamento, tenuto conto della coerenza interna del regime sanzionatorio e dell'offensività della condotta.

Il settimo comma dell'art. 589-bis c.p. non attiene, tuttavia, al grado di offensività della condotta. L'attenuante, incidendo sul piano eziologico, appare finalizzata a temperare il più rigoroso trattamento sanzionatorio conseguente alla modifica legislativa del 2016, applicandosi non solo al reato “base” ma anche a quello “aggravato”, considerato anche il divieto di bilanciamento di cui all'art. 590-quater c.p.

Quanto sopra - la coerenza interna di tale regime sanzionatorio speciale, nonché l'eccezionalità dell'attenuante rispetto all'art. 41 c.p. – sembrerebbe piuttosto far propendere per un giudizio positivo circa la conformità costituzionale dell'art. 589-bis c.p.

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