Bilanciamento tra diritto all'assegnazione della sede più vicina al domicilio della persona da assistere ed esigenze organizzative della P.A.
20 Agosto 2020
Massima
In tema di rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è necessario non solo che il posto al quale il pubblico dipendente aspira ad essere assegnato sia vacante ma che esso sia anche “disponibile” in quanto il presupposto della vacanza, peculiare nelle organizzazioni pubbliche, perché è il riflesso delle cd "piante organiche", esprime una mera potenzialità che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. di coprire il posto vacante; detta decisione organizzativa, che assume a presupposto indubbiamente la vacanza di organico, deve infatti esprimere l'interesse concreto ed attuale dell'Amministrazione di procedere alla sua copertura, rendendo per tal via disponibili eventuali vacanze nell'organico, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A.
Nel caso di specie il Giudice osserva che non può ravvisarsi un diritto soggettivo del dipendente pubblico alla pubblicazione di un determinato posto vacante ovvero alla copertura dello stesso in un determinato modo, né, d'altro canto, appare ipotizzabile, a fortiori, la lesione del diritto della ricorrente “ad essere trasferita nella sede richiesta ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, essendo ravvisabile un interesse diretto al riconoscimento dei benefici previsti dalla legge solo a fronte della decisione dell'Amministrazione di coprire il posto vacante”. Il caso
Una dipendente pubblica, in servizio part-time e fruitrice dei permessi di cui alla l. n. 104 del 1992, chiedeva di essere assegnata ad una sede più vicina al proprio domicilio ai sensi dell'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, deducendo di assistere la propria madre, invalida al 100% e portatrice di handicap in situazione di gravità, con lei convivente.
Il Dirigente rappresentava che l'accoglimento dell'istanza della ricorrente avrebbe determinato gravi disfunzioni organizzative all'interno dell'ufficio, anche in considerazione della scarsità di personale per effetto di una scopertura, destinata ad aumentare a causa dei pensionamenti; evidenziava altresì che la disfunzione sarebbe stata accentuata dal fatto che vi erano nell'ufficio assenze dei dipendenti per fruizione di congedi parentali, per godimento dei benefici di cui alla l. n. 104 del 1992, ancora assenze per malattia, e malattie invalidanti che impedivano il pieno utilizzo dei dipendenti.
Avendo il Ministero allegato e comprovato in modo idoneo allo scopo la sussistenza di effettive e specifiche ragioni organizzative e gestionali tali da impedire l'assegnazione della ricorrente ad una sede più vicina al proprio domicilio, il giudice osserva che nel caso di specie, in presenza di siffatta prova in ordine alle rilevanti, effettive e prevalenti esigenze economiche, organizzative e gestionali dell'amministrazione, il diritto del familiare-lavoratore deve cedere il passo, pur nella consapevolezza della rilevanza della tutela del soggetto disabile da assistere. La questione giuridica
Il caso in esame consente di riflettere sulla questione del bilanciamento fra il diritto all'assegnazione presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere e le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.
Preliminarmente, il giudice osserva che, secondo l'insegnamento della giurisprudenza costituzionale, con la n. 104 del 1992 riveste particolare considerazione l'esigenza di favorire la socializzazione del soggetto disabile, in attuazione del principio (C. cost. n. 215 del 1987) secondo il quale la socializzazione in tutte le sue modalità esplicative è un fondamentale fattore di sviluppo della personalità ed un idoneo strumento di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica (C. cost. n. 350 del 2003, C. cost. n. 467 del 2002, C. cost. n. 167 del 1999).
Sottolineato il ruolo fondamentale della famiglia «nella cura e nell'assistenza dei soggetti portatori di handicap» (C. cost., n. 203 del 2013, C. cost. n. 329 del 2011), per cui una tutela piena dei soggetti deboli - e, in particolare dei portatori di handicap gravi - richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l'inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana; il giudicante rileva come l'interpretazione dell'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992 risenta non solo dei principi costituzionali, bensì anche dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata dall'Italia con l. n. 18 del 2009 e dall'Unione europea con decisione 2010/48/CE — ossia in funzione della tutela della persona disabile.
Così ricostruito il quadro normativo nazionale e sovranazionale e dei principi giurisprudenziali, può agevolmente notarsi che l'interesse contrapposto a quello del datore, non è quello del lavoratore, bensì quello del portatore di handicap, il che rafforza senza dubbio l'esigenza di tutela e di protezione che deve guidare l'interprete nell'applicazione concreta della norma (Cass. n. 6150 del 2019).
Ciò posto, mette conto evidenziare che è necessario operare un bilanciamento fra il diritto all'assegnazione presso la sede più vicina al domicilio della persona da assistere e le esigenze organizzative della pubblica amministrazione. Invero, l'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, deve essere interpretato nel senso che il diritto del familiare lavoratore del portatore di handicap di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre agli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, altresì la compatibilità con l'interesse del datore di lavoro, posto che secondo il legislatore - come dimostrato anche dalla presenza dell'inciso "ove possibile" contenuto nella norma - il diritto alla effettiva tutela della persona disabile non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro (Cass. n. 12692 del 2002).
Come rilevato dalla giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Lombardia, Milano,sez. III, n. 738 del 15 marzo 2018) la posizione del dipendente pubblico, il quale chieda l'assegnazione per trasferimento ad altra sede di servizio ai sensi della predetta norma deve essere qualificata in termini non di diritto soggettivo, ma di interesse legittimo, dovendo l'Amministrazione valutare l'istanza alla luce delle proprie esigenze organizzative e di efficienza complessiva del servizio. In tal senso depone il chiaro disposto della legge “ove possibile”. Nondimeno il trasferimento ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, può essere negato solo se sussistono effettive e ben individuate esigenze di servizio che, peraltro, l'Amministrazione deve indicare in maniera compiuta (T.A.R. Aosta, n. 20 del 14 aprile 2017). Trattandosi, infatti, di disposizioni rivolte a dare protezione a valori di rilievo costituzionale, ogni eventuale limitazione o restrizione nella relativa applicazione deve comunque essere espressamente dettata e congruamente motivata (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, n. 1751 dell'8 agosto 2017).
Dunque, il trasferimento ai sensi dell'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, può essere negato solo se ne conseguano effettive e ben individuate criticità per l'Amministrazione, la quale ha l'onere di indicarle in maniera compiuta per rendere percepibile di quali reali pregiudizi risentirebbe la sua azione, mentre non può limitarsi ad invocare generiche esigenze di corretta organizzazione e buon andamento (T.A.R. Napoli, sez. VI, n. 1816 del 4 aprile 2017).
Sul punto la Suprema Corte ha avuto modo di osservare che "ferma la qualificazione come "diritto" della posizione soggettiva del lavoratore nella scelta della sede di lavoro più vicina al familiare da assistere, e in tal senso si esprime l'art. 33, comma 5 cit., non vi è dubbio che tale diritto non sia incondizionato (come reso evidente dall'inciso "ove possibile" contenuto nella norma) ma debba essere oggetto di un bilanciamento con altri diritti e interessi del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 41 Cost.; tale bilanciamento, come già statuito da questa Corte (Cass. n. 24015 del 2017; Cass. n. 25379 del 2016; Cass. n. 9201 del 2012), dovrà valorizzare le esigenze di assistenza e di cura del familiare disabile del lavoratore col solo limite di esigenze tecniche, organizzative e produttive, allegate e comprovate da parte datoriale, non solo effettive ma anche non suscettibili di essere diversamente soddisfatte" (Cass. n. 6150 del 2019).
Al riguardo, mette conto rilevare che la circostanza per cui il diritto non è assoluto e privo di condizioni, implica un recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico – come nella specie - potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass. n. 585 del 2016, Cass., sez. un., n. 6917 del 2015, Cass., n. 7945 del 2008, Cass. n. 1396 del 2006).
Ciò posto, grava dunque sul datore di lavoro l'onere di dimostrare in modo specifico e puntuale quali siano le concrete ragioni che rendano impossibile l'assegnazione ad una sede più vicina (Cass. n. 23857 del 2017). Le soluzioni giuridiche
Il giudice osserva altresì che nell'ambito del lavoro alle dipendenze della P.A. è necessario non solo che il posto al quale il pubblico dipendente aspira ad essere assegnato sia vacante ma che esso sia anche “disponibile” (Cass. n. 11651 del 2018, Cass. n. 1396 del 2006), in quanto il presupposto della vacanza, peculiare nelle organizzazioni pubbliche, perché è il riflesso delle cd "piante organiche", esprime una mera potenzialità che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. che assume a presupposto indubbiamente la vacanza di organico, ma che deve esprimere l'interesse concreto ed attuale dell'Amministrazione di procedere alla sua copertura, rendendo per tal via disponibili eventuali vacanze nell'organico, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A.
Nel caso di specie, l'amministrazione centrale, nella persona del dirigente generale capo del personale, ai sensi degli artt. 6 e 16, d.lgs. n. 165 del 2001, non ha pubblicato la “disponibilità” di posti vacanti nella figura del cancelliere, quindi, le deduzioni di parte istante in merito ai posti vacanti non possono che perdere rilievo.
Del resto, osserva il giudice, non può ritenersi che il Ministero sia obbligato a pubblicare i posti vacanti. È noto, infatti, che la p.a. può scegliere discrezionalmente nell'ambito dei propri poteri organizzativi quali e quanti posti della dotazione organica coprire, nonché le eventuali modalità di copertura da adottare. Infatti, come statuito dalla Suprema Corte, “in tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'organizzazione, la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione dell'efficienza dell'amministrazione, della razionalizzazione del costo del lavoro pubblico e della migliore utilizzazione delle risorse umane, in conformità ai principi espressi dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 1 e art. 6, restando affidata alla discrezionalità della P.A. la determinazione e revisione della pianta organica (Cass. n. 18191 del 2016)” (così Cass., n. 11651 del 2018). Ne deriva che non può ravvisarsi un diritto soggettivo del dipendente pubblico alla pubblicazione di un determinato posto vacante ovvero alla copertura dello stesso in un determinato modo, né, d'altro canto, appare ipotizzabile, a fortiori, la lesione del diritto della ricorrente “ad essere trasferita nella sede richiesta ex art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, essendo ravvisabile un interesse diretto a riconoscimento dei benefici previsti dalla legge solo a fronte della decisione dell'Amministrazione di coprire il posto vacante” (Trib. Sulmona, 11 novembre 2019, n. 93).
In virtù di ciò, nel caso di specie il giudice ritiene che il Ministero abbia allegato e comprovato in modo idoneo allo scopo che vi fossero effettive e specifiche ragioni organizzative e gestionali che impedissero di assegnare la ricorrente ad una sede più vicina al proprio domicilio. Osservazioni
In conclusione, è interessante evidenziare che nella fattispecie in esame, il giudice considera un ulteriore profilo, vale a dire quello secondo cui l'amministrazione ha disciplinato, in accordo con le parti sociali, la mobilità interna ed i trasferimenti prevedendo, con l'accordo sindacale del 2007, una apposita procedura che attribuisce specifico rilievo anche alla necessità di assistenza di un prossimo congiunto portatore di handicap.
Infatti, detto accordo prevede un sistema di punteggi aggiuntivi a favore del dipendente pubblico, in presenza di particolari condizioni, tra cui “la necessità di assistere un prossimo congiunto nei cui confronti sussistono i doveri di assistenza e mantenimento secondo le norma del codice civile, residente nella sede richiesta ovvero in altra località da questa distante meno di 50 Km (o 150 Km nel caso in cui la figura professionale e posizione economica sia prevista per gli uffici di vertice distrettuale) che abbia bisogno di assistenza che il dipendente può assicurare, quando sussista un handicap, anche non grave, certificato ai sensi della l.n. 104 del 1992, ovvero si tratti di invalido civile o con accompagnamento”.
Ciò posto, sembra opportuno osservare che la Suprema Corte, in un caso similare - (Cass. n. 585 del 2016) - ha chiarito che “il diritto a scegliere la sede di lavoro attribuito dall'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, ai familiari di soggetti portatori di handicap non è assoluto, potendo essere esercitato ‘ove possibile': in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico potrebbe determinarsi un danno per la collettività”.
In particolare, nella fattispecie dedotta all'attenzione della Corte, ai fini della conferma del diniego di trasferimento ex art. 33, l. n. 104 del 1992, la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato l'esistenza di una disciplina della mobilità interna dell'amministrazione pubblica interessata, che, come nel caso de quo, già disciplinava priorità e punteggi aggiuntivi per l'assistenza nell'ambito della procedura prevista, osservando, tra l'altro, in motivazione: “l'art. 33, comma 5, l. n. 104 del 1992, ora in esame deve essere interpretato nel senso che il genitore o il familiare lavoratore che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, solo se ciò sia possibile in relazione alle esigenze di servizio. Il diritto, in virtù dell'inciso contenuto nella norma, secondo il quale esso può essere esercitato ove possibile, in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora l'esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell'azienda (se si verta in situazione di lavoro privato) ed implica che l'handicap sia grave o, comunque, richieda un'assistenza continuativa (Cass. 27 maggio 2003, n. 8436). Il diritto non è assoluto e privo di condizioni e implica un recesso del diritto stesso, ove risulti incompatibile con le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro, poiché in tali casi, soprattutto per quanto attiene ai rapporti di lavoro pubblico, potrebbe determinarsi un danno per la collettività (Cass., 25 gennaio 2006, n. 1396; Cass., 27 marzo 2008, n. 7945). La mobilità dei dipendenti dei conservatori pubblici è regolata contratto collettivo decentrato…il quale … con riferimento alle situazioni di handicap, prevede una graduazione nelle precedenze "nelle operazioni di trasferimento", assegnando le priorità a seconda delle categorie di menomazione… Tali disposizioni si pongono in sintonia con l'interpretazione della l. n. 104 del 1992, art. 33, sopra accolta e, soprattutto, predispongono una regolazione del diritto di precedenza, assegnando a ciascuna situazione, in relazione alla sua gravità ed alle connesse esigenze di assistenza, una giusta considerazione ai fini del trasferimento. Nonostante la sua natura negoziale tale disciplina del diritto soddisfa una esigenza basilare dell'amministrazione, quale la corretta gestione della mobilità del personale, e si colloca nell'ambito del principio del bilanciamento degli interessi che, come sopra evidenziato, la legge privilegia”.
Analogamente, osserva il giudice nella fattispecie presente, la scelta dell'amministrazione - condivisa con le organizzazioni sindacali - di disciplinare i trasferimenti attraverso la predeterminazione dei posti, procedura con formazione di graduatoria e valorizzazione in tale ambito delle esigenze di assistenza di un familiare portatore di handicap, appare ragionevole e rispettosa delle scelte di bilanciamento ex art. 33, l. n. 104 del 1992.
Viceversa, una valutazione caso per caso della “possibilità” del trasferimento ex art. 33 della l.n. 104 del 1992, al di fuori di una procedura predefinita rischierebbe, per le amministrazioni pubbliche, di porsi in contrasto con i valori costituzionali del buon andamento, imparzialità e parità di trattamento (così, in fattispecie similare, Trib. Livorno 11 settembre 2018, ord. ex art. 669-terdecies).
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