Connessione funzionale tra adeguatezza dell'assetto organizzativo societario e rilevazione della crisi d'impresa

Tommaso Senni
24 Agosto 2020

Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, intervenendo in maniera incisiva sull'art. 2086 c.c., mediante l'introduzione di una connessione funzionale tra adeguatezza dell'assetto organizzativo societario e rilevazione della crisi d'impresa, ha posto una serie di problematiche interpretative, che verranno di seguito trattate nell'ottica di offrire un contributo interpretativo sulla novella legislativa per gli operatori del settore.
Premessa

Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (CCII) ha significativamente inciso, tra l'altro, sulle prescrizioni inerenti l'assetto organizzativo societario, aggiungendo all'art. 2086 c.c. un secondo comma che stabilisce, per la prima volta, una stretta connessione tra doveri in punto di organizzazione amministrativa interna e possibilità di controllo dei fattori scatenanti la crisi: viene ampliata, così, la portata di quell'obbligo generale che, prima della riforma, era sancito (con esclusivo riferimento alle società per azioni) dal combinato disposto degli artt. 2381, comma 5 e 2403, comma 1 c.c. e che, appunto, non era finalizzato, di per sé, ad assicurare l'emersione della crisi.

Nella specie, la lettera della norma introduce un vero e proprio dovere, per l'imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale.

Ebbene, la suddetta norma pone tutta una serie di rilevanti problematiche interpretative.

L'adeguatezza degli assetti organizzativi

Con la novella, il requisito della adeguatezza dell'organizzazione viene previsto in funzione del raggiungimento di obiettivi ulteriori, vale a dire l'individuazione tempestiva e la prevenzione della crisi.

Se, prima della riforma, attraverso l'art. 2381, comma 5, c.c. (applicabile alle s.p.a.), ci si limitava a richiedere che la struttura organizzativa fosse genericamente adeguata alle dimensioni dell'impresa, ora a quello stesso requisito (esteso alle s.r.l. e alle società di persone) viene attribuita nuova linfa: ciò attraverso una descrizione più precisa del requisito dell'adeguatezza, per far sì che l'organizzazione, non più considerata nella sua dimensione statica, assuma una dimensione propriamente dinamica, vale a dire di strumento per cogliere e gestire i primi segnali della crisi.

In dottrina si è discusso, non a caso, della nascita di un diritto concorsuale societario, con un'espressione che mira proprio a sottolineare la oramai forte interdipendenza tra i rami del diritto societario e del diritto concorsuale.

Ciò premesso, è pur vero che il legislatore non definisce il requisito dell'adeguatezza, lasciando inevitabilmente spazio alla operatività, in capo all'imprenditore, di quella che potremmo definire come una vera e propria discrezionalità tecnica: in altri termini, nella gestione dell'attività aziendale, all'imprenditore viene attribuito il compito di calare i princìpi e le regole di carattere tecnico (commerciale-finanziario) nello specifico contesto organizzativo aziendale e, dunque, di creare una struttura organizzativa, amministrativa e contabile adeguata rispetto alla dimensione e al tipo di attività del caso di specie.

A conferma di ciò, anche se l'art. 2086, comma 2, c.c. fa esplicito riferimento all'imprenditore, dal combinato disposto degli articoli 2257, 2380-bis, 2409-novies, 2475 c.c. si ricava che l'esclusivo responsabile della gestione organizzativa dell'impresa (ai fini della tempestiva rilevazione della crisi) è l'organo amministrativo, cui compete dunque una vera e propria valutazione prognostica.

Dalla politica del controllo come costo si perviene, così, ad un radicale mutamento di impostazione: la diversa politica del controllo ex ante (come opportunità) fa del principio di prevenzione uno dei cardini del diritto societario moderno.

La adeguatezza degli assetti organizzativi nelle s.p.a.

Per quanto riguarda le società per azioni, l'art. 2381c.c. assume particolare importanza per delineare i contorni del requisito della adeguatezza.

Per effetto del combinato disposto dei commi 3 e 5, a venire in rilievo sono, da una parte, la suddivisione di compiti tra delegante e delegato e, dall'altra, la presenza di un canale informativo che consenta il controllo della gestione societaria. In questo circuito informativo, un ruolo di primo piano è rivestito dal collegio sindacale, nei confronti del quale l'organo amministrativo delegato mantiene un preciso dovere di informazione.

Si rivela, così, fondamentale istituire appositi flussi informativi e report periodici (report package) sull'andamento economico-finanziario dell'azienda, includendo le situazioni debitorie oggetto di specifiche previsioni nel Codice della Crisi (Art. 15), quali i debiti scaduti verso dipendenti e fornitori, i debiti scaduti per IVA e contributi previdenziali e i debiti per carichi affidati all'agente della riscossione.

Il requisito di adeguatezza nelle s.r.l.

Ci si deve chiedere, a questo punto, se, alla luce della riforma, i princìpi dettati in materia di struttura organizzativa (inclusa la suddivisione di compiti

tra organo delegante e organo delegato) debbano essere estesi anche all'organo amministrativo (collegiale) della s.r.l..

Va ricordato, anzitutto, che, in base al nuovo art. 2475, comma 1, c.c. (applicabile alle s.r.l.), «la gestione dell'impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086, comma 2, e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale». Di conseguenza, se una struttura organizzativa efficiente (declinata in termini di corretti canali informativi endosocietari) è elemento propedeutico al rispetto del criterio dell'adeguatezza (applicabile alle s.r.l. in virtù del nuovo art. 2086 c.c.), al predetto interrogativo non si può che dare risposta positiva.

Ma, a questo punto, si pone un altro problema: in tal caso, a chi spetterebbe la verifica di adeguatezza e del corretto funzionamento sugli assetti in caso di s.r.l. con organo di gestione collegiale ma priva di organo di controllo (non obbligatorio)?

Non si tratta di questione di poco conto, atteso che l'art. 2086, comma 2, c.c. presuppone la possibilità di supervisionare, in concreto, l'efficienza del modello organizzativo societario: la norma finirebbe per non essere prescrittiva se mancasse la possibilità di controllo e, conseguentemente, di sanzione.

La responsabilità degli amministratori: la business judgment rule

Qualora si accolga l'interpretazione per cui l'art. 2086, comma 2, c.c. incorpora un vero e proprio obbligo in capo agli amministratori, l'insorgenza della crisi rischia di rivelarsi, di per sé, prova dell'inadeguatezza della struttura organizzativa e, soprattutto, elemento costituivo della responsabilità in capo all'organo amministrativo.

Si tratta di stabilire fino a dove può spingersi il sindacato (di merito) sulle decisioni riguardo alla struttura organizzativa, atteso che, proprio in virtù della business judgment rule,l'agire degli amministratori si presume non censurabile nel merito, fino alla prova della violazione del dovere di diligenza: ma ammettere l'esistenza di un controllo sulla adeguatezza delle scelte dell'amministrazione in materia organizzativa, amministrativa e contabile equivale a riconoscere la possibilità di sindacare il rispetto delle regole tecniche di carattere commerciale e finanziario da parte dell'organo amministrativo, con una evidente espansione al di là del mero controllo di diligenza.

Ecco che, dunque, la business judgment rule viene ad essere ridimensionata: con la novella, a parere di chi scrive, anche scelte tecniche dell'amministratore divengono oramai sindacabili e pertanto sanzionabili se, nel merito, appaiono non idonee (sulla base di una valutazione prognostica) a prevenire la crisi dell'impresa.

Sul punto si segnala una importante pronuncia del Tribunale di Milano: “Per valutare se la perdita dell'integrità patrimoniale sia dovuta a responsabilità dell'amministratore, occorre prendere in considerazione i criteri per la verifica ex ante della corretta gestione della società; tali criteri hanno assunto forza di legge con l'entrata in vigore dell'articolo 2086 c.c.: la presenza di assetti adeguati consente la corretta gestione dell'azienda, l'individuazione di situazione di crisi, l'impiego delle dovute contromisure e può portare all'assunzione delle decisioni in ordine alla chiusura dell'attività” (Trib. Milano, sent. 11105/19).

Peraltro, già prima della novella, la stessa Cassazione era intervenuta in qualche modo anticipando la recente riforma: in una sentenza del 2017, aveva affermato, infatti, che “nel giudizio sulla gestione operata dall'amministratore è possibile contestare la mancata adozione di cautele, verifiche e informazioni preventive che sono richieste dalle scelte da lui operate.
La valutazione dei rischi delle operazioni che intende porre in essere è un obbligo posto a carico dell'amministratore dalla natura del suo incarico
” (Cass. Civ., sent. 15470/17). Soffermandosi sulla valutazione dei rischi quale obbligo del diligente amministratore, si assume consapevolezza del fatto che solo un'adeguata struttura organizzativa, dotata di efficienti canali informativi, è idonea a far emergere e prevenire la futura crisi dell'impresa.

Peraltro, in tema di individuazione delle condotte idonee a “gestire” i primi segnali del dissesto, è intervenuto di recente il Tribunale di Milano: “In caso di crisi la mera ricerca di finanziatori o la mera valutazione di possibilità di cessione di beni sono condotte non idonee con il dovere di attivarsi per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti per il suo superamento” (Trib. Milano 18.10.2019).

Ad essere visto con sfavore è, in sostanza, il tentativo di simulare (anche solo per inerzia dell'organo amministrativo) una continuità aziendale che non esiste più, mediante strumenti che, come il ricorso al capitale di terzi, potranno solo aggravare lo stato di dissesto: la gestione della crisi deve essere improntata, all'opposto, allo scambio continuativo e all'analisi dei dati e delle informazioni emersi dall'interazione endosocietaria, alla pronta adozione di strumenti di reazione adeguati al fenomeno crisi, analizzato alla luce delle sue specifiche cause (sia di matrice endogena, sia esogena): tutto ciò presuppone, allora, una struttura organizzativa articolata e coinvolgente, idonea ad impedire atteggiamenti inerziali o, comunque, contrari ai princìpi di diligente gestione. L'obiettivo sotteso alla nuova norma è, allora, raggiungibile solo attraverso la costruzione di una rete di collaborazione endosocietaria, definendo (in appositi regolamenti o direttive interne) i ruoli, i compiti, i flussi informativi oggetto di scambio e le condizioni di compartecipazione (sia pur con diverse sfumature, a seconda della posizione di ciascuno) alle eventuali responsabilità.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario