Revoca del sostegno pubblico all'impresa: forma del sindacato del giudice ordinario e nozione ampia di finanziamento

Francesco Vignoli
25 Agosto 2020

La revoca del sostegno pubblico concesso per lo sviluppo delle attività produttive, ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 123/98, non importa alcuna valutazione discrezionale perché il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venire meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l'atto di revoca possegga alcuna valenza costitutiva.
Massima

La revoca del sostegno pubblico concesso per lo sviluppo delle attività produttive, ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 123/98, non importa alcuna valutazione discrezionale perché il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venire meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l'atto di revoca possegga alcuna valenza costitutiva.

Al giudice ordinario è preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell'eventuale disapplicazione, della legittimità del provvedimento di revoca, trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo, dovendo il giudice solo accertare il venire meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge.

In sede fallimentare gli interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia godono anch'essi del privilegio di cui al d.lgs. n. 123 del 1998, art. 9, comma 5, perché le diverse forme di intervento pubblico in favore delle attività produttive risultano espressione di un unitario disegno normativo.

Il garante che ha pagato il creditore ha comunque diritto di recuperare dal debitore finale quanto per lui pagato. La norma dell'art. 1203 c.c. non va a detrimento del solvens e non esclude il privilegio riconosciuto dal d.lgs. n. 123/98.

Il caso

La Sace, società per azioni integralmente in mano pubblica, presentava domanda di insinuazione in via privilegiata nel passivo di una società fallita assumendo di avere rilasciato una "lettera di manleva", quale forma di intervento di sostegno pubblico ex d.lgs. n. 123/98 e di averla poi onorata a seguito dell'escussione effettuata dall'istituto di credito, soggetto mutuante e garantito dalla manleva.

La società pubblica assumeva di avere accertato la sussistenza di inadempimenti dell'impresa mutuataria e, per l'effetto, di avere dato corso al procedimento di revoca del sostegno pubblico.

Il giudice delegato ammetteva il credito al chirografo e Sace proponeva opposizione allo stato passivo per la qualificazione del credito al privilegio.

Il Tribunale di Milano rigettava l'opposizione allo stato passivo segnalando che il privilegio di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 123/98 è "condizionato alla ricorrenza di specifici requisiti" quali "la revoca dell'intervento" e "l'esistenza di un finanziamento erogato". Ad avviso del collegio, entrambi gli elementi non sussistevano.

Secondo il Tribunale, la revoca del beneficio "deve considerarsi viziata per eccesso di potere" e "quindi soggetta a disapplicazione da parte del giudice ordinario". Ad avviso del collegio di merito, il vizio di eccesso di potere si è manifestato "sotto forma di difetto di motivazione e di sviamento di potere", atteso che la revoca è stata motivata unicamente adducendo il mancato riscontro di una precedente comunicazione, intesa a richiedere documenti ed i controlli effettuati da Sace "appaiono essere stati disposti al solo scopo di addivenire a un procedimento di revoca, che avrebbe consentito al credito restitutorio di assumere astrattamente rango privilegiato ai sensi del d.lgs. n. 123 del 1998, art. 9".

Il Tribunale ha poi affermato che la "prestazione di garanzia erogata da Sace non è sussumibile" nella nozione di finanziamento di cui al citato decreto legislativo giacché, in base a una "interpretazione letterale e sistematica delle disposizioni rilevanti", il termine "finanziamento" implica necessariamente una "contribuzione diretta in danaro a favore del soggetto beneficiato".

Infine, il Tribunale ha soggiunto che il "meccanismo di surrogazione nei diritti ex art. 1203 c.c.", di cui al d.lgs. n. 123 del 1998, art. 7, "appare del tutto incompatibile con il riconoscimento del suddetto privilegio". Il privilegio non sarebbe riconoscibile all'istituto di credito garantito, originario creditore (che viene soddisfatto da Sace, la quale si surroga nei suoi diritti), ma solo a favore di Sace; "in questo caso il privilegio derogherebbe ai principi che regolano la surroga nei diritti del creditore, perché attribuirebbe al garante che soddisfa il creditore surrogato una qualità del credito poziore rispetto a quella che aveva il credito del creditore originario".

Avverso il provvedimento, Sace ha proposto ricorso per Cassazione. All'esito del giudizio, la Suprema Corte ha cassato la pronuncia impugnata con rinvio della controversia al giudice di merito.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

La vicenda verte essenzialmente su due profili giuridici. Da un lato, rileva la posizione giuridica soggettiva di cui gode il titolare di un sostegno pubblico che è stato revocato e, una volta riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario, si discute sulla forma e i limiti del sindacato giurisdizionale. Dall'altro, si dibatte sulla nozione di “finanziamento pubblico” così da delimitare i confini fra l'ammissibile interpretazione estensiva e l'inammissibile analogia in materia di privilegi, con particolare riferimento ai principi che regolano la surroga nei diritti del creditore originario.

Con riferimento alla prima questione, la Cassazione ha enunciato che la revoca del sostegno pubblico, concesso per lo sviluppo delle attività produttive ai sensi dell'art. 9 del d.lgs. n. 123/98, non importa alcuna valutazione discrezionale, perché il provvedimento di revoca si limita ad accertare il venire meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge, senza che l'atto di revoca possegga alcuna valenza costitutiva.

Ad avviso dei giudici di legittimità, nei casi di “provvedimento obbligatorio a carattere vincolato”, come quello in esame, al giudice ordinario è "preclusa ogni valutazione, anche ai fini dell'eventuale disapplicazione, della legittimità del relativo provvedimento, trattandosi di sindacato che spetta unicamente al giudice amministrativo". Secondo la Cassazione, “se la fase procedimentale della valutazione della domanda di contributo pubblico è per solito oggetto di un apprezzamento discrezionale, con la conseguenza che la posizione del richiedente è di interesse legittimo, quella di eventuale revoca del beneficio incide su un diritto soggettivo perfetto, tutelabile avanti all'autorità giudiziaria ordinaria, dovendo il giudice solo accertare il venire meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge".

I giudici di legittimità soggiungono che “i controlli previsti dal d.lgs. n. 123/98 art. 8, c. 1 (<il soggetto competente... può disporre in qualsiasi momento ispezioni, anche a campione, sui programmi e le spese oggetto di intervento, allo scopo di verificare lo stato di attuazione, il rispetto degli obblighi previsti dal provvedimento di concessione>) risultano previsti - nel contesto del sistema normativo di cui al decreto legislativo in esame - in funzione diretta e propria del mantenimento, o per contro revoca, del beneficio concesso (art. 9, I c., d.lgs. n. 123/98)”. Pertanto, il Tribunale di Milano ha errato nel ritenere escluso dal privilegio l'intervento di sostegno pubblico realizzato a mezzo di rilascio di garanzia personale.

Sulla nozione di finanziamento, la Suprema Corte segnala che si è ormai venuto a creare un indirizzo consolidato secondo cui "in sede fallimentare gli interventi di sostegno pubblico erogati in forma di concessione di garanzia godono anch'essi del privilegio di cui al d.lgs. n. 123 del 1998, art. 9, c. 5, perché le diverse forme di intervento pubblico in favore delle attività produttive risultano espressione di un unitario disegno normativo". Con riferimento alla nozione di "finanziamento", che il Tribunale in modo non condivisibile circoscrive alle sole erogazioni dirette di danaro, la Suprema Corte rileva che il d.lgs. n. 123/98 non detta una definizione del termine "finanziamento", ma “in realtà, le diverse forme di intervento pubblico di sostegno alle attività produttive individuate dal d.lgs. n. 123/98 (e descritte nella norma dell'art. 7) appaiono espressione di un disegno di impianto unitario, come inteso alla <razionalizzazione> e riorganizzazione dell'intero settore (…) e soprattutto portatore di una disciplina di segno unitario delle diverse forme di intervento".

Infine, “quanto all'altro rilievo addotto dal Tribunale, per cui non è possibile che la posizione del soggetto che si surroga sia migliore di quella del creditore originario”, la Cassazione ha rilevato che il "garante che ha pagato il creditore ha comunque diritto di recuperare dal debitore finale quanto per lui pagato, posto che è su quest'ultimo - non già sul garante solvens - che non può non ricadere il depauperamento patrimoniale conseguente alla rilevata sussistenza di un <debito> . (…) la norma dell'art. 1203 c.c. è univoca nel dichiararsi <a vantaggio>, e non già a danno, del solvens: la stessa, perciò, non potrebbe comunque togliere a questi dei <vantaggi>, che risultano connessi alla posizione propria di questo".

Osservazioni

La decisione si pone nel solco di un'impostazione consolidata espressa dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 6/2014, richiamata nella stessa sentenza in commento, sul tema del ritiro di sovvenzioni economiche accordate dalla mano pubblica a soggetti privati.

La questione veniva rimessa all'Adunanza Plenaria poiché era maturato nella giurisprudenza un orientamento (innovativo rispetto a quello tradizionale) secondo il quale tutte le ipotesi di ritiro delle sovvenzioni venivano a costituire esercizio di potestà autoritativa con conseguente devoluzione della giurisdizione al giudice amministrativo.

L'Adunanza Plenaria ritiene di non aderire ai nuovi fermenti maturati, optando per l'impostazione tradizionale che prescinde dal nomen iuris del provvedimento (si chiami ritiro, revoca oppure annullamento) per incentrarsi sulla posizione giuridica soggettiva tutelata, diritto soggettivo o interesse legittimo, secondo la dicotomia costituzionale.

La giurisdizione spetta al giudice ordinario qualora, come nel caso in esame, la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione.

Nel caso di specie veniva contestato un inadempimento del beneficiario e, per l'effetto, vertendosi su un diritto soggettivo il sindacato spetta al giudice ordinario il quale, però, non ha fatto buon governo della funzione giurisdizionale e, in particolare, dell'istituto della disapplicazione provvedimentale. L'atto di revoca non viene in rilievo in via meramente incidentale, ma come oggetto principale della decisione, spettando, invece, al giudice “solo accertare il venir meno di un presupposto previsto in modo puntuale dalla legge”.

I giudici di legittimità richiamano, nel corpo della sentenza in commento, la pronuncia della Cassazione Sez. VI 22 giugno 2016, n. 12976. La decisione si occupa di immigrazione, dunque di un settore del tutto eterogeneo a quello in esame, ma esprime un principio che ben si adatta alla fattispecie. Tanto il provvedimento di revoca del sostegno quanto quello di espulsione dello straniero costituiscono atto obbligatorio a carattere vincolato, “sicché il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l'esistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge, che ne impongono l'emanazione (…) e non è invece consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, poiché tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione”.

Pertanto, come “il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può disapplicare l'atto amministrativo presupposto emesso dal questore (rifiuto, revoca o annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo)”, così sempre il giudice ordinario non può disapplicare la revoca quale atto amministrativo presupposto, ma è tenuto a prendere atto dell'esito del procedimento amministrativo, su cui non può incidere, per verificare -questo è il suo compito- se sussistano o meno i presupposti previsti dalla legge per invocare il diritto al contributo.

Né vale discriminare la garanzia rispetto alle altre forme di sostegno pubblico.

L'art. 9, c. V del d.lgs. n. 123/98 accorda il rango privilegiato ai “crediti nascenti dai finanziamenti erogati” e l'art. 7 del medesimo d.lgs. indica una vasta gamma di “benefici determinati dagli interventi” a sostegno dell'impresa, incluso il rilascio della manleva.

Depone nel senso di una nozione ampia di finanziamento non solo un'interpretazione coerente del testo del d.lgs. n. 123/98, ma altresì una più complessiva analisi dell'ordinamento giuridico.

L'art. 12 della legge n. 241/90, che costituisce la norma generale di riferimento in materia di procedimento di attribuzione di risorse pubbliche, prevede, con un lato novero di ipotesi, che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”.

A conferma della tendenza omincomprensiva della nozione di finanziamento risulta significativa la pronuncia n. 3/18 dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sulla portata del comma 1, lettera g), dell'art. 67 del codice antimafia secondo cui “le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere: […] g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali”.

L'Adunanza Plenaria afferma che nel novero delle erogazioni di cui all'art. 67, comma 1, lett. g), del codice antimafia devono essere ricompresi anche i crediti risarcitori. Il divieto di ottenere sostegno economico ricomprende anche l'impossibilità di percepire somme dovute a titolo di risarcimento del danno patito in connessione all'attività di impresa. Sia per le erogazioni dirette ad arricchire l'imprenditore colpito da interdittiva sia per quelle dirette a parzialmente compensarlo di una perdita subita sussiste il pericolo che l'esborso di matrice pubblicistica giovi ad un'impresa soggetta ad infiltrazioni criminali.

La finalità del legislatore è, in generale, quella di evitare ogni indebito esborso di matrice pubblicistica. Ne discende che gli istituti espressamente contemplati dal legislatore (contributi, finanziamenti, forme di sostegno lato sensu) rientrano tutti nella più ampia categoria delle obbligazioni pecuniarie a carico della Pubblica Amministrazione.

Conclusioni

La decisione della Cassazione risulta in sintonia con gli indirizzi dell'Adunanza Plenaria in tema di revoca di sovvenzioni pubbliche ed ampia nozione di finanziamento.

Nell'ipotesi di revoca del sostegno pubblico all'impresa, laddove sussista un diritto soggettivo a fronte del dedotto inadempimento, il sindacato del giudice ordinario si concentra sulla verifica dei presupposti previsti dalla legge circa la titolarità del finanziamento, senza debordare sull'iter procedimentale della P.A. e sul suo esito provvedimentale.

Non può operare il potere di disapplicazione laddove assuma un peso decisivo la contestazione che investe la correttezza del procedimento e, quindi, il corretto esercizio della potestà autoritativa (sul punto, cfr. Cass. civ., sez. un., 4 marzo 2020, n.6076). Diversamente opinando, il rischio è quello di incentrare il sindacato sul provvedimento che inammissibilmente diventerebbe, in via principale, l'oggetto della vertenza.

In un contesto di ampia nozione di finanziamento, intesa come esborso di finanza pubblica, non è corretto assumere distinzioni fra forme di agevolazione, pena isolare senza ragione, tra le varie ipotesi di sostegno all'impresa, il rilascio di garanzie per le quali opera il privilegio previsto dal legislatore senza che si incorra in alcuna analogia, operando una consentita interpretazione estensiva.

Dal momento che il sostegno pubblico è privilegiato, non ha pregio declassare il credito perché chirografario sarebbe stato il credito della banca surrogata. Occorre concentrarsi su chi gravi in via definitiva l'esborso, tenendo conto che il meccanismo della surroga ex art. 1203 c.c. non è certo in grado di andare a detrimento del solvens escludendo il privilegio riconosciuto ex d.lgs. n. 123/98.

In definitiva, le diverse forme di intervento pubblico delle attività produttive risultano espressione di un disegno normativo unitario e, in caso di revoca, come enuncia persuasivamente la Cassazione, “occorre comunque recuperare la provvista per ulteriori e futuri interventi di sostegno della produzione”.

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