Fallimento del debitore esecutato e compensi spettanti all'i.v.g.

Giuseppe Lauropoli
31 Agosto 2020

La specifica questione che deve affrontare la Cassazione nella pronuncia in commento è quella di individuare la parte sulla quale far gravare i compensi spettanti all'istituto vendite giudiziarie delegato alla vendita in una procedura esecutiva mobiliare, nel caso in cui la procedura esecutiva mobiliare sia stata dichiarata improcedibile ai sensi dell'art. 51 del R.d. n. 267/1942 a seguito di fallimento del debitore esecutato.
Massima

In tema di esecuzione mobiliare, laddove la vendita delegata all'Istituto Vendite Giudiziarie (i.v.g.) non sia stata eseguita a causa della pronuncia di improcedibilità della procedura esecutiva per intervenuto fallimento del debitore, il Giudice dell'esecuzione, nell'individuare il soggetto da onerare della liquidazione del compenso dovuto all'ausiliario, ex art. 33 del d.m. n. 109/1997, non può derogare ai principi generali posti dall'art. 8 del d.P.R n. 115/2002 e dall'art. 95 c.p.c., con l'effetto che le competenze dell'ausiliario andranno poste a carico del creditore procedente e, cioè, del soggetto tenuto ad anticipare le spese per gli atti del procedimento da lui avviato, in quanto il vincolo del pignoramento permane sino a che i beni non siano venduti nell'ambito della procedura fallimentare o questa non sia altrimenti chiusa, con la conseguenza che la procedura esecutiva, esistendo ancora i beni, può nuovamente liberamente svolgersi.

Il caso

All'origine del ricorso esaminato dai giudici di legittimità vi era un decreto di liquidazione dei compensi in favore dell'istituto vendite giudiziarie, reso dal giudice dell'esecuzione di Chieti.

Tale decreto, che aveva liquidato tali compensi ponendo gli stessi in solido a carico di parte esecutata (fallita in corso di procedura) e di parte procedente, era stato opposto ai sensi dell'art. 170 del d.P.R. n. 115/2002 e tale opposizione era giunta, attraverso un articolato iter processuale, all'esame della Cassazione che si era infine pronunciata con la sentenza in commento.

La questione

A dispetto della questione affrontata nella pronuncia in commento, all'apparenza molto tecnica e alquanto ostica, la sentenza che si annota appare molto interessante e fornisce alcuni importanti spunti di riflessione.

Indubbiamente le espropriazioni mobiliari hanno perso negli ultimi decenni quella centralità che per molto tempo avevano avuto nel sistema delle esecuzioni civili: le procedure esecutive di esecuzione mobiliare sono, nella maggior parte dei tribunali italiani, quantitativamente molto poche (il loro numero è certamente di gran lunga inferiore alle procedure di pignoramento presso terzi) e raramente consentono al creditore di conseguire una piena soddisfazione del proprio credito, ora perché la vendita dei beni mobili non abbia affatto luogo, ora perché la vendita, pur essendosi realizzata, consegua un prezzo di aggiudicazione di gran lunga inferiore al credito azionato in sede esecutiva.

Ciò non toglie, però, che tali procedure pongano problemi processuali talvolta molto complessi.

Del resto, le questioni che vengono in esame nella pronuncia in commento, pur traendo origine da una procedura esecutiva mobiliare, attengono a ben vedere a due questioni processuali di carattere generale: il riparto delle spese dell'esecuzione tra creditore procedente e debitore esecutato e l'incidenza che sulla procedura esecutiva individuale abbia l'inizio di una procedura concorsuale che coinvolga il debitore esecutato.

Quanto alla prima questione, quella concernente il riparto delle spese dell'esecuzione tra creditore procedente e debitore esecutato, la specifica questione che deve affrontare la Cassazione nella pronuncia in commento è quella di individuare la parte sulla quale far gravare i compensi spettanti all'istituto vendite giudiziarie delegato alla vendita in una procedura esecutiva mobiliare, nel caso in cui la procedura esecutiva mobiliare sia stata dichiarata improcedibile ai sensi dell'art. 51 del R.d. n. 267/1942 a seguito di fallimento del debitore esecutato.

La seconda questione, strettamente legata alla prima, concerne l'indagine in merito alla natura e agli effetti di tale pronuncia di improcedibilità che viene resa dal giudice dell'esecuzione a seguito del fallimento dell'esecutata: tale statuizione del giudice dell'esecuzione (quella di “improcedibilità”) deve essere considerata del tutto equivalente ad una pronuncia di “estinzione”, oppure occorre attribuirle una portata diversa?

Su tali temi si svolge il percorso argomentativo seguito dai giudici della Cassazione.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, nella pronuncia che si annota, conclude nel senso di affermare la erroneità della pronuncia che ponga i compensi spettanti all'istituto vendite giudiziarie (i.v.g.) a carico di parte creditrice e debitrice in solido.

A tale conclusione i giudici di legittimità giungono traendo spunto dalle disposizioni generali dettate in tema di regolamentazione delle spese processuali esecutive, per poi calare tali disposizioni generali nello specifico impianto regolamentare dettato in materia di compensi spettanti all'i.v.g.

La prima norma di riferimento, provando qui a ripercorrere molto sinteticamente il percorso seguito nella sentenza in commento, va individuata nell'art. 8 del d.P.R. n. 115/2002, in tema di onere delle spese processuali civili: stando al primo comma di tale norma (che ha analogo contenuto dell'ormai abrogato art. 90 c.p.c.) «ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l'anticipazione è posta a suo carico dalla legge o dal magistrato».

Il secondo comma, sul quale non ci si sofferma nella presente nota, concerne l'anticipazione delle spese nel caso in cui la parte sia stata ammessa al gratuito patrocinio.

Spetta dunque ordinariamente alla parte, nel corso del processo di cognizione come nel corso della procedura esecutiva, farsi carico delle spese relative agli atti che compie e anticipare le spese necessarie al proseguimento del processo che vengano poste a suo carico dalla legge o dal giudice.

Tale parte sulla quale incombe l'onere di farsi carico, provvisoriamente, delle spese della attività processuale in corso coincide, laddove si tratti di una procedura esecutiva, con il creditore procedente, ossia con la parte che ha dato avvio alla procedura esecutiva e che, solitamente, ne promuove i diversi atti di impulso.

Tuttavia, prosegue la sentenza nel suo iter argomentativo, una volta che la procedura esecutiva si sia utilmente svolta mediante la vendita dei beni pignorati, le spese sostenute dal creditore procedente e dai creditori intervenuti che abbiano utilmente partecipato alla distribuzione dovranno essere poste definitivamente a carico del debitore esecutato, in conformità alla previsione contenuta nell'art. 95 c.p.c.

Altra disposizione sulla quale si sofferma la pronuncia della Cassazione è costituita dall'art. 51 l. fall.: i giudici di legittimità sottolineano, così, come l'esecuzione avviata nei confronti di un soggetto poi dichiarato fallito debba ritenersi improcedibile, e non estinta, con effetti non indifferenti sulla regolamentazione delle spese della procedura, dal momento che la stessa, a seguito di tale improcedibilità, non può ritenersi semplicemente chiusa, atteso che gli effetti del pignoramento si protraggono anche in pendenza della procedura concorsuale.

Sulla base di tali premesse normative, la Cassazione giunge alla conclusione che i compensi spettanti all'i.v.g. in relazione all'esecuzione mobiliare dichiarata improcedibile a seguito del fallimento della debitrice esecutata debbano essere posti a carico del creditore procedente, non apparendo corretto invece porli a carico del debitore e del creditore in solido (soluzione, quest'ultima, che non appare conforme alle previsioni contenute nell'art. 33 del d.m. n. 109/1997, norma regolamentare che disciplina l'ipotesi di liquidazione dei compensi all'i.v.g. nel caso di estinzione della procedura o, comunque, di mancata vendita dei beni pignorati).

Le soluzione che propende per l'imputazione al creditore procedente dei compensi spettanti all'i.v.g. trova fondamento, secondo la Cassazione, nel fatto che la procedura esecutiva dichiarata improcedibile non possa ritenersi estinta, dal momento che il pignoramento continua a produrre i propri effetti anche successivamente alla dichiarazione di fallimento, cosicché solo una volta «intervenuta la vendita in sede fallimentare» potrà ritenersi definita «anche la procedura esecutiva temporaneamente improcedibile» (si veda la pronuncia in commento), con l'ulteriore conseguenza che dovrà riconoscersi all'originario creditore procedente la possibilità di insinuarsi nella procedura fallimentare per vedere rimborsate le spese dallo stesso anticipate in corso di procedura esecutiva, atteso che tali spese sostenute in sede di esecuzione individuale «sono state utili alla conservazione del patrimonio del fallito in favore del ceto creditorio».

Osservazioni

Le argomentazioni svolte nella sentenza in commento appaiono coerenti e condivisibili con specifico riguardo alla questione concernente l'imputazione dei compensi dell'i.v.g. nel caso di procedura esecutiva dichiarata improcedibile a seguito di fallimento del debitore esecutato.

In particolare, la posizione espressa dalla Corte in merito alla portata e agli effetti della pronuncia di improcedibilità a seguito di fallimento dell'esecutato e sulla sua non qualificabilità in termini di mera “estinzione” si pone nel solco di una consolidata giurisprudenza di legittimità espressasi sul punto.

A riguardo, giova richiamare il contenuto di una pronuncia del 1999, stando alla quale «nell'ipotesi in cui, prima della dichiarazione di fallimento, sia stata iniziata da un creditore l'espropriazione di uno o più immobili del fallito, a norma dell'art. 107 l. fall. il curatore si sostituisce al creditore istante, e tale sostituzione opera di diritto, senza che sia necessario un intervento da parte del curatore o un provvedimento di sostituzione da parte del giudice dell'esecuzione» (Cass. civ., n. 3279/1999); da tale premessa la medesima sentenza fa seguire la conseguenza che «nell'ipotesi in cui il curatore ritenga di attuare altre forme di esecuzione, la procedura individuale, non proseguita, per sua scelta, dal curatore, né proseguibile, ai sensi dell'art. 51 l. fall., dal creditore istante, diventa improcedibile, ma tale improcedibilità non determina la caducazione degli effetti sostanziali del pignoramento, giacché nella titolarità di quegli effetti è già subentrato automaticamente e senza condizioni il curatore a norma dell'art. 107 l. fall.» (si vedano, oltre alla pronuncia appena citata, numerose altre sentenze che si esprimono nei medesimi termini, quali Cass. civ., n. 13865/2002 e, più di recente, Cass. civ., n. 5655/2019).

Una volta determinata la portata della pronuncia di improcedibilità resa dal giudice dell'esecuzione a seguito di fallimento del debitore esecutato, risulta anche condivisibile che i compensi spettanti all'i.v.g. in relazione all'attività svolta nel corso della procedura esecutiva individuale vengano posti a carico del creditore procedente: e ciò non in virtù del combinato disposto dell'art. 632, ultimo comma, c.p.c. e dell'art. 310, ultimo comma, c.p.c. (stando al quale in caso di estinzione della procedura esecutiva le spese del processo estinto restano a carico delle parti che le hanno anticipate), come accadrebbe laddove si versasse in ipotesi di estinzione del processo esecutivo, ma piuttosto in virtù dell'art. 8 del d.P.R. n. 115/2002, che pone a carico di ciascuna parte l'onere di provvedere alle spese degli atti processuali che compie e di quelli che chiede, ferma restando la possibilità di insinuarsi al passivo del fallimento in relazione alle spese anticipate in tale procedura (in termini similari, sia pur con motivazioni non del tutto coincidenti, si veda pure Cass. civ., n. 25585/2015).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.