Pluralità di soccombentiFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 97
01 Settembre 2020
Inquadramento
Per il caso di pluralità di soccombenti il codice di rito detta una speciale disciplina in punto di governo delle spese di lite stabilendo, all'art. 97 c.p.c., a completamento del principio della soccombenza fissato dall'art. 91 c.p.c., che:
La norma ha sostituito l'art. 371 del codice di rito del 1865, secondo cui: «Quando le parti soccombenti sono più, le spese si ripartiscono tra esse per capi, o in ragione del loro interesse nella controversia. Se le parti siano condannate per obbligazioni solidali, ciascuna può essere dichiarata tenuta alle spese solidalmente. Se la sentenza non abbia stabilito sulla ripartizione delle spese questa si fa per capi». La disposizione previgente, dunque, contemplava la ripartizione della condanna alle spese per capi, oppure in funzione del maggior interesse che alcuna delle parti avesse avuto. La condanna solidale, poi, era prevista quale riflesso della natura sostanziale dell'obbligazione dedotta in giudizio. È prevalsa in seguito, sulla spinta della dottrina, la scelta di allentare il legame tra la condanna solidale e l'esistenza di vincoli sostanziali fra le parti in causa, sicché si è giunti all'attuale formulazione della norma citata, che ha al suo centro i concetti, ampiamente flessibili, di «rispettivo interesse nella causa» e di «interesse comune», e che è stata pertanto qualificata come «norma in bianco», nel senso che la determinazione della condanna alle spese è sostanzialmente lasciata alla discrezionalità del giudice (Scarselli,316). Spetta dunque all'interprete delineare le nozioni di interesse «rispettivo» e di interesse «comune», tale da giustificare la condanna solidale. Mentre il concetto di interesse «rispettivo» è stato ricondotto a quello dell'interesse ad agire previsto dall'art. 100 c.p.c., ed è stato cioè inteso come interesse ad un determinato risultato giuridico ed ai vantaggi economici e morali conseguenti (Allorio, Commentario del codice di procedura civile, Torino, 1973, 1040), meno agevole è risultata la definizione della nozione di «interesse comune», fermo restando che la formulazione dell'art. 97 c.p.c. si è affrancata dalla impostazione sostanzialistica del citato nell'art. 371 c.p.c. previgente: al che ha nel corso del tempo ovviato l'apporto della giurisprudenza. Aspetti generali
La condanna alle spese, nell'ipotesi considerata di pluralità di soccombenti, può essere o no pronunciata in solido tra di essi. Nell'escludere la solidarietà il giudice tiene conto del «rispettivo interesse nella causa», avuto riguardo, cioè all'interesse giuridico perseguito da ciascuno dei soccombenti. La condanna in solido può invece essere disposta, anche in mancanza di un'istanza in tal senso da parte del vincitore, non soltanto in caso di rapporto processuale unico, ma in ogni caso in cui i soccombenti abbiano un «interesse comune alla causa», interesse derivante non solo da una indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma anche dalla identità delle questioni sollevate o dibattute ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi a contrastare la pretesa avversaria. La condanna solidale può quindi ricorrere, oltre che in caso di litisconsorzio necessario, in caso litisconsorzio facoltativo, in ipotesi di obbligazione solidale o indivisibile, quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni (art. 103, comma 1, ultima parte c.p.c.), nei confronti del garante e del garantito in favore della controparte vincitrice, nei confronti dell'interveniente ad adiuvandum e della parte adiuvata. Viceversa, in caso di intervento principale, o ad excludendum, la comunanza d'interessi tra l'interveniente e alcuna delle parti originarie è in linea di principio da escludere. Il potere di pronunciare la condanna in solido ha carattere discrezionale nella valutazione sul punto non è sindacabile in sede di legittimità. Infine, se la sentenza nulla dispone, l'obbligazione di rimborso per le spese si considera effettuata per quote uguali. A norma dell'art. 97 c.p.c. la condanna solidale di tutte o di alcune tra le parti al pagamento delle spese giudiziali può essere pronunciata soltanto a carico di quelle parti, che abbiano in causa un interesse comune (Cass. civ., 22 aprile 1963, n. 1032). La nozione di «interesse comune» è da intendere in senso ampio, sicché la comunanza dell'interesse non necessariamente richiede l'esistenza di un'obbligazione solidale o indivisibile che avvinca i soccombenti (Andrioli, 273).
Detto interesse — è stato ribadito in più occasioni — ricorre allorché si abbia una convergenza ed unitarietà di interesse al provvedimento del giudice, la quale si riveli in un'identità di atteggiamento difensivo diretto a contrastare la pretesa avversaria (Cass. civ.,12 dicembre 1986, n. 7406; Cass. civ., Sez. Un., 12 febbraio 1987, n. 1536; Cass. civ.,17 ottobre 1989, n. 4155). Cause riunite
La comunanza di interessi può così desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute (Cass. civ., 29 luglio 2015, n. 16056) ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria: situazione questa che non è incompatibile con l'ipotesi in cui vari processi, separatamente instaurati, siano stati fatti oggetto di un provvedimento del giudice di riunione (Cass. civ., 12 dicembre 1988, n. 6739; Cass. civ.,30 gennaio 1995, n. 1100; Cass. civ.,24 giugno 1996, n. 5825; Cass. civ.,31 marzo 2005, n. 6761). L'interesse comune non è dunque escluso dall'essere state riunite più cause. L'autonomia di più cause connesse e riunite non esclude quindi l'unicità del processo derivante dalla loro trattazione congiunta e non è, perciò, sufficiente ad escludere la condanna solidale alle spese delle rispettive parti soccombenti, aventi interesse comune, rivelatosi, secondo l'apprezzamento incensurabile del giudice di merito, nella convergenza di atteggiamenti difensivi (Cass. civ., 23 luglio 1968, n. 2644; Cass. civ., 17 gennaio 1978, n. 210; Cass. civ., 4 aprile 1980, n. 2241). Resta fermo però che il vincolo della solidarietà, ai fini della condanna alle spese giudiziali di più soccombenti, è circoscritto nei limiti in cui sussiste l'interesse comune: ne consegue che, nell'ipotesi di più cause autonome, ancorché connesse e riunite in un solo processo, il soccombente non può essere condannato al pagamento di spese che, non determinate dal suo comportamento, siano inerenti a rapporti sostanziali o processuali estranei alla lite fra esso soccombente e la parte vittoriosa (Cass. civ., 22 gennaio 1980, n. 487). Intervento
Neppure l'interesse comune è escluso in ipotesi di intervento del terzo ad adiuvandum in un giudizio già pendente. Difatti, il soggetto che interviene in un giudizio tra altre parti, facendo propria la posizione di uno dei contendenti ed assumendo attiva posizione di contrasto verso l'altro, resta dunque soggetto al principio della soccombenza, ai fini della regolamentazione delle spese, prescindendo da ogni questione sulla legittimazione o sull'interesse ad intervenire, che peraltro, se ritenuto dal giudice del merito, con accertamento insindacabile in sede di legittimità, comune ad altre parti, può determinarne la condanna alle spese in solido, anziché in proporzione all'interesse di ciascuna, come di regola (Cass. civ., 23 luglio 1997, n. 6880; Cass. civ., 16 maggio 2017, n. 12025). Analogo principio trova applicazione in caso di chiamata in garanzia. Così, l'assicuratore della responsabilità civile, a seguito della chiamata in garanzia, assume nel giudizio la posizione di interventore adesivo autonomo, sicché, ove abbia contestato la fondatezza della domanda attorea, resta soggetto al principio della soccombenza al fine della regolamentazione delle spese di lite, indipendentemente da ogni questione sulla natura e sul titolo dell'intervento, e può essere condannato in solido con la parte con la quale condivide il medesimo interesse (Cass. civ., 17 gennaio 2017, n. 925). Obbligazioni solidali
Ove ricorra l'ipotesi dell'obbligazionesolidale in capo ai soccombenti, ciò basta per la sussistenza dell'interesse comune, anche se le strategie difensive sono diverse.
Nondimeno, anche in presenza di solidarietà in ordine all'obbligazione dedotta in giudizio, il giudice può escludere la condanna solidale per le spese. Se, ad esempio, nel giudizio civile per il risarcimento dei danni da incidente stradale la sentenza di condanna riguarda l'assicurato, a cui viene fatta risalire la responsabilità del sinistro, mentre viene riconosciuta l'ineccepibilità del comportamento dell'assicuratore di r.c.-auto quanto alla liquidazione del massimale di polizza, pur in presenza di più parti soccombenti, la norma di cui all'art. 97 c.p.c., impone una ripartizione del carico delle spese di giudizio in rapporto al rispettivo interesse in causa, non la loro condanna solidale (App. Milano 15 dicembre 1989). Domande di valore diverso
Secondo un primo indirizzo, nel caso di due domande, tra loro autonome, e di valore diverso, la solidarietà deve essere rapportata alla misura dell'interesse comune e cioè a quella delle due domande che, per essere di minor valore, è ricompresa nel valore dell'altra, dovendosi per il resto rispettare il disposto dell'art. 97 c.p.c. per il quale il giudice, se le parti soccombenti sono più, condanna ciascuna di esse alle spese in proporzione del rispettivo interesse nella causa (Cass. civ., 26 aprile 1966, n. 1063; Cass. civ., 24 maggio 1972, n. 1628). In senso diverso è stato talora sostenuto che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall'interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto (Cass. civ., 17 ottobre 2016, n. 20916). E si è ribadito che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall'interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto (Cass. civ., 30 ottobre 2018, n. 27476, che ha cassato la pronuncia con la quale la corte d'appello, in sede di rinvio, aveva posto le spese processuali, in solido, a carico della parte condannata a corrispondere una somma a titolo di illegittima occupazione di un immobile, e dell'avvocato di quest'ultima, condannato a restituire le spese di lite percepite in qualità di antistatario, in ragione della cassazione e della riforma della sentenza impugnata). Ma, ancora, è stato anche affermato che, in materia di spese del giudizio, la condanna in solido di più parti soccombenti alla rifusione delle spese di lite, ai sensi dell'art. 97 c.p.c., non è consentita quando i vari soccombenti abbiano proposto domande di valore notevolmente diverso, a nulla rilevando che tutti avessero un interesse comune all'accoglimento delle rispettive domande (Cass. civ., 11 aprile 2016, n. 6976). L'apprezzamento della comunanza di interessi, secondo il costante insegnamento della S.C., è incensurabile in cassazione se congruamente motivato (Cass. civ., Sez. Un., 5 maggio 1962, n. 902; Cass. civ.,7 aprile 1987, n. 3345; Cass. civ.,17 ottobre 1989, n. 4155; Cass. civ.,28 novembre 2007, n. 24757). Allo stesso modo è incensurabile in cassazione l'apprezzamento dell'opportunità della pronuncia della condanna solidale alle spese in presenza di un interesse comune (Cass. civ., 16 aprile 1968, n. 1123; Cass. civ., Sez. Un., 30 marzo 1972, n. 1010; Cass. civ., 26 luglio 1974, n. 2265). La giurisprudenza ha avuto modo di soffermarsi a scrutinare l'interesse comune nel caso di diversi gradi di giudizio con parti diverse. Il giudice d'appello può ritenere opportuno disporre la condanna solidale anche se il giudice di primo grado ha stabilito diversamente. La seconda disposizione del primo comma dell'art. 97 c.p.c., nell'affidare al giudice il potere discrezionale di dichiarare la solidarietà della condanna alle spese nei confronti delle parti che hanno comune interesse, non subordina l'esercizio di tale potere all'istanza dell'altra parte. Né può ritenersi che la statuizione del primo giudice, che abbia pronunziato sulle spese del grado senza dichiarare la solidarietà della condanna, precluda al giudice dell'impugnazione l'esercizio dell'autonomo potere discrezionale che la legge gli affida in relazione alla pronunzia sulle spese del giudizio di impugnazione (Cass. civ., 26 ottobre 1974, n. 3167; Cass. civ., 10 agosto 1977, n. 3673). Il provvedimento del giudice di merito in ordine alle spese processuali può essere sindacato in sede di legittimità solo ove violi il divieto di far gravare le spese sulla parte totalmente vittoriosa; fuori di questa ipotesi, la decisione sulle spese è rimessa al criterio discrezionale del giudice di merito, che è libero di compensarle in tutto o in parte, quanto di condannare alla totalità delle spese la parte soccombente anche solo parzialmente. In caso di litisconsorzio diversamente costituito nelle diverse fasi del giudizio, è pienamente rispondente al criterio della soccombenza, con il detto unico limite, la condanna dei litisconsorti alle spese delle sole fasi del giudizio alle quali essi hanno partecipato, rimanendo soccombenti. In tal caso, la dichiarazione di solidarietà della condanna alle spese tra i litisconsorti delle singole fasi o tra alcuni di essi non richiede neppure una specifica motivazione, essendo stabilito per legge che la condanna solidale può essere disposta se le parti soccombenti hanno interesse comune alla causa — inteso anche come semplice convergenza di interessi a porre la domanda o a contrastare la pretesa avversaria — e risultando tale interesse comune dalla stessa posizione litisconsortile (Cass. civ., Sez. Un., 20 novembre 1971, n. 3349). In caso di impugnazione sulle spese, gli altri condannati in solido non sono litisconsorti necessari. Perciò, riassunto il procedimento d'appello dichiarato interrotto per la morte di una delle parti, mediante notificazione collettiva ed impersonale del relativo atto nell'ultimo domicilio del defunto, la notificazione dell'atto di impugnazione effettuata agli eredi impersonalmente e, per essi, all'unico erede costituitosi deve ritenersi eseguita solo nei confronti di quest'ultimo. E, qualora l'impugnazione abbia per oggetto esclusivamente la condanna solidale degli eredi al pagamento delle spese giudiziali, non deve disporsi l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi, poiché il vincolo di solidarietà relativo ad una obbligazione non determina necessita di litisconsorzio tra tutti i coobbligati né, conseguentemente, inscindibilità della lite in cui tale obbligazione e dedotta (Cass. civ., 30 gennaio 1967, n. 265). Nel caso di condanna alle spese ai danni di più parti soccombenti, qualora la condanna non contenga la specificazione del quantum dovuto da ciascun soccombente, per cui la medesima deve intendersi pronunciata in parti uguali in base all'ultimo comma dell'art. 97 c.p.c., le cause relative all'obbligazione parziaria di ciascuna parte soccombente sono scindibili ed indipendenti, e pertanto se la sentenza di condanna non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti non occorre integrare il contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. (Cass. civ., 9 novembre 1977, n. 4805). In caso di impugnazione sulle spese, la condanna passa in giudicato nei confronti dei condannati in solido che non abbiano impugnato. Il condebitore solidale può fare invocare a suo favore la sentenza intervenuta fra il creditore ed altro coobbligato, ai sensi dello art. 1306, comma 2, c.c., solo se, nei confronti di esso condebitore, non operi altro giudicato contrario sul medesimo punto. Ne consegue che la riforma della sentenza di condanna solidale di più soccombenti al pagamento delle spese processuali, ottenuta in grado di appello da alcuni condebitori, non può giovare agli altri che non hanno proposto impugnazione, e che, pertanto, in forza del giudicato formatosi sulla pronuncia di primo grado, sono tenuti a pagare integralmente le spese medesime (Cass. civ., 18 novembre 1976, n. 4320).
Quando ne ricorrano i presupposti, la condanna solidale può essere pronunciata d'ufficio.
In giurisprudenza si evidenzia che in mancanza dell'interesse comune le spese vanno ripartite tra le parti soccombenti, escluso il relativo addebito ad uno solo di essi. E cioè, quando le parti soccombenti sono più e non ricorre l'ipotesi dell'interesse comune, il giudice non può discrezionalmente porre le spese a carico di una soltanto delle parti soccombenti, ma deve applicare il principio della ripartizione in proporzione del rispettivo interesse nella causa (Cass. civ., 19 maggio 1962, n. 1142). Se più sono i vincitori difesi da diversi avvocati non vi può essere un'unica pronuncia solidale in loro favore (Cass. civ., 6 aprile 1982, n. 2112). La pronuncia di un'unica condanna alle spese di causa, con liquidazione cumulativa delle medesime, in altri termini, è consentita a carico di più parti soccombenti, secondo la previsione dell'art. 97 c.p.c., ma non anche in favore di più parti vittoriose, che siano state assistite da difensori diversi. Infatti, la solidarietà attiva non essendo espressamente prevista non si presume, per cui la responsabilità delle parti soccombenti comporta che ciascuna delle controparti, ove abbia presentato distinte comparse e memorie, abbia diritto al proprio rimborso, tanto più se la difesa sia stata espletata da difensori diversi (Cass. civ., 25 gennaio 1999, n. 663; Cass. civ., 24 luglio 2017, n. 18256). Se null'altro è detto in sentenza, la ripartizione delle spese tra più soccombenti si fa per parti uguali. Nel caso di pluralità di soccombenti, cioè, se la sentenza non statuisce sulla ripartizione delle spese, questa si fa per quote uguali, secondo quanto espressamente dispone l'art. 97, ultima parte, del codice di rito. È, pertanto, inammissibile, per difetto di interesse, la censura con cui si sostenga che alla ripartizione delle spese giudiziali in parti uguali si sarebbe dovuto provvedere in modo esplicito (Cass. civ., 11 maggio 1967, n. 970). Riferimenti
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