Azione di responsabilità esercitata nel fallimento e clausola compromissoria: la Cassazione fa chiarezza

01 Settembre 2020

La clausola compromissoria contenuta nello statuto della società fallita non è applicabile all'azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146 l. fall., stante la natura unitaria ed inscindibile di tale azione, nella quale confluiscono tanto l'azione spettante alla società quanto quella dei creditori sociali.
Massima

La clausola compromissoria contenuta nello statuto della società fallita non è applicabile all'azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146 l. fall., stante la natura unitaria ed inscindibile di tale azione, nella quale confluiscono tanto l'azione spettante alla società quanto quella dei creditori sociali.

Il caso

Il Tribunale di Napoli, pronunciando sulle domande formulate dal curatore fallimentare ai sensi degli artt. 146 L. Fall. e 2393-2394 c.c., aveva dichiarato la propria incompetenza quanto alla sola azione sociale di responsabilità, in ragione della clausola compromissoria contenuta nello statuto della società fallita; aveva disposto, viceversa e al contempo, la rimessione sul ruolo (e la conseguente prosecuzione davanti a sé per l'istruttoria) della causa avente ad oggetto la sola azione di responsabilità spettante ai creditori sociali, che era appunto stata parimenti promossa dal curatore.

All'esito del regolamento di competenza conseguentemente proposto dal fallimento, la Corte di Cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale di Napoli “in relazione all'azione unitaria, cumulativa e inscindibile esercitata ai sensi dell'art. 146 L. Fall.”

La decisione in commento è stata motivata proprio sulla scorta di tali caratteristiche, che l'azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare presenta; inoltre, la Suprema Corte ha ravvisato un profilo di contraddittorietà nel ragionamento svolto dal Tribunale, là dove esso, pur riconoscendo il carattere unitario ed inscindibile dell'azione in parola, aveva nondimeno disposto, come si è detto, la separazione della causa riguardante l'azione sociale di responsabilità (ai fini della sua riassunzione in sede arbitrale) da quella dei creditori sociali, la quale sarebbe invece proseguita dinanzi al Tribunale.

Le questioni

La Corte di Cassazione sembra ora aver fatto definitivamente chiarezza in ordine ad una questione di sicuro interesse teorico ma soprattutto di notevole rilevanza pratica, cioè quella dell'applicabilità o meno - all'unitaria azione di responsabilità esercitata dal curatore ai sensi dell'art. 146 l. fall. - della clausola compromissoria contenuta nello statuto della società fallita (naturalmente ove questa si riferisca anche alle cause tra la società e i suoi organi, fra cui appunto l'azione di responsabilità).

L'affermazione del carattere unitario ed inscindibile dell'azione di responsabilità esercitata dal curatore non rappresenta certo una novità (risultando, anzi, consolidata da tempo): tuttavia, da un lato, proprio i precedenti arresti della Suprema Corte non avevano eliminato ogni dubbio in ordine a quell'interrogativo circa la portata della clausola compromissoria in sede fallimentare (si veda ad es. Cass. 16 ottobre 2018, n. 28533, nella cui motivazione l'inoperatività della clausola compromissoria poteva apparire letteralmente riferita alla sola azione di cui all'art. 2394 c.c.); dall'altro lato, la presa d'atto delle peculiarità dell'azione in parola non aveva impedito una certa diffusione – quantomeno nella giurisprudenza di merito - del diverso convincimento che, nel caso di specie, era stato espresso dal Tribunale di Napoli.

Più volte, infatti, anche il Tribunale di Milano era già giunto alla medesima conclusione, disponendo talora proprio la separazione della causa avente ad oggetto l'azione sociale di responsabilità (ai fini della sua prosecuzione in arbitrato) da quelle inerente all'azione dei creditori sociali (cfr. ad es. Trib. Milano, 6 luglio 2017; Trib. Milano, 15 settembre 2016; Trib. Milano, 15 dicembre 2015, tutte reperibili in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

Siffatto orientamento è parso reggersi eminentemente su due ordini di argomenti: i) la constatazione - anch'essa invero pacifica - che l'unificazione in capo al curatore della legittimazione ad esperire le due azioni non comportasse il venir meno della distinzione dei loro presupposti e regimi (come aveva affermato la stessa Corte di Cassazione in alcune pronunce richiamate, non a caso, dal Tribunale di Milano: cfr. ad esempio Cass. 4 dicembre 2015, n. 24715); ii) la lettura a contrariis dell'art. 83bis L. Fall., da cui deriverebbe la “opponibilità al fallimento della clausola arbitrale contenuta in contratti che non siano stati sciolti a seguito del fallimento stesso”.

In questo contesto, non erano comunque mancate voci di segno contrario: si segnala, in particolare, un recente provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma, il quale, richiesto da un curatore fallimentare di provvedere alla nomina degli arbitri - alla stregua di quanto era previsto dalla clausola compromissoria statutaria - ai fini dell'instaurazione dell'azione ex art. 146 L. Fall., aveva ritenuto il ricorso meritevole di rigetto proprio alla luce del fatto che l'azione spettante ai creditori - sicuramente estranea all'ambito applicativo della clausola compromissoria - non fosse scindibile dall'azione sociale di responsabilità (così Trib. Roma, 5 dicembre 2019).

Osservazioni

La soluzione accolta dalla Corte di Cassazione appare convincente.

Come essa aveva già precedentemente segnalato, risultava innanzitutto inconferente, al fine di sostenere l'opinione contraria, il richiamo al disposto dell'art. 83-bis L. Fall., poiché tale norma riguarda in realtà solo la sorte dei procedimenti arbitrali pendenti e non contiene, a ben vedere, una “regola generale in tema di rapporti tra arbitrato e fallimento” (così Cass. 16 ottobre 2018, n. 28533, cit.).

Inoltre, la statuizione circa la competenza del (solo) Tribunale a giudicare sull'azione ex art. 146 L. Fall. risulta senz'altro maggiormente coerente con il carattere unitario e cumulativo della stessa. È pur vero che, come la stessa Suprema Corte aveva più volte osservato, rimangono distinti i presupposti e, più in generale, i regimi delle due azioni che vengono attribuite al curatore: tuttavia, la tesi sostenuta dal Tribunale di Napoli (e prima ancora, come si è visto, dal Tribunale di Milano) - determinando la separazione delle stesse sul piano processuale - comporterebbe l'insorgenza di rilevanti e delicati problemi anche dal punto di vista pratico.

Potrebbe al riguardo bastare, forse, la (financo ovvia) constatazione che il curatore non avrebbe evidentemente il potere di “esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita” (così Cass. 23 maggio 2019, n. 23452). Sulla base di tale punto di partenza, invero indiscutibile, diverrebbe allora lecito chiedersi quali sarebbero (state) le implicazioni dell'idea secondo cui la clausola compromissoria presente nello statuto della società fallita vincoli anche il curatore, quantomeno in relazione all'azione sociale di responsabilità.

In questa prospettiva, si potrebbe in primo luogo osservare che l'azione ex art. 2394 c.c. si caratterizza per alcuni profili di specialità rispetto a quella di cui all'art. 2393 c.c. (il discorso vale ovviamente anche per la s.r.l., tanto più ora che, come è noto, il d. lgs. n. 14/2019, c.d. Codice della crisi, ha inserito all'art. 2476 c.c. una norma analoga all'art. 2394 c.c.). Il danno del quale i creditori sociali (e per loro il curatore, nel fallimento) domandano il risarcimento è infatti, come spesso si dice, un “riflesso” del danno prodottosi in prima battuta per il patrimonio della società: ma soprattutto, l'ulteriore presupposto dell'azione dei creditori è costituito dall'insufficienza del patrimonio sociale per la soddisfazione delle loro ragioni.

Certamente il curatore fallimentare sarebbe libero di esperire anche soltanto l'azione dei creditori (che comunque ricomprende i presupposti dell'azione sociale di responsabilità): del resto, l'insufficienza patrimoniale, a fronte dell'apertura della procedura fallimentare, è da ritenersi in re ipsa. Tuttavia, la separazione delle due azioni determinerebbe (in contrasto, peraltro, con gli indirizzi ormai consolidati della giurisprudenza, anche di legittimità) un sicuro e significativo aggravio della posizione del curatore stesso, il quale sarebbe costretto a promuovere due distinte cause (verosimilmente nei confronti dei medesimi convenuti, per giunta) per ottenere il medesimo risultato, ovvero, in alternativa, a scegliere tra l'una e l'altra, privandosi però in tal modo della possibilità di avvalersi in un'unica sede dei presupposti di entrambe: una di queste, inoltre, dovrebbe dare vita ad un arbitrato, i cui costi sarebbero in molti casi difficilmente sostenibili per una procedura concorsuale. A tal proposito, anzi, è difficile eliminare la sensazione che l'orientamento ora disatteso dalla Suprema Corte avesse tratto origine da un contegno prettamente opportunistico dei convenuti nell'azione di responsabilità (i quali, evidentemente, avevano sollevato la relativa eccezione ben consci, appunto, delle difficoltà che una procedura fallimentare può incontrare, sotto il profilo economico, nel dare avvio ad un giudizio arbitrale di valore generalmente molto elevato e nei confronti di una pluralità di parti). Sotto altro profilo, non è escluso che, in caso di instaurazione separata delle due azioni, sarebbe da ravvisare un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra l'azione sociale di responsabilità e quella spettante ai creditori: tuttavia, come è noto, a mente dell'art. 819ter c.p.c., non sarebbe possibile disporre la sospensione della seconda, pendente dinanzi al tribunale, in attesa della definizione del giudizio arbitrale che avrebbe ad oggetto la prima, con conseguente rischio anche di contrasto tra giudicati (cfr. sul punto, da ultimo, Cass. 3 febbraio 2020, n. 2335).

Si può ancora osservare, d'altro canto, che la convincente soluzione accolta dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento (e in precedenza, come si è visto, anche dal Tribunale di Roma) potrebbe, forse, essere criticata solamente nell'ipotesi in cui all'azione dei creditori sociali venisse riconosciuta natura surrogatoria (in quanto azione di responsabilità esperita in sostituzione della società): quest'ultimo, tuttavia, si configura quale approccio ormai minoritario e, a ben guardare, non condiviso neppure dalle richiamate pronunce del Tribunale di Milano, le quali, anche attraverso il rinvio ad alcuni precedenti della Suprema Corte, avevano messo in evidenza, fra l'altro, la diversa natura della responsabilità degli amministratori nei due casi (contrattuale nei confronti della società ed extracontrattuale - almeno secondo l'indirizzo ora prevalente - nei confronti dei creditori).

Da ultimo, può essere utile sottolineare che la conclusione raggiunta nella pronuncia in commento sembra destinata a ricevere una ulteriore conferma sul piano normativo con l'entrata in vigore della norma del Codice della crisi (non destinata a mutare, alla luce dello schema di Decreto correttivo oggi allo studio) che aggiungerà alle cause di scioglimento delle società di capitali, all'art. 2484 c.c., l'apertura della liquidazione giudiziale (procedura che, come è ormai noto, sostituirà il fallimento): in quest'ottica, sarà sempre più difficile sostenere che la clausola compromissoria - in quanto contenuta nello statuto della società che si scioglie con l'apertura della procedura concorsuale - sia suscettibile di vincolare in qualche modo il curatore.

Conclusioni

Come si è detto, la linea seguita dalla Suprema Corte risulta meritevole di condivisione, sia sotto il profilo teorico-sistematico (anche in quanto coerente con le consolidate elaborazioni giurisprudenziali circa la natura dell'azione di responsabilità esperita dal curatore), sia per i suoi risvolti pratico-applicativi, nonché, ancora, per la sua coerenza con la più recente evoluzione normativa.

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