Il fornitore/prestatore può emettere nota di accredito anche nel caso in cui il relativo credito non sia stato insinuato nella procedura fallimentare

02 Settembre 2020

Con sentenza dell'11 giugno 2020, n. C-146/19, la Corte di Giustizia Europea, occupandosi della normativa IVA slovena, ha stabilito che uno Stato membro non può escludere la riduzione della base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto, assolta e relativa ad un credito non recuperabile, qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand'anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso.
Premessa

Con sentenza dell'11 giugno 2020, n. C-146/19, la Corte di Giustizia Europea, occupandosi della normativa IVA slovena, ha stabilito che uno Stato membro non può escludere la riduzione della base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto, assolta e relativa ad un credito non recuperabile, qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore, quand'anche detto soggetto dimostri che, se avesse insinuato il credito in questione, questo non sarebbe stato riscosso.

In particolare, una società residente in Slovenia ha proceduto ad effettuare una rettifica dell'IVA relativa a crediti rimasti insoluti e vantati verso due società nei cui confronti era stata dichiarata definitivamente conclusa una procedura di fallimento.

Tale operazione è stata contestata in quanto la mancata insinuazione dei suddetti crediti nelle procedure di fallimento non avrebbe fatto sorgere le condizioni necessarie per l'ottenimento di una riduzione dell'IVA.

Infatti, secondo l'autorità fiscale locale, un soggetto passivo avrebbe il diritto di rettificare l'importo dell'IVA dichiarata sulla base di una decisione definitiva di chiusura di una procedura fallimentare, soltanto qualora egli abbia insinuato il proprio credito nei confronti del debitore fallito. Con tale insinuazione, il soggetto passivo dimostrerebbe altresì che il credito è tuttora esistente, il che rivestirebbe una particolare importanza nel caso di crediti vantati, come nel caso in esame, nei confronti di soggetti con i quali il soggetto passivo è collegato.

Tale tesi non ha convinto i giudici europei, i quali, per la loro decisione hanno fatto riferimento alla seguente normativa.

La normativa europea

Gli articoli citati sono il numero 90 e 273 dell'attuale direttiva (2006/112/CE).

In particolare, l'articolo 90 dispone quanto segue: «1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1».

L'articolo 273 della direttiva di cui sopra, invece, così recita:

«Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitare le evasioni, a condizione che questi obblighi non diano luogo, negli scambi tra Stati membri, a formalità connesse con il passaggio di una frontiera. Gli Stati membri non possono avvalersi della facoltà di cui al primo comma per imporre obblighi di fatturazione supplementari rispetto a quelli previsti al capo 3».

In breve, tali norme comunitarie permettono agli Stati membri di stabilire regole proprie, ai fini della variazione in diminuzione dell'IVA, nel caso di mancato pagamento del corrispettivo. Infatti, viene previsto che, in caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al principio secondo il quale: “In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri”.

Come si è espressa la CGUE

Alla Corte di Giustizia Europea sono state sottoposte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se sia possibile interpretare l'art. 90, paragrafo 2, della direttiva IVA nel senso che esso consente una deroga al diritto di riduzione della base imponibile dell'IVA anche nel caso di definitivo non pagamento, qualora questo definitivo non pagamento sia una conseguenza dell'omessa adozione, da parte del soggetto passivo dell'imposta, di un comportamento dovuto, ad esempio in virtù dell'omessa insinuazione del credito nella procedura fallimentare avviata nei confronti del debitore di detto soggetto passivo, come nella presente fattispecie.

2) Se, anche nel caso in cui sia ammissibile una siffatta deroga al diritto di riduzione della base imponibile dell'IVA, sussista ugualmente un diritto alla riduzione di tale base imponibile a motivo di non pagamento qualora il soggetto passivo dimostri che, anche qualora avesse insinuato i propri crediti nella procedura fallimentare, questi non sarebbero stati soddisfatti, oppure dimostri che sussistevano motivi ragionevoli per l'omissione, da parte sua, dell'insinuazione del credito.

3) Se l'articolo 90, paragrafo 1, della direttiva sull'IVA abbia effetto diretto anche nel caso in cui il legislatore dello Stato membro abbia travalicato il quadro della disciplina ammissibile delle deroghe stabilite dal paragrafo 2 del medesimo articolo 90».

Per risolvere queste questioni, i giudici comunitari ricordano che l'art. 90, paragrafo 1, della direttiva IVA, il quale contempla i casi di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile dell'IVA e, di conseguenza, l'importo dell'IVA dovuta dal soggetto passivo ogni volta che, successivamente alla conclusione di una transazione, una parte o la totalità della controprestazione non venga percepita dal soggetto passivo. Tale disposizione costituisce l'espressione di un principio fondamentale della direttiva IVA, secondo il quale la base imponibile è costituita dalla controprestazione realmente percepita, ed il cui corollario consiste nel fatto che l'amministrazione tributaria non può percepire a titolo di IVA un importo superiore a quello che il soggetto passivo aveva percepito (sentenza del 6 dicembre 2018, Tratave, C‑672/17, EU:C:2018:989, punto 29).

Gli Stati membri possono derogare a tale principio ma la suddetta facoltà mira unicamente a permettere agli Stati membri di combattere l'incertezza legata alla riscossione delle somme dovute, e non disciplina la questione se possa non effettuarsi una riduzione della base imponibile dell'IVA in caso di definitivo non pagamento (ordinanza del 24 ottobre 2019, Porr Építési Kft., C‑292/19, non pubblicata, EU:C:2019:901, punto 22).

Conseguentemente, a parere della Corte, deve essere permessa all'operatore economico la riduzione della base imponibile dell'IVA, qualora lo stesso possa dimostrare che il credito da egli vantato nei confronti del suo debitore risulta definitivamente irrecuperabile.

Gli Stati membri possono adottare le misure idonee ad evitare evasioni o elusioni fiscali, ma queste possono in via di principio derogare al rispetto delle norme relative alla base imponibile soltanto entro i limiti strettamente necessari per raggiungere tale obiettivo specifico. Infatti, esse devono incidere il meno possibile sugli obiettivi e sui principi della direttiva IVA e non possono, pertanto, essere utilizzate in modo tale da rimettere in discussione la neutralità dell'IVA (sentenza del 6 dicembre 2018, Tratave, C‑672/17, EU:C:2018:989, punto 33).

In altri termini, tale facoltà di deroga si fonda sull'assunto che, in presenza di determinate circostanze e in considerazione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il non pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio (sentenza del 23 novembre 2017, n. C-246/16).

Ciò non vuole dire, però, che gli Stati possano escludere del tutto tale rettifica. Infatti, la riduzione della base imponibile deve essere consentita in caso di certezza del non pagamento, pena il mancato rispetto del principio di neutralità dell'IVA da cui deriva che l'imprenditore dev'essere sgravato interamente dall'onere dell'imposta dovuta o pagata nell'ambito delle sue attività economiche a loro volta soggette a IVA (sentenza del 13 marzo 2014, Malburg, C_204/13, EU:C:2014:147, punto 4).

Pertanto, per tenere conto dell'incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura, potrebbe essere sufficiente consentire l'emissione della nota di credito “allorché il soggetto passivo segnala l'esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque”. Secondo la Corte, quindi, qualora il soggetto passivo dimostri che, anche se avesse insinuato il proprio credito, quest'ultimo non sarebbe stato riscosso, il fatto di escludere una riduzione della base imponibile e di far pesare su detto soggetto l'onere di un importo a titolo di IVA che egli non ha percepito nell'ambito delle sue attività economiche eccede i limiti strettamente necessari per raggiungere l'obiettivo consistente nell'eliminare il rischio di perdita di entrate fiscali (sentenza dell'8 maggio 2019, A-PACK CZ, C‑127/18, EU:C:2019:377, punto 27).

A questo punto è opportuno verificare se tali principi sono in linea con quelli previsti dalla legislazione italiana.

La normativa italiana

Si ricorda che le variazioni dell'IVA dovuta sono regolate dall'art. 26 del d.P.R. n. 633/1972.

In particolare, il secondo comma sancisce che è possibile operare una variazione in diminuzione quando un operazione, per la quale sia stata emessa fattura e sia stata registrata secondo gli artt. 23 e 24, venga meno o se ne riduca l'ammontare imponibile a causa della dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, oppure in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, oppure per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'art. 67, terzo comma, lettera d), del medesimo R.D. n. 267/1942 (di seguito anche legge fallimentare), pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente.

Il terzo comma prevede anche che gli eventi sopraindicati possano verificarsi in dipendenza di un sopravvenuto accordo fra le parti. In tali casi, la variazione deve essere registrata entro un anno dall'effettuazione dell'operazione imponibile.

Relativamente alle procedure concorsuali, la suddetta disposizione risponde ad esigenze equitative ed è volta a consentire al cedente del bene o al prestatore del servizio di recuperare, attraverso il meccanismo della variazione in diminuzione in conseguenza dell'insolvenza del debitore, l'imposta versata anticipatamente all'Erario.

Conseguentemente, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura.

Per quanto attiene, in particolare, all'ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, dell'importo fatturato, è da rilevare, in via generale, che tale circostanza viene giuridicamente ad esistenza allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, in tutto o in parte, per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Il verificarsi di tale evento postula, quindi, in via preventiva, da un lato l'acclarata insolvenza dell'importo fatturato e l'assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall'altro la necessaria partecipazione del creditore al concorso.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, tornano utili i chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria (Cfr. Circolare del 17 aprile 2000, n. 77/E.).

In conclusione

In merito al fallimento ed in forza dell'attuale normativa, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l'infruttuosità della procedura concorsuale.

In via generale, vale la pena d‘osservare che in base all'attuale previsione dell'art. 26 secondo comma d.P.R. n. 633/1972, la suddetta circostanza si verifica allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l'esecuzione collettiva sul patrimonio dell'imprenditore viene meno, interamente o parzialmente, per l'insussistenza di somme disponibili per la relativa soddisfazione una volta ultimata la ripartizione dell'attivo.

Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, è necessario rifarsi ai numerosi chiarimenti forniti in passato dall'Amministrazione finanziaria (cfr. la risposta ad interpello dell'Agenzia delle Entrate n. 438 del 2019).

Pertanto, secondo l'orientamento erariale, il cedente o prestatore dell'operazione può emettere la nota di variazione in diminuzione:

  • per il fallimento, in presenza di piano di riparto, in seguito alla pubblicazione del decreto con il quale il giudice delegato stabilisce tale piano (risoluzione n. 120/E/2009) o, più prudentemente, decorso il termine per le osservazioni al piano di riparto (circolare n. 77/E/2000);
  • per il fallimento, in assenza del piano di riparto, alla scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura (risoluzione n. 155/E/2001 e risoluzione n. 2008/E/195).

Tali considerazioni, però, non risultano conformi ai principi comunitari, come, tra l'altro già affermato da parte della dottrina (così la Norma di comportamento AIDC febbraio 2015 n. 192, la quale ha suggerito che la nota di variazione potrebbe essere emessa dal fornitore già alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, in analogia con il momento in cui viene rilevata la perdita su crediti ai fini delle imposte dirette).

Pertanto, il legislatore italiano dovrà adeguarsi a tale sentenza e, magari, riconsiderare quelle norme previste dalla Legge di stabilità 2016, che non sono mai entrate in vigore.

In merito si ricorda che tale provvedimento, con i commi 126 e 127 e con efficacia dal primo gennaio 2017, aveva riscritto integralmente il testo dell'art. 26 del d.P.R. 633/1972 innovando profondamente la procedura inerente la “variazione IVA” da operare in caso di mancato pagamento da parte del cessionario/committente assoggettato ad una procedura concorsuale.

In particolare, era stata introdotta la possibilità, per il cedente/prestatore, di emettere la nota d'accredito IVA, oltre il periodo dell'anno, a partire dalla data in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato ad una procedura concorsuale. In questo modo, il cedente non era più costretto ad attendere l'accertamento dell'infruttuosità della relativa procedura per recuperare l'intero importo dell'IVA.

Tale modifica normativa, però, è stata abrogata dall'art. 1, comma 567, lett. d), della legge 232/2016, a decorrere dal 1° gennaio 2017 e, pertanto, non è mai entrata in vigore.

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