L'imperfetta autonomia del condominio parziale

03 Settembre 2020

Gli edifici in condominio sono caratterizzati dalla compresenza di porzioni immobiliari di proprietà esclusiva e di porzioni immobiliari di proprietà comune. Laddove la “destinazione oggettiva” del bene/impianto non sia funzionalizzata a fornire utilità a tutte le unità immobiliari ma solo ad alcune di esse sussiste, ex lege, il c.d. condominio parziale. La parzialità, tuttavia, afferisce ad un mero rapporto interno senza che ciò possa spiegare effetti all'esterno e, quindi, verso i terzi (in sede processuale), e non determina la nascita di un sub condominio.
Inquadramento

Il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all'art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell'art. 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo” (v. Cass.civ., sez.II, 29 gennaio 2015, n.1680; Cass. civ., sez.II, 6 settembre 2019, n.22339; Cass. civ., sez.I, 16 gennaio 2018, n.884; in precedenza, Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993, n. 7449).

La “condominialità” si reputa sussistente anche in un insieme di edifici “indipendenti”, ove manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici ... si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, sempre che “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell'art. 1117 c.c.” (argomentando anche dall'art. 1117-bis c.c., introdotto dalla l. n. 220/2012).

Tuttavia, può accadere che la c.d. destinazione oggettiva del bene/impianto non sia funzionalizzata a fornire utilità a tutte le unità immobiliari, ma solo ad alcune di esse. In tal caso, sussiste ex lege il c.d. condominio parziale”, fenomeno per cui il condominio, pur manifestandosi nella sua completezza di effetti previsti dal codice, non va riferito a tutte le porzioni di piano facenti parte del fabbricato, ma solo ad una loro parte (v., ultime tra molte, Cass. civ., sez.II, 29 gennaio 2015, n. 1680; Cass.civ., sez.II, 30 luglio 2004, n.14558), venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass.civ., sez.II, 16 maggio 2019, n.13229, e Cass.civ., sez. II, 24 ottobre 2010, n.23851).

L'“imperfetta” autonomia del condominio parziale

La Suprema Corte ha precisato che il c.d. condominio parziale non possiede una propria autonomia perfetta, distinta e separata da quella relativa al condominio avente ad oggetto l'intero fabbricato, ma costituisce null'altro che una situazione configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, in ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni condomini (v. Cass. civ., sez.II, 29 gennaio 2015, n. 1680; Cass.civ., sez.II, 2 marzo 2016, n. 4127), con la conseguenza da escluderne l'autonoma legittimazione in giudizio (Cass. civ., sez.II, 17 febbraio 2012, n.23632, e Cass. civ.,sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4436).

Rimane isolata, infatti, la posizione di alcuni che ritengono “… ammissibile che il condominio parziale agisca autonomamente rispetto al condominio integrale - correttamente spendendo il nome del più ristretto gruppo - sia nei rapporti sostanziali sia nei rapporti processuali, esperendo sin dal primo grado le azioni a tutela dei beni in situazione di contitolarità limitata” (Petrolati, in IlProcessoCivile.it, nota a Cass. n. 4436/2017 cit.).

La conferma della tesi prevalente è data dal tenore testuale dell'art.1123, comma 2, c.c., che non menziona il condominio parziale distinguendolo dal condominio nel suo complesso, e quindi, non lo individua come un ente autonomo, ma se ne occupa solo per individuare il criterio di ripartizione delle spese poste a carico del solo gruppo di condomini che ne trae utilità. A dimostrazione che la fattispecie in esame rappresenta solo una “proiezione amministrativa giuridico-gestionale”.

Solo l'amministratore dell'intero condominio è, quindi, legittimato passivo riguardo alle controversie afferenti a beni e/o impianti appartenenti (per legge, titolo e/o destinazione), anche ad alcuni solamente dei proprietari in “condominio parziale”, come unico rappresentante processuale, salva la restrizione degli effetti della sentenza, nell'ambito dei rapporti interni, ai soli condòmini interessati (Trib. Milano n. 1388/2012, e Cass.civ., sez.II, 21 gennaio 2000, n. 651).

Al contrario, il condominio parziale è privo di legittimazione attiva ad impugnare un provvedimento giudiziale negativo che ha riguardato l'intero condomino (Cass.civ., sez.II, 17 febbraio 2012, n. 2363).

Ciò a dimostrazione che la parzialità afferisce ad un mero rapporto interno senza che ciò possa spiegare effetti all'esterno e, quindi, verso i terzi (in sede processuale), e non determina la nascita di un sub condominio a causa della carente autonomia strutturale rispetto alla restante parte del fabbricato per l'impossibilità di separare parti essenziali dell'edificio come le fondazioni, le facciate o il suolo su cui sorge. Infatti, può essere disposto lo scioglimento del condominio, ai sensi degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., solo quando l'immobile sia divisibile in parti strutturalmente autonome, ciò che è escluso dall'esistenza di interferenze materiali involgenti elementi strutturali essenziali, quali fondazioni, facciata e perimetro (v., questo senso, Cass. civ., sez.II, 14 ottobre 2014, n.21686, e Cass. civ., sez.II, 19 dicembre 2011, n. 27507).

L'impossibilità di configurare un subcondominio spiega anche come non sia possibile l'attribuzione di un separato codice fiscale del condominio parziale (esempio, locali box). Nella partica, spesso risulta il contrario ma solo perchè l'Agenzia delle Entrate procede all'assegnazione su richiesta non essendo tenuta ad eseguire alcuna attività di verifica preliminare.

La gestione del condominio parziale

Alla menzionata parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all'imputazione delle spese. Infatti, relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. La figura in esame risponde, infatti, alla ratio di semplificare i rapporti gestori interni alla collettività condominiale, sicché il quorum, costitutivo e deliberativo, dell'assemblea nel cui ordine del giorno risultino capi afferenti la comunione di determinati beni o servizi limitati solo ad alcuni condomini, va calcolato con esclusivo riferimento a costoro ed alle unità immobiliari direttamente interessate (Cass. civ., sez.II, 2 marzo 2016, n.4127).

Tale interpretazione sembra aver ricevuto un esplicito riconoscimento dalla “riforma del condominio” (l. n. 220/2012). secondo cui “l'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati” (nuovo testo del penultimo comma dell'art. 1136 c.c. rispetto al precedente che parlava di “tutti i condomini”).

A carico dei medesimi condomini, privi di contitolarità con riguardo a un dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese (Trib. Trieste n. 177/2010 e Cass.civ., sez.II, 16 maggio 2019, n.13229, cit.). Tuttavia, alle delibere che ineriscono beni comuni anche al c.d. condominio parziale dovranno essere convocati tutti i condomini di quest'ultimo non già il solo amministratore del condominio parziale (ove esistente), pena l'annullabilità della delibera. Inoltre, l'amministratore del condominio parziale non può esprimere un voto unico, per i condomini di quel condominio, all'assemblea del condominio principale. Difatti, in tale situazione, il voto dell'amministratore su una materia generale che interessa anche i condomini di quel condominio parziale, rende annullabile la delibera resa dal condominio principale (Trib. Roma, 22 gennaio 2019, n. 1446).

Nel caso di “condominio parziale” anche la responsabilità derivante dalla custodia di un bene/impianto comune (v. art. 2051c.c.) oppure anche dalla loro carente manutenzione va ascritta solo alla parte di condomini che sono comproprietari, e non a tutti (Trib. Roma n. 14530/2009, e Cass.civ., sez.II, 12 febbraio 2001, n. 1959).

Derogabilità del criterio di ripartizione delle spese

L'assemblea, in virtù della propria autonomia negoziale, può derogare al criterio di ripartizione delle spese fissato dall'art. 1123 c.c., con delibera assunta all'unanimità dei partecipanti alla comunione ovvero con regolamento condominiale contrattuale predisposto dall'originario unico proprietario o dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto o, ancora, con regolamento di origine assembleare approvato da tutti i condòmini; viceversa è nulla per impossibilità dell'oggetto la delibera condominiale che, assunta in assenza di unanimità, modifichi gli esistenti criteri legali o convenzionali di riparto delle spese necessarie gravanti sul singolo per la prestazione dei servizi comuni (Cass. civ., sez. VI, 13 novembre 2018, n.29220).

Ciò posto, risulta legittima la delibera assembleare che, in presenza di un regolamento di condominio che stabilisca la ripartizione tra tutti i condòmini, in relazione ai rispettivi millesimi di proprietà, delle spese necessarie al godimento e alla conservazione delle scale, dei cortili, dei lastrici solari e, in generale, di tutti quei beni comuni destinati a servire solo un gruppo di condòmini, abbia provveduto alla suddetta ripartizione tra tutti i partecipanti al condominio, a prescindere dall'effettivo utilizzo (Trib. Pavia 12 gennaio 2018).

Condominio parziale e supercondominio

L'art. 67, comma 3, disp. att. c.c., introdotto dalla riforma del condominio entrata in vigore nel 2013, dispone che “nei casi di cui all'articolo 1117-bisc.c., quando i partecipanti sono complessivamente più di sessanta” ciascun condominio deve nominare il proprio rappresentante all'assemblea per la gestione delle parti comuni a più condominii e per nominare l'amministratore.

Il presupposto numerico cui è legata l'applicabilità della disposizione in esame è quello del numero (+di 60) di condomini, intesi come proprietari esclusivi di un'unità compresa nel complesso immobiliare, in conseguenza di acquisto per atto tra vivi, o di divisione o anche di successione mortis causa.

Alcuni studiosi hanno interpretato il comma 3 dell'art. 67 disp. att. c.c. citato nel senso che l'obbligo di nomina del rappresentante sussiste solo quando si sia in presenza di una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, ma compresi in un più ampio contesto connotato dall'esistenza di cose, impianti o servizi comuni (il viale di accesso, le zone verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola, il servizio di portierato, eccetera).

La lettera della norma sembrerebbe invece affermare l'obbligo della nomina del rappresentante per la gestione delle parti comuni non appena i partecipanti siano più di sessanta, “nei casi di cui all'art. 1117-bisc.c.”, che non presuppone necessariamente che vi siano più edifici, costituiti o meno in distinti condomìni, ma comprende “tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condomini di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.”.

In conclusione

Pertanto, anche in caso di unico edificio composto di più unità immobiliari aventi parti comuni, quando i condomini siano in totale più di sessanta, la gestione ordinaria delle parti comuni del pur unico edificio viene affidata all'assemblea dei rappresentanti.

Ciascun gruppo di unità immobiliari chiamato ad esprimere un proprio rappresentante non deve necessariamente rivelare una tipologia costruttiva tale da dar luogo ad un edificio “indipendente” ed “autonomo”, tale da consentirne lo scioglimento ai sensi degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. Per aversi un “condominio”, sempre in base al nuovo art. 1117-bisc.c., basta che ci siano almeno due unità immobiliari, di diversa proprietà esclusiva, che abbiano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 citato

In definitiva, la situazione di fatto che impone l'operatività del citato art. 67 disp. att. c.c. è che vi siano almeno sessantuno unità immobiliari, che abbiano alcune parti comuni a tutte (ad esempio, il cortile, il portone di ingresso, l'androne) ed altre parti (scale, terrazze, impianti) destinate a servire unicamente una frazione di esse (condominio parziale). In questi contesti, opera l'assemblea dei soli rappresentanti per la gestione ordinaria delle parti comuni (indipendentemente dal numero degli edifici autonomi) alle oltre sessanta unità immobiliari, in maniera da semplificare il procedimento di convocazione e di votazione del collegio. Le parti del più ampio complesso che siano, invece, per loro struttura e destinazione, comuni soltanto ad un numero più limitato di condòmini, saranno gestite secondo le ordinarie regole degli artt. 1135 e 1136 c.c.

Guida all'approfondimento

Chiesi, Condominio parziale: questo (semi)sconosciuto…, in Immob. & proprietà, 2016, 627

Terzago, Il condominio. Trattato teorico pratico, aggiornamento a cura di Celeste, Salciarini e Terzago, Milano, 2015, 24

Salis, Le comunioni parziali nel condominio edilizio, in Riv. giur. edil., 1963, I, 908

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