Inapplicabile il comma 5 dell’art. 47 L. n. 428/90 al trasferimento d'azienda di impresa in stato di crisi con continuità aziendale

Alessandro Corrado
04 Settembre 2020

In caso di trasferimento di imprese di cui sia stato accertato lo stato di crisi aziendale ai sensi dell'art. 2, comma 5, lett. c), legge n. 675/1977 o per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria con continuazione o mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale concluso ai sensi dell'art. 47, comma 4 bis, l. n. 428/1990 può solo prevedere modifiche delle condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento di tutti i rapporti di lavoro al cessionario.
Massima

In caso di trasferimento di imprese di cui sia stato accertato lo stato di crisi aziendale ai sensi dell'art. 2, comma 5, lett. c), legge n. 675/1977 o per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria con continuazione o mancata cessazione dell'attività, l'accordo sindacale concluso ai sensi dell'art. 47, comma 4 bis, l. n. 428/1990 può solo prevedere modifiche delle condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento di tutti i rapporti di lavoro al cessionario.

L'azione diretta a far accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con il cessionario non è soggetta al termine di decadenza di cui all'art. 32, comma 4, lett. c), legge n. 183/2010, riguardante i soli provvedimenti datoriali che il lavoratore intenda impugnare.

Il caso

Nell'ambito del trasferimento d'azienda da Compagnia Aerea Italiana S.p.A. (C.A.I.) alla cessionaria Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A., una lavoratrice – esclusa dal passaggio e licenziata dalla cedente ai sensi dell'art. 4, comma 9, legge n. 223/1991 – era stata reintegrata nel posto di lavoro in C.A.I. dal Tribunale di Roma che aveva disposto a suo favore anche un'indennità risarcitoria di dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.

Contro tale decisione avevano proposto reclamo sia la società cedente (che rivendicava la legittimità del recesso ritenendo di aver applicato in modo corretto i criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali), sia la lavoratrice (che insisteva per la reintegrazione presso la società cessionaria sulla base dell'art. 2112 c.c.).

La Corte d'Appello di Roma aveva confermato il rigetto delle domande della dipendente assumendo non solo che la mancata impugnazione dell'esclusione del passaggio da C.A.I. ad Alitalia nel termine di sessanta giorni ai sensi dell'art. 32, comma 4, lett. c), legge n. 183/2010 aveva determinato la decadenza circa la legittimità o meno dell'esclusione stessa, ma che in ogni caso il preteso trasferimento non avrebbe potuto trovare accoglimento in considerazione del fatto che con l'Accordo sindacale del 24 ottobre 2014 stipulato ai sensi dell'art. 47, comma 4-bis legge n. 428/1990 le parti intesero escludere dalla cessione un certo numero di rapporto di lavoro tra i quali proprio il suo.

Secondo i Giudici di secondo grado, infatti, l'esclusione trovava fondamento proprio nella formulazione del comma 4-bis (“qualora venga raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, l'art. 2112 c.c. trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo”): lo stato di crisi aziendale della cedente era stato riconosciuto dai decreti del Ministero del Lavoro ed era emerso dagli accordi stipulati con le organizzazioni sindacali. Pertanto l'interpretazione del comma 4-bis (riformulato in ottemperanza alla sentenza della CGUE 11 giugno 2009), secondo cui alle parti sociali spetterebbe il potere di limitare il trasferimento solo ad alcune posizioni lavorative, era coerente con la direttiva comunitaria 2001/23/CE: difatti, in definitiva, la ratio della disciplina risiede nella necessità di garantire che tentativi di superamento della crisi non siano vanificati dalla necessità di mantenere inalterati livelli occupazionali divenuti esorbitanti rispetto alle esigenze dell'impresa.

Contro la decisione dei Giudici di appello presentavano ricorso sia la società sia la lavoratrice.

Quest'ultima, in particolare, censurava l'interpretazione restrittiva dell'art. 32, comma 4, lett. c), legge n. 183/2010 secondo cui sarebbe incorsa nella decadenza per non aver impugnato l'esclusione dal passaggio al cessionario, mentre invece – proprio sulla base di un precedente della Cassazione (sentenza 7 novembre 2019, n. 28750) – se il lavoratore reclama il diritto a essere ricompreso nel perimetro del segmento aziendale ceduto e, quindi, la prosecuzione del rapporto di lavoro con il soggetto cessionario nell'ambito di un trasferimento di ramo d'azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., i termini decadenziali non trovano applicazione.

Proprio per via del fatto che l'azione giudiziale della lavoratrice è diretta a far accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con il cessionario piuttosto che ad impugnare un trasferimento del rapporto di lavoro, la Cassazione ha confermato il proprio orientamento.

Quanto al motivo di impugnazione riguardante il mancato trasferimento del rapporto della lavoratrice nell'ambito della cessione del compendio aziendale di C.A.I. in favore di Alitalia e la corretta interpretazione dell'art. 47, comma 4-bis legge n. 428/1900, la sentenza in commento dapprima prende in esame il testo della Direttiva 2001/23/CE mettendo in evidenza le condizioni stabilite dall'art. 5, necessarie per poter derogare alle norme protettive a tutela dei lavoratori.

Quindi, analizzando e mettendo a confronto i testi dei commi 4 bis e 5 dell'art. 47, legge n. 428/1990, giunge a ritenere irrilevante la valenza semantica dell'inciso “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione” contenuto in entrambi: secondo la Cassazione, difatti, “non ha senso estrapolare l'inciso “anche parziale” per accreditare l'ipotesi che l'accordo sindacale possa disporre, in senso limitativo, dei trasferimenti dei lavoratori dell'impresa cedente, ove si tratti di azienda rientrante nell'ipotesi di cui al comma 4-bis” (…). Assume invece “centralità dirimente l'espressione” (contenuta nel medesimo comma) “secondo cui trova applicazione l'art. 2112 c.c., diametralmente opposta a quella contenuta nel comma 5, secondo cui “non trova applicazione” l'art. 2112 c.c.”.

Le questioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte – riformando una decisione della Corte d'Appello di Roma – ha stabilito l'inapplicabilità del regime derogatorio dell'art. 2112 c.c. ai trasferimenti d'azienda di imprese in stato di crisi aziendale ex art. 2, comma 5, lett. c), legge n. 675/1977 o assoggettate ad amministrazione straordinaria con continuità aziendale: in tali casi, gli accordi sindacali non possono limitare il passaggio dei rapporti di lavoro preesistenti alla cessione.

La pronuncia ha inoltre affermato che il termine decadenziale di sessanta giorni previsto dall'art. 32, comma 4, lett. c), legge n. 183/2010 non trova applicazione all'ipotesi in cui il rapporto di lavoro sia stato escluso dalla vicenda circolatoria.

Per esaustività, chiarezza espositiva e rigore interpretativo, la sentenza sembra destinata a mettere la parola fine al dibattito che ha animato dottrina e giurisprudenza all'indomani della modifica dell'impianto normativo del comma 5 dell'art. 47, legge n. 428/1990 reso necessario dalla condanna della Corte di Giustizia intervenuta con la sentenza 11 giugno 2009, C-561/07 per la non conformità del testo alla Direttiva n. 23/2001/CE.

Com'è noto, la regola secondo cui, grazie all'art. 2112 c.c., i rapporti di lavoro sono sostanzialmente insensibili al trasferimento d'azienda va incontro – nei casi di imprese in crisi o insolventi – a eccezioni dettate dalla necessità di garantire la sopravvivenza dell'azienda stessa, giustificando il parziale sacrificio dei singoli lavoratori.

Ripercorrendo brevemente le tappe della vicenda, possiamo dire che con l'art. 19 quater, d.l. n. 135/2009 (convertito, con modifiche, in legge n. 166/2009) l'Italia si era adeguata alle norme comunitarie e alla loro interpretazione da parte dei Giudici di Lussemburgo, modificando l'art. 47, legge n. 428/1990: mentre il comma 5 continuava a riguardare le ipotesi in cui la deroga all'art. 2112 c.c. era consentita (insolvenza, liquidazione e cessazione dell'attività), veniva aggiunto il comma 4 bis secondo cui: “nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, l'articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell'articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675; b) per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività”, integrato poi dall'art. 46 bis, comma 2, d.l. 22/06/2012, n. 83 al fine di includere tra le situazioni di risanamento della situazione economica e finanziaria dell'impresa anche le ipotesi di per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo (comma 4 bis, lett. b-bis) e l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti (comma 4 bis, lett. b-ter).

Tuttavia, anche la nuova formulazione del comma 4 bis, con il suo riferimento al raggiungimento di un “accordo” che possa prevedere “il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione” per le situazioni di crisi aziendali in cui l'attività continui in vista del risanamento, è apparsa in contrasto con la Direttiva: questa infatti, in tali casi, dispone testualmente che l'esito del confronto che avviene durante l'esame congiunto possa semmai prevedere modifiche delle condizioni di lavoro “intese a salvaguardare le opportunità occupazionali”.

Osservazioni

L'interpretazione operata dalla Cassazione valorizzando le differenze testuali dei commi 4 bis e 5 dell'art. 47, legge n. 428/1990 suggella in modo definitivo l'approdo già raggiunto dalla giurisprudenza di merito che, nell'ambito della procedura di concordato preventivo in continuità indiretta (con l'affitto dell'azienda ad impresa in bonis), ha chiaramente negato la possibilità di licenziare i dipendenti esclusi dalla vicenda circolatoria il cui fine non sia la liquidazione dei beni del cedente (cfr. in tal senso: Trib. Padova 27/03/2014 e Trib. Alessandria 18/12/2015, nonché Trib. Milano 25/07/2017).

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