La cancellazione della società dal registro delle imprese determina l'interruzione del processo soltanto se il difensore lo dichiara in giudizio
07 Settembre 2020
La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell'evento alle altre parti. Così stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 18250 pubblicata il 2 settembre 2020.
Il caso: appello di sentenza di primo grado, dichiarato inammissibile a seguito dell'intervenuta cancellazione della società appellata dal registro delle imprese, nelle more del giudizio di primo grado. Un lavoratore agiva in giudizio nei confronti della società (s.a.s.) sua datrice di lavoro, al fine di ottenere il pagamento di T.F.R. e differenze retributive. Il Tribunale adito rigettava la domanda. Proponeva allora appello, ma la Corte d'Appello lo dichiarava inammissibile, poiché nelle more del giudizio di primo grado la società convenuta era stata cancellata dal registro delle imprese e di conseguenza l'appello avrebbe dovuto essere proposto nei confronti degli ex soci della s.a.s. o comunque dei soggetti responsabili per i debiti gravanti sulla società estinta. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.
Gli effetti della cancellazione della società. Il ricorrente censura la sentenza resa dalla Corte territoriale, poiché sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di giusto processo e di diritto di difesa. La decisione dei giudici d'appello graverebbe la parte dell'onere di procedere ad una «permanente consultazione del registro delle imprese, al fine di consentirle la semplice gestione del processo».
La dichiarazione in giudizio dell'evento interruttivo. Richiamando e facendo propri i principi dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6070/2013, la Corte d'Appello decideva il gravame proposto dal lavoratore ricorrente, dichiarandolo inammissibile, poiché non spiegato nei confronti dei soci personalmente. Ma gli Ermellini non condividono la tesi del Collegio di merito, affermando che occorre andare oltre i principi dettati dalle citate massime n. 4060/2010 e n. 6070/2013, al fine di garantire la stabilità del processo. Proprio per assicurare tale finalità stabilizzante, la Suprema Corte, dopo le decisioni prima citate, ebbe a pronunciarsi nuovamente sul tema, richiamandosi alla teoria dell'ultrattività del mandato alla lite ed al principio secondo cui in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione.
Fonte: Diritto e Giustizia |