La cancellazione della società dal registro delle imprese determina l'interruzione del processo soltanto se il difensore lo dichiara in giudizio

Roberto Dulio
07 Settembre 2020

La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell'evento alle altre parti.

La cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell'evento alle altre parti.

Così stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 18250 pubblicata il 2 settembre 2020.

Il caso: appello di sentenza di primo grado, dichiarato inammissibile a seguito dell'intervenuta cancellazione della società appellata dal registro delle imprese, nelle more del giudizio di primo grado. Un lavoratore agiva in giudizio nei confronti della società (s.a.s.) sua datrice di lavoro, al fine di ottenere il pagamento di T.F.R. e differenze retributive. Il Tribunale adito rigettava la domanda. Proponeva allora appello, ma la Corte d'Appello lo dichiarava inammissibile, poiché nelle more del giudizio di primo grado la società convenuta era stata cancellata dal registro delle imprese e di conseguenza l'appello avrebbe dovuto essere proposto nei confronti degli ex soci della s.a.s. o comunque dei soggetti responsabili per i debiti gravanti sulla società estinta. Il lavoratore ricorreva in Cassazione.

Gli effetti della cancellazione della società. Il ricorrente censura la sentenza resa dalla Corte territoriale, poiché sarebbe in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di giusto processo e di diritto di difesa. La decisione dei giudici d'appello graverebbe la parte dell'onere di procedere ad una «permanente consultazione del registro delle imprese, al fine di consentirle la semplice gestione del processo».
Il Supremo Collegio ripercorre l'evoluzione giurisprudenziale in tema di estinzione delle società a seguito della cancellazione dal registro delle imprese. Vengono richiamate le pronunce delle Sezioni Unite n. 4060/2010 e n. 6070/2013.
Con la prima decisione si era affermato che in virtù del novellato art. 2495, comma 2, c.c., nel testo introdotto dall'art. 4 d.lgs. n. 6/2003, la cancellazione della società dal registro delle imprese ne produce l'estinzione, indipendentemente dall'esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti; la norma non costituisce interpretazione della disciplina previgente, ma è innovativa e ultrattiva, sicché trova applicazione anche alle cancellazioni iscritte prima dell'1 gennaio 2004, data di entrata in vigore della disciplina, ma l'effetto estintivo si produce non già dalla iscrizione ma soltanto dal momento dell'entrata in vigore della nuova disciplina (Cass., SS.UU., n. 4060/2010).
Con la seconda decisione citata, la Corte di legittimità aveva affermato che la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l'estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l'estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli art. 299 e ss. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l'evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l'impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d'inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta (Cass., SS.UU., n. 6070/2013). Detti principi sono applicabili sia alle società di capitale che a quelle di persone.

La dichiarazione in giudizio dell'evento interruttivo. Richiamando e facendo propri i principi dettati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6070/2013, la Corte d'Appello decideva il gravame proposto dal lavoratore ricorrente, dichiarandolo inammissibile, poiché non spiegato nei confronti dei soci personalmente. Ma gli Ermellini non condividono la tesi del Collegio di merito, affermando che occorre andare oltre i principi dettati dalle citate massime n. 4060/2010 e n. 6070/2013, al fine di garantire la stabilità del processo. Proprio per assicurare tale finalità stabilizzante, la Suprema Corte, dopo le decisioni prima citate, ebbe a pronunciarsi nuovamente sul tema, richiamandosi alla teoria dell'ultrattività del mandato alla lite ed al principio secondo cui in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l'omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest'ultimo comporta che il difensore continui a rappresentare la parte come se l'evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell'impugnazione.
Tale principio giurisprudenziale trova applicazione anche in ambito societario, posto che la cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese, costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all'art. 300 c.p.c., comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l'evento interruttivo non si fosse verificato, con conseguente ammissibilità della notificazione dell'impugnazione presso di lui, ex art. 330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza “aliunde” dell'avvenuta cancellazione da parte del notificante.
In conclusione, secondo il Supremo Collegio la Corte territoriale, nella sentenza impugnata, si è limitata a far proprio il principio di cui alla sentenza n. 6070/2013, senza recepire gli ulteriori arresti dettati dalla Corte di Cassazione. Errando di conseguenza nel dichiarare inammissibile l'appello proposto dal lavoratore.
Il ricorso è stato così accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d'appello, per la decisione conforme al principio di diritto sopra enunciato.

Fonte: Diritto e Giustizia

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