Tre immobili di cui due in comunione pro indiviso: abbiamo un condominio minimo

07 Settembre 2020

Ove i partecipanti ad un condominio siano uno proprietario esclusivo ed altri comproprietari pro indiviso delle altre unità immobiliari, dal momento che i detti comproprietari, con riferimento all'elemento personale di cui all'art. 1136 c.c., sebbene abbiano designato distinti rappresentanti, esprimono un unico voto, deve ravvisarsi un condominio minimo, al quale si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale, con esclusione del principio della maggioranza, ed il conseguente ricorso all'autorità giudiziaria nel caso in cui non si raggiunga l'unanimità, giusta il disposto degli artt. 1105 e 1139 c.c..

Tale in sintesi il principio di diritto enunciato nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 15705 depositata il 23 luglio 2020, che ora andiamo ad analizzare più da vicino.

La questione controversa. Abbiamo tre unità immobiliari: di esse, una appartiene ad una sola persona, le altre appartengono entrambe in comproprietà pro indiviso ad altre due. I comproprietari pro indiviso quanti voti possono esprimere? Alle decisioni da assumere per la gestione della cosa comune: si applicano le norme del condominio sulla maggioranza?

Ad avviso del Tribunale, la cui decisione è confermata in grado di appello, al caso vanno applicate le norme sulla comunione e non quelle condominiali sulla maggioranza, dal momento che si tratta di un condominio minimo, cioè con un numero di condomini inferiore a tre; e senza che la norma contenuta nell'art. 67, comma 2, disp. att. e trans. – secondo cui i comproprietari hanno diritto ad un rappresentante in assemblea - possa portare ad una diversa conclusione: ciò, in quanto non muta il numero degli aventi diritto al voto, che restano due.
In Cassazione, con il primo motivo di ricorso i comproprietari pro indiviso contestano la violazione dell'art. 67 disp. att. c.c. e dell'art. 1 Protocollo addizionale della Dichiarazione dei Diritti Umani, affermando che entrambi i rappresentanti delle unità poste in comunione hanno diritto al voto.
Mentre, con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 67 disp. att. vigente all'epoca dei fatti e dell'art. 14 disp. prel. c.c., negandosi la presenza di un condominio minimo per la presenza di tre unità appartenenti, l'una ad un proprietario individuale e le altre due ai comproprietari pro indiviso.
Il procedimento si tiene in camera di consiglio in quanto il relatore ritiene il ricorso palesemente infondato , ai sensi degli artt. 375 comma 1 n.5 c.p.c. e 380-bis c.p.c.

La validità di un negozio, salva che la retroattività espressamene prevista per le nuove norme, è regolata da quelle vigenti al momento in cui è concluso. In primis, la Corte rileva che la versione dell'art. 67 cit. applicabile alla vicenda è quella vigente all'epoca in cui la delibera condominiale contestata è stata assunta, e cioè l'anno 2011, precedente alla riforma del condominio, contenuta nella l. n. 220/2012 ed entrata in vigore nel 2013; e ciò in quanto la validità di un negozio, salva espressa disposizione che sancisca la retroattività delle nuove norme, va valutata alla luce delle norme vigenti all'epoca della sua conclusione.

Nella specie va quindi applicata la precedente versione dell'art. 67, comma 2, disp. att. c.c., che così stabiliva: “Qualora un piano o porzione di piano dell'edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nella assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente.”

Se alla comunione partecipano per una quota più proprietari pro indiviso, devono nominare un rappresentante. Secondo la giurisprudenza, la disposizione contenuta nell'art. 67 comma 2 cit., pur se riferita al condominio, esprime un principio generale, secondo cui se ad una comunione partecipano per una quota più proprietari pro indiviso, questi devono nominare un rappresentante che esprima un solo voto ed una volontà unica; la sentenza richiama il precedente di cui alla sentenza n. 3243 del 1976. La decisione menziona anche il principio correlato per cui eventuali contrasti che sorgono tra i comproprietari sull'assemblea condominiale vanno risolo nell'ambito del gruppo (la Corte richiama qui le sentenze n. 590 del 1980 e n. 244 del 1974).

Autonoma rilevanza in assemblea condominiale del voto personale rispetto al valore. Ulteriore principio, già affermato dalla Corte nel 1988 (sentenza n. 6671 menzionata dal provvedimento) prevede che l'art. 1136 c.c. contenente la disciplina (inderogabile ai sensi dell'art. 1138 comma 4 c.c.) sulla composizione ed il funzionamento dell'assemblea in condominio, nel fare riferimento, per l'approvazione delle delibere, sia al numero di partecipanti al condominio che al valore dell'edificio, rappresentato dalle rispettive quote (analogamente al conteggio di astenuti e assenti), comporta che ogni condomino intervenuto possa esprimere un solo voto, qualunque sia la quota rappresentata, e quindi indipendente dal fatto che questa sia data da una o più unità immobiliari e ciò per l'autonoma rilevanza del voto personale rispetto al valore di proprietà rappresentato.

Ai fini delle maggioranze numeriche, i comproprietari di più unità immobiliari “contano per uno”, esprimono un solo voto.
Ne consegue che se i comproprietari hanno più immobili, il loro voto varrà sempre uno e non quanti sono gli immobili e i rappresentanti: il diritto di intervento previsto all'art. 67 comma 2 non altera, dunque, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, il numero dei partecipanti al condominio con riguardo all'elemento personale di cui all'art. 1136 c.c.. Dunque, ai fini delle maggioranze numeriche, i comproprietari di più unità immobiliari “contano per uno”, esprimono un solo voto.

Comunione su più immobili in condominio e voto unico: non osta la CEDU. Il discorso per la Corte non contrasta con quanto stabilito dalla CEDU (Dichiarazione dei diritti umani), la quale all'art. 1 del protocollo addizionale

E ciò in quanto tale disposizione tutela il diritto di ogni individuo al rispetto dei propri beni, stabilendo le condizioni perché la privazione della proprietà avvenga in maniera legittima e dunque prestando protezione contro le violazioni fondate su decisioni discrezionali dell'autorità; quindi la disposizione non può essere richiamata con riferimento a norme di carattere generale allocanti diritti tra privati (la Corte richiama qui la sentenza CEDU 12 dicembre 1983, Bramelid e Malmström c. Svezia, ricc. 8588/79 e 8589/79).

Più immobili e due proprietà (di cui una è comunione pro indiviso): condominio minimo. Conseguentemente, nel caso di specie, dove abbiamo tre immobili e due proprietà, l'una data da un unico proprietario, l'altra da due comproprietari pro indiviso, abbiamo un condominio minimo, formato cioè da due partecipanti con diritti di proprietà paritari sui beni comuni.

Ne consegue che alla fattispecie si applicano le norme sul condominio in tema di organizzazione e specialmente quelle procedimentali sul funzionamento dell'assemblea, pur non valendo il principio di rappresentanza. Infatti, se la decisione non viene assunta all'unanimità – o per assenza di accordo sulla decisione o per assenza di uno dei due che sia regolarmente convocato - bisogna rivolgersi all'autorità giudiziaria, in applicazione di quanto disposto in tema di comunione dall'art. 1105 c.c., per il richiamo della norma di chiusura di cui all'art. 1139 c.c. (così è stato affermato dalle sentenze Cass. civ. sez. un., n. 2046/2006 e Cass. civ., sez. un., n. 16075/2007, richiamate dal provvedimento in commento).

Il principio della pubblicità dell'udienza ha valore costituzionale, ma non è assoluto. Per i giudici non esistono i presupposti per il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia, limitandosi i ricorrenti ad affermare l'incompatibilità con il diritto dell'Unione delle conseguenze applicative dell'interpretazione delle norme interne; aspetto che spetta valutare al giudice nazionale, perché non comporta un'interpretazione generale ed astratta della normativa interna.

I giudici infine, per quanto qui rileva, in merito alle richiami dei ricorrenti sullo svolgimento del procedimento in camera di consiglio, osserva che il relativo di principio, affermato oltre che dalla CEDU, anche dal Trattato UE - ha valore costituzionale, esso non ha però carattere assoluto: può infatti essere derogato, tra l'altro, quando il giudice può adeguatamente risolvere la questione sulla base degli atti del fascicolo e alle osservazioni delle parti, il che avviene appunto nei casi previsti dall'art. 375, comma 1, n. 5 c.p.c. (manifesta fondatezza o infondatezza); con la notifica alle parti del decreto e la possibilità per loro di presentare memorie si garantisce il contraddittorio e al contempo la celerità del procedimento.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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