Impugnazioni delle deliberazioni del consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti

Gianluca De Cristofaro Sciarrotta
08 Settembre 2020

Il d.lgs. n. 150/2011 (di modifica dei procedimenti civili di cognizione) interviene sul rito da seguire per l'impugnazione delle deliberazioni rese dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, in materia sia disciplinare che elettorale, la cui regolamentazione è contenuta nella Legge quadro n. 69/1963 (c.d. legge professionale), istitutiva dell'ordinamento della professione di giornalista.
Inquadramento

Il d.lgs. n. 150/2011 (di modifica dei procedimenti civili di cognizione) interviene sul rito da seguire per l'impugnazione delle deliberazioni rese dal Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, in materia sia disciplinare che elettorale, la cui regolamentazione è contenuta nella Legge quadro n. 69/1963 (c.d. legge professionale), istitutiva dell'ordinamento della professione di giornalista.

Nello specifico, sul presupposto che l'impugnazione di tale tipologia di deliberazione risultava regolato, in forza dell'art. 64 della legge professionale, dalle forme del procedimento in camera di consiglio di cui agli art. 737 ss. c.p.c., tale tipologia di procedimento è stata ricondotta a quello sommario di cognizione (come ora previsto dall'art. 27 del d.lgs. n. 150/2011) in virtù dei caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa.

Va, infine, evidenziato che la normativa di riferimento della legge professionale deve essere integrata dalle disposizioni racchiuse nel capo III, titolo III (artt. 59-66), del d.P.R. n. 115/1965 (e successive modificazioni), recante il regolamento di esecuzione, che ha disciplinato un unico modello procedimentale per tutte le istanze di giustizia interne a questo ordinamento professionale.

In linea di estrema sintesi, la struttura complessiva è caratterizzata da una prima fase amministrativa, a sua volta suddivisa in due fasi, poi seguita dalla tutela giurisdizionale, struttura in tre gradi di giudizio.

Le fasi del procedimento impugnatorio

La legge professionale disciplina un apposito procedimento per l'impugnazione delle deliberazione rese dai Consigli regionali e interregionali in materia disciplinare e di quelle riguardanti i risultati delle operazioni elettorali in caso di eventuali irregolarità che si siano verificati in fase di elezione interna dei membri dei singoli Consigli regionali, nonché delle deliberazioni relative alle iscrizione o cancellazione dall'Albo, elenchi o registro (artt. 8, 16 e 60-65 l. n. 69/1963).

In proposito, occorre evidenziare che la libertà di opinione e di stampa ha trovato un'espressa tutela nell'art. 21 Cost., sicché il procedimento per l'irrogazione di sanzioni disciplinari è corredato da una serie di garanzie a presidio dei diritti del professionista.

Le sanzioni irrogabili al giornalista sono quelle previste dall'art. 51, comma 2, l. n. 69/1963 e consistono, secondo una graduazione di gravità, nell'avvertimento, nella censura, nella sospensione dall'esercizio della professione per un periodo non inferiore a due mesi (e non superiore ad un anno) e nella radiazione dall'Albo.

Va ricordato, ancora, che la legge professionale non contempla una tipizzazione delle condotte sanzionabili, sebbene l'art. 2 sancisce i diritti e i doveri del giornalista e l'art. 48 richiama come fatti disciplinarmente rilevanti quelli non conformi al decoro o alla dignità professionale o idonei a compromettere la propria reputazione o la dignità dell'ordine.

Ciò premesso, passando all'esame della struttura del procedimento avente ad oggetto le impugnazioni delle deliberazioni nelle materie in argomento, va immediatamente rilevato che lo stesso, pur se formalmente unitario (cfr. Cass. civ., n. 643/2007 e Cass. civ., n. 15550/2003), si articola sostanzialmente in due fasi: la prima di indole propriamente amministrativa, la seconda (eventuale) di carattere giurisdizionale.

Per quanto riguarda la prima fase a carattere amministrativo (sulla qualificazione cfr. Cass. civ., n. 13067/2007), ai sensi dell'art. 20 (in materia di attribuzioni del Consiglio Nazionale), lett. d), l. n. 69/1963, il Consiglio nazionale «decide, in via amministrativa, sui ricorsi avverso le deliberazioni dei Consigli degli Ordini in materia di iscrizione e di cancellazione dagli elenchi dell'albo e dal registro, sui ricorsi in materia disciplinare e su quelli relativi alle elezioni dei Consigli degli Ordini e dei Collegi dei revisori»: trattasi, perciò, di competenza in via esclusiva.

Il procedimento è disciplinato nel Titolo IV (intitolato “Dei reclami contro le deliberazioni degli organi professionali”), nella specie negli artt. 60-63 l. n. 69/1963 e si conclude con la decisione del Consiglio nazionale.

La seconda fase di tipo giurisdizionale si apre con l'impugnazione, ai sensi dell'art. 63, comma 1, l. n. 69/1963, della deliberazione del Consiglio nazionale dinanzi al Tribunale del capoluogo del distretto nel quale ha sede il Consiglio regionale o interregionale presso cui il giornalista è iscritto.

In evidenza: giurisprudenza sulla natura del procedimento disciplinare

Le pronunzie rese in materia disciplinare dai Consigli degli ordini locali dei giornalisti, in primo grado, e da quello nazionale, in seconda istanza, non hanno natura giurisdizionale e sono suscettibili di essere impugnate dinanzi agli organi della giurisdizione ordinaria, acquisendo il carattere della definitività solo se non impugnati in sede giurisdizionale con i menzionati rimedi ovvero nel caso di rigetto, con pronuncia definitiva, di tali rimedi.

Cass. civ., n. 643/2007

Nell'ordinamento della professione di giornalista di cui alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, il procedimento di applicazione della sanzione disciplinare è unico, sebbene articolato in due fasi, una amministrativa (che si conclude con la deliberazione del consiglio nazionale) e l'altra giurisdizionale (che inizia con l'impugnazione di detta deliberazione dinanzi al tribunale, ad iniziativa dell'interessato o del pubblico ministero).

Cass. civ., n. 643/2007 (conforme Cass. civ., n. 15550/2003)

Il consiglio regionale dell'Ordine dei giornalisti è parte necessaria nel procedimento giurisdizionale riguardante i provvedimenti resi dal Consiglio nazionale dell'Ordine, poiché, quale organo cui la legge professionale attribuisce la tenuta dell'albo e quindi l'attività di iscrizione e cancellazione, è destinatario delle deliberazioni adottate dal predetto consiglio nazionale in materia.

Cass. civ., n. 643/2007

La prescrizione dell'azione disciplinare, regolata dall'art. 58 della legge professionale, riguarda in modo unitario entrambe le fasi del procedimento impugnatorio, sia amministrativa che giurisdizionale, con la conseguenza che, spirato il termine massimo di durata (di sette anni e mezzo) previsto dal quarto comma del suddetto art. 58 senza che sia stata definitivamente accertata la commissione dell'illecito, l'intervenuta maturazione della prescrizione deve essere rilevata e dichiarata anche d'ufficio, con la conseguente improseguibilità del processo.

Cass. civ., n. 13067/2007

L'azione giudiziaria prevista dagli artt. 63 e 64 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, avverso le deliberazioni in materia disciplinare del Consilio nazionale dell'Ordine professionale dei giornalisti, è di cognizione piena con potestà del giudice competente di annullamento, revoca o modifica di dette deliberazioni.

Cass. civ., n. 643/2007

Profili teorici e casistica sul rito

a) La competenza territoriale e la composizione dell'organo giurisdizionale

Le decisioni pronunciate dal Consiglio nazionale possono essere impugnate dinanzi al Tribunale del capoluogo del distretto dove ha sede il Consiglio regionale o interregionale presso cui il professionista è iscritto.

Il Tribunale decide in composizione collegiale, con integrazione da parte di un giornalista e di un pubblicista, nominati in numero doppio, ogni quadriennio, all'inizio dell'anno giudiziario dal Presidente della Corte di appello su designazione del Consiglio nazionale (art. 27, comma 2 l. n. 69/1963).

La partecipazione al giudizio del Pubblico Ministero è necessaria, a pena di nullità rilevabile d'ufficio (art. 27, comma 3 l. n. 69/1963).

b) Le parti

La legittimazione, passiva ed attiva, deve essere analiticamente esaminata in relazione al tipo di decisione emessa dal Consiglio nazionale.

Nel caso di provvedimento del Consiglio nazionale di rigetto del ricorso, la legittimazione attiva spetta al professionista, al pubblico ministero (ossia le medesime parti legittimate ad impugnare anche nella fase amministrativa del procedimento) e al Procuratore Generale competente per territorio (art. 63, comma 4 l. n. 69/1963).

Legittimati dal lato passivo sono il Consiglio regionale (o interregionale), quale organo che ha inizialmente irrogato il provvedimento disciplinare (art. 48 l. n. 69/1963), ed il Consiglio nazionale, quale organo che ha poi ratificato il provvedimento oggetto di contestazione (art. 62 l. n. 69/1963).

Per converso, nel caso in cui il provvedimento del Consiglio Nazionale si sia risolto in un accoglimento del ricorso con annullamento o modifica del provvedimento di irrogazione della sanzione inizialmente applicata dal Consiglio regionale, si deve ritenere che la legittimazione attiva spetti al Pubblico Ministero o al Procuratore Generale competente per territorio, mentre quella passiva al giornalista e al Consiglio nazionale.

È ipotizzabile un concorso di gravami in caso di applicazione da parte del Consiglio nazionale di sanzione di minore gravità rispetto a quella originariamente applicata: in tale evenienza, è sostenibile il ricorso all'applicazione analogica del sistema di cui all'art. 335 c.p.c., che nel processo civile consente di riunire, anche d'ufficio, tutte le impugnazioni separatamente proposte avverso la stessa sentenza.

c) La fase introduttiva

Essendo assoggettato alla disciplina del rito sommario di cognizione, il procedimento in esame si introduce con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. nel termine – previsto a pena di inammissibilità - di trenta giorni (ovvero sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero), decorrente dalla notificazione del provvedimento impugnato.

Il ricorso, che deve essere redatto e sottoscritto a norma dell'art. 125 c.p.c., dovrà naturalmente contenere tutte le indicazioni prescritte per l'atto di citazione dall'art. 163, comma 3, nn. 1-6, c.p.c., con l'ovvia esclusione della fissazione della data dell'udienza, e deve essere depositato presso la cancelleria del tribunale competente per territorio entro i termini sopra specificati.

Segue la designazione da parte del Presidente del collegio, con l'integrazione dei membri laici, e del relatore.

Quindi, viene fissata l'udienza di comparizione delle parti, con contestuale assegnazione al resistente di un termine per la costituzione, e il ricorrente dovrà notificare il ricorso e il decreto di fissazione di udienza, a cui seguirà la costituzione del convenuto, il tutto secondo le medesime regole che informano la fase introduttiva del rito sommario di estrazione codicistica (art. 702-bis, commi 3, 4 e 5, c.p.c.).

d) Caratteri della trattazione e della istruzione

Occorre soffermarsi su alcuni tratti peculiari rispetto al modello tipico del giudizio sommario di cognizione, la cui disciplina è contenuta negli art. da 702-bis a 702-quaterc.p.c.

Il carattere fondamentale del modello procedimentale prevede che «alla prima udienza il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all'oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto delle domande» (art. 702-ter, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011.

In giudizio: deroghe alla disciplina del giudizio sommario di cognizione

Dall'art. 3 del d.lgs. n. 150/2011 si desume:

a) l'inapplicabilità dell'art. 702-ter, comma 3 c.p.c. per cui resta senz'altro esclusa la possibilità di «conversione» al rito ordinario;

b) non trova applicazione il 2° comma dell'art. 702-terc.p.c., secondo cui il giudice deve dichiarare inammissibile la domanda principale o riconvenzionale che non rientri tra quelle per le quali è utilizzabile il rito sommario;

c) se la causa è attribuita in primo grado ad un giudice collegiale, il presidente, col medesimo decreto con cui fissa l'udienza di comparizione delle parti, designa il giudice relatore e successivamente, qualora debba procedersi all'assunzione di mezzi di prova, può delegarla ad uno dei componenti del collegio;

d) se la competenza è attribuita alla corte d'appello in primo (rectius: in unico) grado, il procedimento è comunque regolato dagli artt. 702-bis e 702-ter c.p.c.

Evidentemente quelli sub b) e c) sono meri adattamenti, dovuti alla circostanza che il rito sommario di cognizione è destinato ad operare, stando al codice, per le sole cause di competenza del tribunale in composizione monocratica.

In primo luogo, emerge la collegialità della decisione e, stante l'inapplicabilità dell'art. 702-ter, comma 2, c.p.c. in ragion dell'art. 3 n. 1 del d.lgs. n. 150/2011, il giudizio non può concludersi con una pronuncia d'inammissibilità della domanda in caso di inosservanza della collegialità dell'organo giudicante

L'art. 702-ter, comma 3, c.p.c., analogamente a tutti i procedimenti speciali disciplinati dal capo III del d.lgs. n. 150/2011 (artt. 14-30d.lgs. n. 150/2011), non permette la conversione in rito ordinario nell'ipotesi in cui le controversie necessitino di un'istruzione non sommaria.

Merita, poi, evidenziare come il Tribunale, pur essendo adito in sede d'impugnazione, è competente in primo grado di merito.

Sotto diverso profilo, va rimarcata la peculiare composizione dell'organo giudicante, integrato attraverso la designazione, ad opera del Presidente del Tribunale, di un giornalista e di un pubblicista secondo quanto previsto dagli art. 63, comma 3, della legge professionale e dell'art. 27, comma 2 del d.lgs. n. 150/2011.

In caso di necessità, il Presidente può delegare il compimento di attività istruttoria ad uno dei componenti del Collegio, fissando una nuova udienza collegiale di trattazione; deve, invece, ritenersi che l'ammissione dei mezzi prova rimanga a carattere collegiale.

e) Decisione, impugnazioni e tutela cautelare

I giudizi in esame vengono decisi con ordinanza provvisoriamente esecutiva, idonea a produrre gli effetti del giudicato, ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c.

In merito al contenuto del provvedimento decisorio, l'art. 27, ult. comma, del d.lgs. n. 150/2011 precisa che «l'ordinanza che accoglie il ricorso può annullare, revocare o modificare la deliberazione impugnata»: ciò è in sintonia con la previsione di una pluralità di sanzioni senza tipizzazione delle condotte illecite, rendendo la possibilità di una modulazione in relazione alla fattispecie concreta che potrebbe declinarsi in un inasprimento o in una derubricazione.

Nel caso di accertamento dell'infondatezza della pretesa (ad esempio perché il fatto non sussiste o perché non costituisce illecito), secondo autorevole interpretazione sarebbe radicalmente da escludere, per gli organi della fase amministrativa, la facoltà di esercitare nuovamente il medesimo potere speso in relazione agli stessi fatti già vagliati dal giudice.

L'ordinanza decisoria è impugnabile dinanzi alla Corte d'appello territorialmente competente, nel termine di trenta giorni dalla notificazione del provvedimento, secondo quanto disposto dall'art. 63, comma 2, della legge professionale.

Lo svolgimento del giudizio di appello è regolato, in virtù del rinvio contenuto nell'art. 27, comma 1, del d.lgs. n. 150/2011, dall'art. 702-quater c.p.c.

L'art. 27 del d.lgs. n. 150/2011 non contempla il ricorso in Cassazione, a differenza di quanto prevedeva l'art. 65 della legge professionale: tuttavia, la garanzia costituzionale di cui all'art. 111, comma 7, Cost. assicura comunque il ricorso per cassazione per violazione di legge avverso i provvedimenti che, sia pure in forma diversa della sentenza, abbiano contenuto decisorio e definitivo, quali quelli resi all'esito del giudizio di appello sopra esaminato.

Premesso che l'art. 27 del d.lgs. n. 150/2011 non prevede la possibilità della sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 5 del medesimo decreto, occorre soffermarsi sulla proponibilità di una domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. ante causam o lite pendente.

In tale contesto normativo, si potrebbe fare ricorso all'art. 700 c.p.c. con riferimento ad un giudizio di merito in cui si chieda l'annullamento del provvedimento impugnato o una pronunzia che vada, in concreto, a modularne il contenuto, potendosi prospettare una sospensione totale o parziale del provvedimento impugnato.

Riferimenti
  • Digesto delle discipline pubblicistiche, Voce “Giornalisti e pubblicisti (Disciplina professionale, ecc.)”, vol. VII, Torino, 1991;
  • F. Lazzaro e R. Mucci, La semplificazione dei riti e le recenti riforme del codice, Torino, 2012;
  • F. Santangeli, Riordino e semplificazione dei procedimenti civili. Commentario al Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n.150, Torino, 2012.