Il “nuovo” obbligo di contraddittorio: un cambiamento solo apparente

Antonella Lucarelli
08 Settembre 2020

Il D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (D.L. Crescita) ha introdotto l'obbligo di contraddittorio a partire dallo scorso 1° luglio. In realtà, l'invito obbligatorio all'adesione, non è un istituto nuovo nel panorama tributario, ma costituisce solamente una integrazione della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 218/1997 (Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale). Per altro, l'obbligo generalizzato di contraddittorio, così come disciplinato dal D.L. 34/2019, a ben vedere, risulta particolarmente limitante per il contribuente.
Il contraddittorio endoprocedimentale nel procedimento tributario

Il principio generale del contraddittorio endoprocedimentale opera in qualsiasi procedimento tributario, in risposta alla doverosità della comunicazione di tutti gli atti lesivi della sfera giuridica del cittadino. Comunicazione che costituisce, altresì, il presupposto imprescindibile per la stessa impugnabilità dell'atto, in particolare nel processo tributario, che è strutturato come processo di impugnazione di atti, in tempi rigidamente determinati.

Il suddetto principio trova la propria copertura legislativa sia nella Legge 7 agosto 1990, n. 241 (legge sul procedimento amministrativo) che nella Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente; in particolare negli articoli 6, comma 5 e 12, comma 7), ma anche – per le materie ricadenti sotto il diritto europeo – nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (articoli 41, 47 e 48). La giurisprudenza comunitaria riconosce, accanto ai principi fondamentali codificati, altri principi generali che vengono utilizzati ai fini della interpretazione e della applicazione del diritto comunitario, e che stanno assumendo una importanza determinante sulla formazione del diritto comunitario.

Tra questi, per l'appunto, è affermato il diritto del privato di esercitare la propria difesa di fronte alla autorità amministrativa, preventivamente rispetto alla notifica di un atto potenzialmente lesivo della propria sfera giuridica. Non è difficile immaginare la rilevanza degli effetti che negli ordinamenti nazionali derivano dalla affermazione del principio generale di contraddittorio in ambito comunitario.

La difesa preventiva deve essere realizzata proprio attraverso un contraddittorio tra la Amministrazione e la parte privata.

Mediante il contraddittorio endoprocedimentale si tende a garantire la partecipazione del contribuente all'attività di accertamento fiscale, riconoscendo, dunque, il diritto del destinatario dell'atto di poter recare le proprie ragioni in ordine agli elementi che l'Amministrazione Finanziaria intende porre a fondamento dell'atto impositivo.

L'Amministrazione, dal canto suo, dovrà valutare attentamente le osservazioni del contribuente e motivare congruamente le ragioni per cui non ha, eventualmente, ritenuto di accogliere, in tutto o in parte, le deduzioni proposte.

Nonostante la presenza di norme come quelle sopra citate, nell'ordinamento tributario, però, a differenza di quello amministrativo, manca una norma che sancisca l'obbligatorietà del rispetto di tale principio in maniera diffusa. Da più parti, sia in dottrina che in giurisprudenza ci si è chiesti se un obbligo generale, in tal senso, possa desumersi dal complesso delle discipline relative ai singoli tributi, o se, viceversa, il rispetto del contraddittorio rimanga rigorosamente circoscritto alle esclusive ipotesi normativamente previste.

L'immanenza dell'obbligo del contraddittorio, nel diritto tributario interno, potrebbe ricavarsi anche dal collegamento delle norme dello Statuto del Contribuente con l'art. 97 Cost. Dal combinato disposto di queste norme emerge, senz'altro,un dovere di collaborazione non solo in capo al contribuente, ma anche in capo all'Amministrazione finanziaria e, se si vuole riconoscere un certo valore a tale dovere, esso non può che essere quello di obbligare l'Amministrazione a sentire il contribuente prima di emanare un atto impositivo, e dunque lesivo, nei suoi confronti.

In materia di accertamenti conseguenti a verifiche fiscali l'art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Dunque, è previsto un limite temporale prima del quale l'atto impositivo non può e non deve essere emanato, in modo da permettere al contribuente di esercitare in modo completo il proprio diritto di difesa, presentando ad esempio memorie e osservazioni. In caso contrario l'atto impositivo è nullo.

Il mancato rispetto dei 60 giorni è consentito solo qualora vi siano particolari ragioni di urgenza, che dovranno essere espressamente indicate nell'atto stesso.

Tale previsione normativa non essendo riferita ad un particolare tributo può, pertanto, ritenersi neutra.

L'ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale che da tempo investe il tema relativo alla sussistenza di un diritto generale al contraddittorio endoprocedimentale, nel procedimento tributario, sembrava aver trovato una soluzione con le sentenze gemelle nn. 19667 e 19668 del 2014, con le quali la Cassazione a Sezioni Unite aveva riconosciuto l'immanenza dello stesso al nostro sistema tributario. In particolare, la Cassazione ha ritenuto che incombesse sull'Amministrazione finanziaria un generale obbligo di attivare sempre il contraddittorio preventivo rispetto all'adozione di un provvedimento che potesse incidere negativamente sui diritti e sugli interessi del contribuente. In caso contrario l'atto sarebbe stato inficiato da nullità.

Senonché, le stesse Sezioni Unite con una successiva pronuncia, la n. 24823/2015 hanno riaperto la questione e con una battuta d'arresto hanno optato per una limitazione della generalizzata obbligatorietà del contraddittorio ai soli tributi “armonizzati”, in considerazione del fatto che l'assenza nell'ordinamento interno di un obbligo generalizzato di attivazione del contraddittorio da parte dell'Amministrazione Finanziaria prima dell'emissione dell'atto, salvo che lo stesso non sia espressamente previsto per legge, evidenzia che trattasi di un principio di derivazione comunitaria e, pertanto, applicabile solo ai tributi “armonizzati”.

Sulla base di tale ultima pronuncia a SS.UU., la Corte di Cassazione, anche successivamente, ha negato al contribuente il riconoscimento di tale diritto (cfr. Cassazione sentenze nn. 20799/2017, 21071/2017 e ord. n. 13490/2019).

Le recenti modifiche normative

L'art 4-octies, del D.L. Crescita, ha inserito l'

art. 5-ter nel D.Lgs. n. 218/1997

, introducendo, così, a partire dal 1° luglio 2020, l'obbligo per gli uffici di notificare ai contribuenti, prima dell'emissione dell'avviso di accertamento, un invito al contraddittorio.

In particolare, la nuova norma dispone che

  1. l'ufficio, fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire di cui all'articolo 5 per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento.
  2. sono esclusi dall'applicazione dell'invito obbligatorio di cui al comma 1 gli avvisi di accertamento parziale previsti dall' del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e gli avvisi di rettifica parziale previsti dall'articolo 54, terzo e quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
  3. in caso di mancata adesione, l'avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.
  4. in tutti i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l'ufficio può notificare direttamente l'avviso di accertamento non preceduto dall'invito di cui al comma 1.
  5. fuori dei casi di cui al comma 4, il mancato avvio del contraddittorio mediante l'invito di cui al comma 1 comporta l'invalidità dell'avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato.
  6. restano ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell'emissione di un avviso di accertamento.

Dunque, stante il tenore letterale della norma, gli uffici, ove non sia stato rilasciato un verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, dovranno notificare un invito a comparire per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento. In difetto, l'accertamento è invalido, ma solo se con l'impugnazione il contribuente dimostri le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato.

In caso di mancata adesione, invece, l'avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente nel corso del contraddittorio.

Viene, inoltre, previsto che, qualora tra la data di comparizione indicata nell'invito a comparire e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, di centoventi giorni.

Orbene, i primi due commi del nuovo art. 5-ter, individuano una netta linea di demarcazione per l'applicazione dell'invito obbligatorio.

Infatti, la notifica dell'invito precedente all'emissione di un avviso di accertamento è esclusa nei casi in cui il procedimento di controllo sia stato caratterizzato da una verifica alla quale è conseguita la notifica del classico "processo verbale di constatazione".

Un'esclusione di non poco conto se si pensa al numero dei procedimenti di controllo che si concludono con un processo verbale di constatazione.

La ratio di una tale esclusione la si rinviene dalla lettura della Circolare 22 giugno 2020, n. 17, dell'Agenzia delle Entrate (la cui collaborazione con il legislatore nella stesura nelle norme tributarie è indubbia), dove, al § 3 "Esclusione dall'applicazione dell'istituto", si legge: "si osserva che, in tale caso, il contribuente già beneficia della specifica garanzia prevista dall'art. 12, comma 7, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente)".

Ebbene, è tristemente evidente la confusione nella quale è incorso l'estensore che ha paragonato la facoltà del contribuente di presentare osservazioni alle risultanze del processo verbale di constatazione, con l'obbligo dell'ufficio di convocare ed ascoltare preventivamente il contribuente.

L'esclusione contenuta al primo comma dell'art. 5-ter di nuova introduzione, veste i panni di una sanzione impropria che colpisce il contribuente il quale, rinunciando alla presentazione delle "memorie", si vede, poi, privato della tutela da azionare in prossimità dell'emissione dell'avviso di accertamento. E ciò è ancor più penalizzante se si pensa che l'importanza delle osservazioni al PVC, come strumento di difesa processuale, ha una valenza prossima allo zero.

Le altre due ipotesi di esclusione del nuovo art. 5-ter, che permettono la notifica "diretta" dell'accertamento al contribuente, sono quelle relative ai "casi di particolare urgenza, specificamente motivata" o "nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione". Qui, salta subito all'occhio una asimmetria normativa, poiché la norma contempla la specifica motivazione soltanto per i casi di "particolare urgenza" e non anche per le "ipotesi di fondato pericolo per la riscossione", quasi che quest'ultima fattispecie fosse da sola sufficiente a legittimare l'esclusione del contraddittorio preventivo. Con riferimento a questo aspetto, la circolare dell'Agenzia delle Entrate è corsa ai ripari precisando che "pur in assenza di un esplicita previsione nella norma ad una «motivazione rafforzata», è opportuno che l'ufficio motivi adeguatamente l'avviso di accertamento/rettifica con le ragioni che giustificano il «fondato timore» di perdere la garanzia del credito, in modo da evitare possibili contestazioni in sede contenziosa". Questa discrezionalità, però, lascia presagire un incremento del contenzioso al pari dell'esimente ravvisabile "in tutti i casi di particolare urgenza" che si prestano ad accogliere innumerevoli fattispecie.

L'integrazione della disciplina previgente

L'obbligo di invito al contraddittorio da parte dell'Amministrazione finanziaria nell'ambito dell'attività di accertamento, introdotto dal Decreto Crescita e qualificato da più parti come una “novità”, in realtà, dunque, consiste solo in una integrazione, per alcuni versi anche peggiorativa, della disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 218/1997.

L'art. 4 octies DL Crescita, in primo luogo, modifica l'art. 5 del citato decreto legislativo, aggiungendo un nuovo comma in base al quale “qualora tra la data di comparizione (…) e quella di decadenza dell'Amministrazione finanziaria dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di 90 giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato di 120 giorni, in deroga al termine ordinario”; in secondo luogo, inserisce all'interno del D.Lgs. 218/1997 il nuovo art. 5-ter, rubricato “Invito obbligatorio” contenente le disposizioni esplicitate al precedente paragrafo 2.

L'ultimo comma dell'articolo 5-ter, infine, specifica che restano ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell'emissione di un avviso di accertamento.

L'articolo 4-octies citato, per esigenze di coordinamento normativo, ha modificato anche il comma 2 dell'art. 6 D.Lgs. 218/1997.

Quest'ultima disposizione stabilisce che il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, non preceduto dall'invito a comparire di cui all'art. 5, può formulare anteriormente all'impugnazione dell'atto innanzi alla Commissione tributaria provinciale, istanza in carta libera di accertamento con adesione. Dunque, con la modifica de qua, si consente la formulazione dell'istanza anche in relazione alla fattispecie prevista dal nuovo articolo 5-ter.

Orbene, l'integrazione della disciplina già esistente obbliga ad una serie di osservazioni.

Innanzitutto, l'esclusione degli accertamenti parziali Iva dall'obbligo del contraddittorio preventivo, di cui al comma 2 dell'art. 5-ter, è a rischio di violazione del diritto Ue, che impone sempre e comunque il contatto preventivo con il contribuente. L'unica eccezione è data dal caso in cui il soggetto passivo non avrebbe nulla di rilevante da eccepire in relazione all'ipotesi di accertamento dell'ufficio. Ma è palese che una simile valutazione può essere fatta solo a posteriori, e non apriori sulla base della tipologia di accertamento. Ne consegue che la previsione di legge è senz'altro in contrasto con la superiore regola comunitaria. Oltretutto, questa previsione non fa altro che evidenziare le differenze, in termini di garanzie, concesse al singolo con riferimento a taluni accertamenti e tributi, rispetto ad altri, cosa che potrebbe portare anche ad un utilizzo improprio dei diversi metodi di accertamento.

Un'altra osservazione che si potrebbe muovere alla recente disciplina integrativa attiene alla “obbligatorietà”: ciò che è diventata obbligatoria è solo la fase dell'accertamento con adesione, in relazione ad alcune ipotesi e tributi, ma si tratta di una forzatura poiché questa procedura è ed avrebbe dovuto restare una facoltà esercitabile solo laddove vi sia lo spazio per una rivisitazione del potenziale rilievo/pretesa mediante l'ausilio partecipativo del contribuente.

Infine, un'ultima riflessione merita il caso del mancato invito. La norma prevede che laddove l'Ufficio non inviti il contribuente all'adesione, quest'ultimo dovrà dimostrare, in sede giudiziale, le ragioni che avrebbe fatto valere in sede di contraddittorio, se lo stesso fosse stato attivato. Dunque, ricadrà sul contribuente l'onere della prova ed i costi di una difesa volta alla tutela dei suoi diritti, sebbene a monte la violazione del mancato invito al contraddittorio sia stata perpetrata dall'Ufficio.

In pratica, a fronte della violazione, da parte dell'Ufficio, dell'obbligo di adesione scaturirebbero una serie di incombenze e costi, forse evitabili, in capo al contribuente.

In conclusione

Orbene, anche a voler ipotizzare che l'intenzione del legislatore fosse quella di assicurare, mediante il dialogo preventivo, la possibilità di adeguare e conformare l'attività impositiva alla concreta situazione del contribuente in un'ottica deflattiva del contenzioso, nella pratica, invece, le recenti integrazioni normative rischiano di mortificare proprio la ratio del contraddittorio e la parità delle armi nel procedimento e nel processo. Dalla lettura delle norme, così come integrate dal Decreto Crescita, emerge, chiaramente, come la disciplina degli accertamenti sia tesa ad indurre forzatamente il contribuente verso un adempimento “spontaneo” o per meglio dire “guidato”.

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