Analisi delle principali novità introdotte dal cd. “Decreto Agosto”

Jacopo Ierussi
Flavio Genzano
08 Settembre 2020

Sono diversi i temi toccati dal citato Decreto tra cui il prolungamento della cassa integrazione e del cd. “blocco dei licenziamenti” - su cui ci soffermeremo a causa di alcune ambiguità interpretative riscontrate - nonché alcuni esoneri sul fronte previdenziale...
Premessa

Non ha bisogno di molte presentazioni il d.l. n. 104 del 2020 oggetto della presente disamina e che si pone in continuità con le misure adottate dal Legislatore per affrontare la perdurante emergenza COVID-19. Sono diversi i temi toccati dal citato Decreto tra cui il prolungamento della cassa integrazione e del cd. “blocco dei licenziamenti” - su cui ci soffermeremo a causa di alcune ambiguità interpretative riscontrate - nonché alcuni esoneri sul fronte previdenziale, ma andiamo con ordine ed affrontiamo quelle che, ad avviso di chi scrive, sono le principali novità per il mondo del lavoro.

Cassa integrazione guadagni

Come anticipato, è stata introdotta un'estensione dei trattamenti relativi alla Cassa integrazione (ordinaria e in deroga) e all'Assegno ordinario previsti dal d.l. cd. “Cura Italia”“per una durata massima di nove settimane, incrementate di ulteriori nove settimane”, laddove tale proroga dovrà essere collocata nel periodo compreso tra il 13 luglio 2020 e il 31 dicembre 2020.Al contempo, viene stabilito che “i periodi di integrazione (salariale) precedentemente richiesti e autorizzati ai sensi del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, collocati, anche parzialmente, in periodi successivi al 12 luglio 2020 sono imputati, ove autorizzati, alle prime nove settimane” di proroga (art. 1, comma 1).

È previsto per i datori di lavoro il pagamento di un contributo addizionale parametrato sulla base del raffronto tra il fatturato aziendale del primo semestre 2020 e quello del corrispondente semestre 2019 come riportato di seguito:

  • pari al 9% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell'attività lavorativa, per i datori di lavoro che hanno avuto una riduzione del fatturato inferiore al venti per cento (comma 2);
  • pari al 18% della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore di lavoro non prestate durante la sospensione o riduzione dell'attività lavorativa, per i datori di lavoro che non hanno avuto alcuna riduzione del fatturato (comma 2);
  • pari allo 0% per i datori di lavoro che hanno subito una riduzione del fatturato pari o superiore al venti per cento e per coloro che hanno avviato l'attività di impresa successivamente al primo gennaio 2019 (comma 3).

Le ulteriori nove settimane di trattamenti di cui al comma 1 sono riconosciute ai datori di lavoro a condizione che abbiano già beneficiato del precedente trattamento di integrazione salariale della medesima durata, a seguito del suo riconoscimento.

A tal proposito, i datori di lavoro dovranno presentare all'INPS (“a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell'attività lavorativa - comma 5) una domanda di concessione degli ammortizzatori sociali nella quale autocertificheranno, tramite dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (la cui mendacità è penalmente rilevante), la sussistenza dell'eventuale riduzione del fatturato ai fini sopra illustrati.

Al contempo, si segnala che coloro i quali sono beneficiari di dette misure tramite pagamento diretto della prestazione da parte dell'INPS, sono tenuti ad inviare a quest'ultimo tutti i dati necessari per il pagamento o per il saldo dell'integrazione salariale entro le scadenze specificatamente previste dal comma 6 dell'art. 1 del d.l., poiché invero“Trascorsi inutilmente tali termini, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente”.



Esonero contributivo

Sotto un diverso ed ulteriore profilo, il Legislatore, attualmente, mette a disposizione dei datori di lavoro due diversi strumenti per fronteggiare l'emergenza da COVID-19, consistenti in esoneri sul piano contributivo previsti nelle fattispecie di seguito indicate:

  • con esclusione del settore agricolo, laddove i datori privati non abbiano richiesto i trattamenti d'integrazione salariale e, in particolare, abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, di quelli di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del d.l. “Cura Italia”, questi possono accedere ad un “esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, per un periodo massimo di quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei predetti mesi di maggio e giugno 2020, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, riparametrato e applicato su base mensile” (art. 3, comma 1);
  • fino al 31 dicembre 2020, è riconosciuto ai datori di lavoro (con esclusione del settore agricolo) che assumeranno un lavoratore subordinato a tempo indeterminato (fatta eccezione per contratti di apprendistato e lavoro domestico), l'esonero totale del versamento dei contributi previdenziali per un periodo massimo di sei mesi decorrenti dall'assunzione “nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile”, anche qui ad esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL (art. 6). Detto esonero è cumulabile con altri istituti di analoga natura o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente. È stata espunta dalla versione definitiva del decreto legge. la disposizione che nella versione in bozza stabiliva che, per l'accesso al beneficio di cui sopra, dette assunzioni avessero quale condizione essenziale un incremento occupazionale netto avuto riguardo ai dodici mesi precedenti alla singola assunzione nonché tenuto conto, per evitare abusi di sorta, delle “diminuzioni occupazionali verificatesi in società controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto”. Le logiche dietro questa scelta da parte del Legislatore sono probabilmente riconducibili ai dati recentemente registrati dall'ISTAT relativamente agli incrementi del tasso di disoccupazione in Italia, indi per cui si è voluto prediligere il ricorso a qualsivoglia strumento per promuovere nuove assunzioni anche a rischio di facilitare eventuali abusi dello strumento di legge in questione. Sempre in un'ottica di incentivazione delle nuove assunzioni, detto esonero è previsto anche in caso di stabilizzazione di rapporti a tempo determinato (art. 6, comma 3), mentre restano esclusi dall'ambito di applicazione della norma de qua i lavoratori che abbiano avuto un contratto a tempo indeterminato nei sei mesi precedenti all'assunzione presso la medesima impresa (art. 6, comma 2).
Il divieto di licenziamento e il contratto a termine "a-causale".

Al datore di lavoro di cui alla lett. a) si applicano i divieti di cui al successivo art. 14 che andiamo a sintetizzare come segue:

  • resta precluso l'avvio delle procedure di licenziamento collettivo e restano sospese quelle pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso sia oggetto di un cambio d'appalto con passaggio alle dipendenze dell'appaltatore entrante;
  • resta preclusa, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo e sono sospese le procedure in corso innanzi all'ITL territorialmente competente (quale condizione di procedibilità per il licenziamento per GMO) di cui all'art. 7, l. n. 604 del 1966.

Il mancato rispetto delle condizioni di cui sopra comporta retroattivamente la revoca dell'esonero contributivo di cui all'art. 3, comma 1 (nei casi di cui alla sopra riportata lett. a))e l'impossibilità di presentare una domanda di integrazione salariale.

L'efficacia del divieto viene fatta genericamente e infelicemente risalire al periodo di proroga delle misure di sostegno al reddito di cui agli artt. 1 e 3 (e, in particolare, detto divieto rimarrebbe vigente sino all'integrale fruizione delle stesse), intendendosi così il lasso temporale intercorrente dal 13 luglio al 31 dicembre 2020 (art. 14, comma 1).

In definitiva, viene prorogato il blocco dei licenziamenti sino al 31 dicembre 2020, ma stavolta con alcune eccezioni: la misura non vale nei casi di cessazione definitiva dell'attività di impresa (laddove non vi sia stata la cessione di un complesso di beni od attività che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo ex art. 2112 c.c.) e nei casi di fallimento (laddove non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione - art. 14, comma 3).

Come anticipato, si evidenzia che l'art. 14 pone alcune sofferenze interpretative, nella misura in cui la dottrina ha proposto allo stato due ipotesi applicative della norma de qua diametralmente opposte. Se, da una parte, si rinviene la possibilità di leggere nel predetto articolo un divieto generale di licenziamento, dovuto all'incipit del primo comma “non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all'articolo 1”, che lascia intendere che i licenziamenti collettivi e per GMO siano consentiti solo per i datori che abbiano effettivamente beneficiato anche delle ulteriori 18 settimane di integrazione salariale, dall'altra, c'è chi ritiene che il blocco dei licenziamenti non sia da applicare a quei datori che non rientrano nelle condizioni dell'art. 1 e che, pertanto, non hanno richiesto o potuto richiedere il trattamento di integrazione salariale o l'esonero contributivo. I dubbi interpretativi originano da una criptica formulazione del testo dell'art. 14 che legittima entrambe le tesi sopra riferite. Ad avviso di chi scrive i tempi non sono maturi per poter prendere posizione su una questione tanto delicata, già oggetto di censure di incostituzionalità, piuttosto appare opportuno sottolineare che trattandosi di un Decreto-Legge non ancora convertito, l'auspicio è quello che il Legislatore riesca a mettere ordine nel testo normativo, risolvendo i dubbi sorti in merito alla norma appena citata.

In chiusura dell'art. 14, viene introdotta la possibilità per il datore di lavoro di revocare “in ogni tempo” i licenziamenti effettuati nell'anno 2020 (ovviamente prima del cd. “blocco”) senza oneri e/o sanzioni a suo carico a fronte del ripristino del rapporto, purché contestualmente “faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale, di cui agli articoli da 19 a 22-quinquies del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento” (comma 4).

Il “Decreto Agosto”, inoltre, consente alle aziende, in assenza di causale, di effettuare proroghe e rinnovi dei contratti a termine fino al 31 dicembre 2020 (art. 8) grazie ad un intervento modificativo apportato all'art. 93 del d.l. n. 34 del 2020 (cd. “Rilancio”).

Naspi, Dis-Coll e Fondo nuove competenze

Rimanendo nell'ambito delle misure di intervento a carattere diffuso e, nello specifico, di sostegno alla disoccupazione, le prestazioni erogate dall'INPS a titolo di NASpI e DIS-COLL, il cui periodo di fruizione termini nel periodo compreso tra il 1^ maggio e il 30 giugno 2020, sono prorogate per ulteriori due mesi a decorrere dal giorno di scadenza (art. 5). Nello stesso senso, si dirà come le modifiche introdotte al cd. “Fondo Nuove Competenze” (art. 88, d.l. n. 34 del 2020, conv. in l. n. 77 del 2020) all'art. 5 del d.l. concernano precipuamente le risorse stanziate, incrementate per il 2020 e previste anche per il 2021, che, però, avendo riguardo all'istituto in questione, sono un aspetto sostanziale, in grado di determinare l'efficacia dei percorsi di ricollocazione dei lavoratori perdenti posto. Al contempo, è stato modificato il citato art. 88 affinché sia possibile per le parti sociali realizzare specifiche intese di rimodulazione dell'orario di lavoro per mutate esigenze organizzative e produttive dell'impresa nonché “per favorire percorsi di ricollocazione dei lavoratori”; intese tramite le quali parte dell'orario di lavoro viene finalizzato ad appositi percorsi formativi.

I lavoratori dello sport

Per il mondo dei lavoratori dello sport il Legislatore ha introdotto due distinte norme ad hoc: gli artt. 2 e 12 del decreto.

L'art. 2 ha stabilito l'accesso al trattamento di integrazione salariale di cui all'art. 1 per i lavoratori dipendenti iscritti al “Fondo Pensione Sportivi Professionisti” per un massimo di 9 settimane laddove nella stagione sportiva 2019-2020 abbiano percepito retribuzioni contrattuali lorde non superiori a 50.000 euro. Si precisa che “Per ogni singola associazione sportiva non potranno essere autorizzate più di nove settimane complessive” e che per le A.S.D. aventi sede nelle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna la durata del trattamento di integrazione salariale è fissato sino ad un massimo di 13 settimane.

L'art. 12, invece, ha stabilito che “Per il mese di giugno 2020, è erogata dalla società Sport e Salute S.p.A., nel limite massimo di 90 milioni di euro per l'anno 2020, un'indennità pari a 600 euro in favore dei lavoratori impiegati con rapporti di collaborazione presso il Comitato Olimpico Nazionale (CONI), il Comitato Italiano Paralimpico (CIP), le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva, riconosciuti dal Comitato Olimpico Nazionale (CONI) e dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP), le società e associazioni sportive dilettantistiche, di cui all'articolo 67, comma 1, letteram),deldecretodelPresidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, già attivi alla data del 23 febbraio 2020, i quali, in conseguenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività”. Detto emolumento non concorre alla formazione del reddito, mentre sono sorte perplessità circa la possibilità di percepirlo da parte di associazioni che pratichino discipline non riconosciute dal CONI (vedi gli “sport elettronici”) o che non siano iscritte al Registro tenuto da quest'ultimo.

I citati due articoli dimostrano un'attenzione crescente del Legislatore (anche nel periodo COVID-19) verso il mondo del lavoro sportivo e si inseriscono, infatti, in un contesto più grande riferendoci con questo alla riforma dello sport 2020 (i.e. il “Testo Unico per lo sport”, ovvero il Decreto legislativo di attuazione della legge delega n. 86 del 2019) promossa dal Ministro Spadafora che una volta trovato il proprio ingresso nell'ordinamento giuridico italiano aumenterà il livello di tutele giuslavoristiche per tutti coloro i quali hanno fatto dello sport il proprio mestiere.

I lavoratori stagionali

Il Legislatore si è poi interessato a tre settori economici specifici, fortemente gravati dalla situazione di crisi generalizzata, introducendo così una forma di sostegno per “i lavoratori stagionali del turismo, degli stabilimenti termali e dello spettacolo danneggiati dall'emergenza epidemiologica da COVID-19” (così titola parzialmente l'art. 9) sotto forma di una indennità onnicomprensiva nella misura complessiva di:

  • Euro 1.000 per categorie professionali quali: a) i “lavoratori iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo”; b) i venditori a domicilio; c) i lavoratori “intermittenti”; d) i lavoratori autonomi (occasionali) privi di partita IVA e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie che abbiano cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro; e) lavoratori dipendenti stagionali appartenenti a settori diversi da quelli del turismo e degli stabilimenti termali che “hanno cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1^ gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che (però) abbiano svolto la prestazione lavorativa per almeno trenta giornate nel medesimo periodo” .

Per ognuna delle suddette categorie è previsto dalle singole lett. a) - d) del comma 2 dell'art. 9 il soddisfacimento di ulteriori specifici requisiti (es. anzianità di servizio; iscrizione alla gestione separata INPS, etc.) e, in ogni caso, che i richiedenti non siano titolari di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (diverso dal contratto intermittente) o di un trattamento pensionistico (art. 9, comma 3). Ad avviso di chi scrive, qualche perplessità sorge su un piano puramente di ordine e sistematicità circa l'inserimento delle lettere d) ed e) in questo articolo, poiché non appaiono del tutto relegate a questi specifici settori economici;

  • Euro 1.000 per gli stagionali del turismo e delle terme che hanno “cessato involontariamente il rapporto di lavoro nel periodo compreso tra il 1^ gennaio 2019 e il 17 marzo 2020, non titolari di pensione, né di rapporto di lavoro dipendente, né di NASPI”. Tale indennità è prevista anche per lavoratori in somministrazione impiegati presso imprese utilizzatrici operanti in detti settori.

Laddove sussistano contemporaneamente più d'una delle fattispecie sopra elencate non si ha diritto a ricevere più volte detta indennità che, in ogni caso, non ricorre alla formazione del reddito.

In ultimo, la suddetta indennità onnicomprensiva è riconosciuta anche ai lavoratori dipendenti a tempo determinato del settore del turismo e degli stabilimenti termali in possesso cumulativamente dei requisiti di seguito elencati:

  • itolarità nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 di uno o più contratti di lavoro a tempo determinato nel settore del turismo e degli stabilimenti termali, di durata complessiva pari ad almeno trenta giornate;
  • titolarità nell'anno 2018 di uno o più contratti di lavoro a tempo determinato o stagionale nel medesimo settore di cui alla lettera a), di durata complessiva pari ad almeno trenta giornate;
  • assenza di titolarità, al momento dell'entrata in vigore del presente decreto, di pensione e di rapporto di lavoro dipendente.

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