Il rifiuto di nominare nel Comitato COVID-19 lavoratori RSA e RLS costituisce comportamento antisindacale
08 Settembre 2020
Massime
Il carattere vincolante del Protocollo 14 marzo 2020 e la sua forza precettiva (al fine di costituire possibile parametro di antisindacalità della condotta che ad esso non si sia correttamente conformata) deriva dall'essere emanazione di una raccomandazione di fonte regolamentare ed il frutto degli inviti istituzionali delle più alte cariche dello Stato al fine di fronteggiare una obiettiva situazione di emergenza nazionale; il d.P.C.m. 11 marzo 2020 è, poi, attuativo dell'art. 3 del d.l. n. 6/20 ed è legittimato dalla fondamentale l. n. 400/88, non vedendosi, pertanto, come, anche sotto il profilo delle fonti del diritto in senso classico, possa dubitarsi dell'efficacia vincolante dello stesso.
L'art. 13 del Protocollo 14 marzo 2020 che prevede “E' costituito in azienda un Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del Protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e delle RLS” deve essere interpretato nel senso che la costituzione del comitato deve avvenire nella specifica realtà territoriale ed ambientale ove il lavoro dell'azienda viene svolto.
Ha natura antisindacale il comportamento datoriale che non riconosce quali membri Comitato aziendale Covid 19 gli RLS o RSA validamente eletti a livello delle specifiche e singole realtà economico/produttive. Il caso
Il decreto in commento ha analizzato il caso sollevato da un'organizzazione sindacale che aveva lamentato la antisindacalità della condotta datoriale consistente nell'avere omesso la costituzione, all'interno di un ospedale della Regione Veneto, del Comitato per la verifica dell'attuazione del protocollo Covid 19 del 14 marzo 2020 senza neanche avere coinvolto le RSA e RLS dell'ospedale medesimo nel Comitato centrale unico per la sede operativa del Nord Est. La questioni giuridiche
Il decreto in commento si sofferma in primo luogo sull'efficacia soggettiva vincolante del Protocollo Covid 19 del 14 marzo 2020, affinché possa assurgere a parametro di antisindacalità della condotta lamentata ed, infine, valuta se l'aver escluso dalla composizione del Comitato i membri delle RLS ed RSA dell'ospedale medesimo costituisca condotta antisindacale.
Infatti, il Protocollo Covid 19 del 14 marzo 2020 ha previsto la costituzione in azienda di un Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Quanto all'efficacia soggettiva dei Protocolli Governo parti sociali Covid 19, come è noto, al fine di individuare delle linee guida condivise, volte ad agevolare le imprese nell'adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio Governo e parti sociali hanno adottato prima il 14 marzo e, successivamente, il 24 aprile 2020 due protocolli fra loro in rapporto di integrazione.
Ebbene, nel caso di specie la prima questione analizzata dal Giudice riguarda l'efficacia soggettiva del Protocollo del 14 marzo 2020. Infatti, il Protocollo altro non è che un negozio giuridico privatistico, con tutte le note conseguenze per quanto riguarda gli accordi collettivi circa l'efficacia in linea di principio esclusivamente nei confronti degli iscritti alle organizzazioni firmatarie.
Effettivamente al momento dell'adozione del primo Protocollo del 14 marzo 2020 si ponevano dubbi circa l'efficacia soggettiva generalizzata di tale atto, posto che lo stesso trovava fondamento in un'unica fonte di natura regolamentare, l'art. 1 del d.P.C.M. 11 marzo 2020, la quale si limitava a “raccomandare” l'adozione di protocolli di sicurezza anticontagio. I dubbi sono stati, tuttavia, definitivamente sgombrati a seguito del riconoscimento legislativo del valore vincolante di tali protocolli ad opera prima del DL 19/2020, poi ad opera del d.l. n. 34/2020 e del d.l. n. 33/2020 il cui art. 1 comma 15 giunge a prevedere la conseguenza della sospensione dell'attività aziendale nell'ipotesi di omessa osservanza dei precetti contenuti nei protocolli condivisi.
Tuttavia, anche prima del riconoscimento normativo dell'efficacia vincolante erga omnes di tali protocolli, vi era chi aveva riconosciuto tale efficacia per altra via. In particolare si è affermato che tali protocolli fossero da annoverarsi fra quelle “buone prassi” e “linee guida” la cui osservanza è doverosa ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 81/2008 (Natullo G., “Covid -19 e sicurezza sul lavoro: nuovi rischi, vecchie regole?”, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D'Antona”. IT -413/2020 pp. 10-11). Ancora, altri (Rainone R., “La tutela della salute e della sicurezza nella contrattazione collettiva dell'emergenza”, in DSL 2-2020 p. 75) hanno sostenuto che l'efficacia soggettiva generalizzata di tali accordi sarebbe derivante dalla loro natura di accordi collettivi gestionali, che secondo la giurisprudenza costituzionale (C. cost. 18 ottobre 1996, n 344) e di legittimità (Cass., sez. lav., 11 luglio 2008, n. 19275) non appartengono alla species contratto normativo al quale si applica l'art. 39 Cost e quindi sono sottratti alle questioni di compatibilità costituzionale per violazione dell'art. 39, comma 2, Cost., che impedirebbero l'efficacia generalizzata dell'accordo.
Nel caso in questione il Tribunale di Treviso desume l'efficacia generalizzata del Protocollo del 14 marzo 2020 “dall'essere emanazione di una raccomandazione di fonte regolamentare ed il frutto degli inviti istituzionali delle più alte cariche dello Stato al fine di fronteggiare una obiettiva situazione di emergenza nazionale; il d.P.C.m. 11 marzo 2020 è, poi, attuativo dell'art. 3 del d.l. n. 6/20 ed è legittimato dalla fondamentale legge n. 400/88, non vedendosi, pertanto, come, anche sotto il profilo delle fonti del diritto in senso classico, possa dubitarsi dell'efficacia vincolante dello stesso”. La condotta antisindacale
Una volta acclarata l'efficacia erga omnes del Protocollo del 14 marzo 2020 occorreva valutare se fossero state violate le prerogative delle organizzazioni sindacali ivi previste, idonee a costituire condotta antisindacale.
Come è noto, la l. 20 maggio 1970, n. 300 prevede un apposito procedimento per la repressione della condotta antisindacale. Più precisamente, l'art. 28 stabilisce che, nel caso in cui il datore di lavoro si comporti in modo tale da impedire o limitare l'esercizio e la libertà dell'attività sindacale, il sindacato possa denunciare tale comportamento al giudice del lavoro; nel caso in cui il giudice del lavoro accerti che, effettivamente, vi è stata una lesione dei diritti sindacali, potrà ordinare al datore di lavoro di cessare dal comportamento ritenuto antisindacale e di rimuovere gli effetti dello stesso. In particolare, è stato ritenuto antisindacale il comportamento che incida, in modo diretto, su diritti sindacali espressamente riconosciuti dai contratti collettivi di lavoro, dalla legge o dalla Costituzione.
In particolare la casistica mostra come sia stata ritenuta antisindacale la condotta del datore di lavoro che non riconosce ai membri RSU e RLS validamente eletti di godere di tutte le facoltà previste per lo svolgimento delle relative funzioni (Tribunale di Firenze, sez. lav., 23 agosto 2013, n. 2795; Tribunale di Milano, sez. lav., 10 luglio 2017, n. 18720 - Condotta antisindacale dell'azienda che non riconosce l'elezione dell'RSA e del RLS, Tribunale di Trento, sez. lav., 8 marzo 2019 n. 314, Giudice Dr. Giorgio Flaim, Tribunale di Trento, sez. lav., 24 luglio 2019 n. 120, Giudice Dr. Michele Maria Benini – condotta antisindacale dell'azienda che non riconosce quale RLS quello nominato nell'ambito della RSA).
Sulla base di tali parametri occorreva, allora, verificare nel caso concreto se la condotta datoriale consistente nel non aver ricompreso fra i membri del Comitato Covid 19 gli RSA e gli RLS dell'ospedale periferico, costituisse condotta antisindacale in quanto lesiva degli interessi collettivi dei lavoratori riconosciuti in forza di legge o contratto collettivo. In particolare il datore di lavoro, come si è detto, osservava che non vi era stata alcuna violazione del Protocollo del 14 marzo 2020, visto che era stato costituito un Comitato Covid 19 centrale unico per la sede operativa del Nord Est, che aveva competenza a vigilare sull'osservanza delle prescrizioni anticontagio anche nelle strutture periferiche, come l'ospedale oggetto di causa. A tal riguardo il Tribunale di Treviso, ha dapprima fornita un'interpretazione della disciplina attributiva delle prerogative sindacali, ossia dell'art. 13 del Protocollo 14 marzo 2020, che stabilisce: “E' costituito in azienda un Comitato per l'applicazione e la verifica delle regole del Protocollo di regolamentazione con la partecipazione delle rappresentanze sindacali aziendali e delle RLS”. Il Giudice del lavoro ha letto tale regola nel senso che, ove si sia in presenza di una azienda con una pluralità di “realtà economico/produttive”, non basta che sia prevista la costituzione di un solo “Comitato anti Covid” a livello centrale, ma deve essere costituito in ogni singola unità produttiva. Di conseguenza si è asserita la natura antisindacale del comportamento del datore di lavoro che non riconosce quali membri Comitato aziendale Covid 19 gli RLS o RSA validamente eletti a livello delle specifiche e singole realtà economico/produttive. Osservazioni
Il provvedimento in commento propone un'interpretazione della disciplina di cui all'art. 28 della Legge 300/1970, che si colloca in continuità rispetto all'evoluzione giurisprudenziale in materia di mancato riconoscimento del datore di lavoro delle prerogative delle rappresentanze sindacali. Infatti, ove si interpreti la disciplina istitutiva del “Comitato anti Covid” nel senso indicato dal Tribunale di Treviso, e quindi nella direzione del riconoscimento di tanti comitati quante sono le realtà economico/produttive della datrice di lavoro, allora il mancato riconoscimento del diritto degli RSA ed RLS di ogni singola realtà economica produttiva di far parte del Comitato Covid 19 costituisce certamente lesione delle prerogative sindacali, ed in particolare dell'art. 9 della l. n. 300/1970, che stabilisce: “i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l'applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l'elaborazione e l'attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.
Forse sarebbe stato opportuno approfondire e delineare meglio la nozione di “azienda” di cui all'art. 13 determinativa dell'obbligo di costituzione del Comitato. Infatti, il provvedimento in commento indica genericamente le “specifiche e singole realtà economico/produttive”, facendo permanere il dubbio se coincidano con la nozione di unità produttiva. Infatti, secondo l'art. 35 della. l. n. 300/1970 un'unità produttiva è “ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di 15 dipendenti”, per tale intendendosi (Cass., sez. lav., 26 settembre 2011, n. 19614 (rv. 618940) “non ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto dell'impresa, ma soltanto la più consistente e vasta entità aziendale che, eventualmente articolata in organismi minori, anche non ubicati tutti nel territorio del medesimo comune, si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo a una frazione o ad un momento essenziale dell'attività produttiva aziendale”.
Secondo il decreto legislativo n. 81/2008 (articolo 2, comma 1, lettera t) una unità produttiva è uno "stabilimento o struttura finalizzati alla produzione di beni o all'erogazione di servizi dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale", giungendo la giurisprudenza (Cass., sez. IV, 22 novembre 2004, n. 45068) ad affermare che l'organismo, pur restando una emanazione di una stessa impresa, deve avere “una fisionomia distinta, presenti un proprio bilancio” ed abbia in condizioni di indipendenza “un proprio riparto di risorse disponibili ed espressamente prevista negli atti della impresa o della società” così da permettere in piena autonomia le scelte organizzative più confacenti alle caratteristiche funzionali e produttive della unità.
Per tali ragioni si deve concludere, in modo più specifico, nel senso che l'obbligo di costituire il “Comitato anti Covid” sussista in ogni unità produttiva della datrice di lavoro. |