Danno cagionato da cose in custodia: quando la condotta della vittima integra il caso fortuito?

Redazione Scientifica
10 Settembre 2020

La Suprema Corte richiama alcuni principi che delineano la responsabilità oggetto dell'art. 2051 c.c., specificando quando il comportamento del danneggiato può integrare il caso fortuito ed escludere, quindi, il nesso eziologico tra cosa e danno.

Il Giudice di Pace di Avellino respingeva la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dall'attrice, la quale era caduta battendo fortemente il ginocchio a causa di un tombino in ferro sconnesso presso un'area di parcheggio antistante un centro commerciale.

Tale pronuncia veniva confermata dal Tribunale di Avellino, investito del gravame della stessa danneggiata. In tale sede, il Tribunale aveva ritenuto invocabile la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. e fornita la prova liberatoria del caso fortuito, identificato nel fatto dell'attrice.
Insoddisfatta, la danneggiata si rivolge alla Corte di Cassazione, lamentando il fatto che il Tribunale le avesse attribuito l'esclusiva responsabilità del fatto, sostenendo che, al contrario, se non fosse stato presente il dislivello tra il pavimento ed il tombino la caduta non si sarebbe verificata.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, premettendo che il caso fortuito può bene essere costituito dalla condotta della vittima, poiché anch'essa è in grado di escludere il nesso eziologico tra cosa e danno. A tal proposito, la Corte riprende alcuni principi giurisprudenziali, i quali hanno posto l'attenzione sulla responsabilità oggetto dell'art. 2051 c.c.. Da tali principi si evince, in primo luogo, che integra il caso fortuito tutto ciò che non è prevedibile in modo oggettivo o tutto ciò che rappresenta un'eccezione alla normale sequenza causale; in secondo luogo, che il caso fortuito è integrato dalla condotta della vittima quando essa si sovrapponga alla cosa «al punto da farla recedere a mera “occasione” della vicenda produttiva di danno, assumendo efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo»; in terzo luogo, che la natura oggettiva del criterio di imputazione della responsabilità da cose in custodia si basa sul dovere di precauzione a cui è soggetto il titolare della signoria sulla cosa custodita; infine, qualora «manchi l'intrinseca pericolosità della cosa e le esatte condizioni di essa siano percepibili in quanto tali, ove la situazione comunque ingeneratasi sia superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, va allora escluso che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e va considerato ritenuto integrato il caso fortuito».
Richiamati tali principi, i Giudici di legittimità rilevano che dalla loro applicazione al caso di specie emerge che il Tribunale non abbia affatto violato le norme che regolano la responsabilità oggetto dell'art. 2051 c.c., accertando la mancanza di un nesso di causalità tra la sussistenza del tombino e dell'avvallamento e la caduta della ricorrente, considerando che la situazione dei luoghi e l'orario diurno avrebbero dovuto indurre la stessa ad evitare la caduta.
Per queste ragioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

*Fonte: dirittoegiustizia.it

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