Concessione di credito agevolato alle imprese in crisi e responsabilità degli operatori bancari

14 Settembre 2020

Come è noto, a seguito dell'attuale crisi economico–finanziaria causata dalla pandemia Covid-19 il legislatore italiano ha approvato numerosi interventi di sostegno alle imprese con sede in Italia per garantire alle stessa la necessaria liquidità per far fronte alle prime improrogabili esigenze.
Premessa

Come è noto, a seguito dell'attuale crisi economico–finanziaria causata dalla pandemia Covid-19 il legislatore italiano ha approvato numerosi interventi di sostegno alle imprese con sede in Italia per garantire alle stessa la necessaria liquidità per far fronte alle prime improrogabili esigenze.

Si segnalano in particolar modo i finanziamenti garantiti ex d.l. 23 del 2020, cd. «Decreto Liquidità», convertito in L. 40 del 5 giugno 2020, il quale, per l'appunto, intende assicurare una rapida immissione di liquidità nel sistema economico attraverso la concessione di garanzie pubbliche sui prestiti erogati dalle banche e dagli intermediari finanziari, coinvolgendo in cui due operatori già attivi nel campo del rilascio delle garanzie sui prestiti all'impresa e cioè il Fondo Centrale Di Garanzia per le PMI e la Sace S.p.a..

All'entrata in vigore di tali interventi di riforma hanno fatto immediatamente seguito alcune indicazioni, provenienti tanto dalle Forze dell'Ordine e dall'Autorità Giudiziaria inquirente che da organi istituzionali (si veda la Comunicazione UIF della Banca d'Italia del 16 aprile 2020), che evidenziavano il rischio di abusi delle possibilità offerte dalle disposizioni dirette ad agevolare la continuità operativa dell'impresa. Si è sottolineata soprattutto la possibilità di condotte fraudolente tese ad ottenere il finanziamento con garanzia pubblica in mancanza o in violazione dei presupposti stabiliti dalla normativa, mediante l'alterazione o la falsificazione della documentazione necessaria ovvero in violazione delle norme che ne disciplinano l'erogazione, con conseguente sussistenza dei retai di mendacio bancario e di falso nonché fenomeni di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di indebite percezioni a danno dello Stato. Inoltre, la Banca d'Italia con la citata Comunicazione UIF del 16 aprile 2020 ha richiamato l'attenzione degli operatori bancari «alla destinazione dei flussi finanziari, specie se accompagnati da un vincolo di scopo, poiché potrebbero rintracciarsi sospetti di malversazioni a danno dello Stato e attività distrattive collegate anche a reati societari e fallimentari. In tale ambito, vanno valorizzate le procedure per il controllo dei flussi finanziari verso Paesi che presentano elevati rischi di riciclaggio».

Da qui la domanda che quanti operano nel settore bancario si sono, con comprensibile timore, posti ovvero quali sono i limiti della possibile responsabilità penali per gli operatori bancari che provvedono all'erogazione dei prestiti agevolati o che comunque entrano in contatto con le imprese che chiedono l'accesso a tali benefici e le agevolano nella istruzione della relativa documentazione.

I reati connessi alla concessione ed ottenimento del credito garantito

Prima di rispondere al quesito che ha chiuso il paragrafo precedente è il caso di individuare quali sono i delitti che possono essere commessi in caso di accesso alla procedura di credito garantito.

In proposito, questi reati possono essere suddivisi in due categorie. Da un lato, vanno considerati gli illeciti connessi alla fase di erogazione del credito ed in tale ambito vanno fatti rientrare il delitto di mendacio bancario di cui all'art. 137 T.U.B., i delitti di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter c.p. e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640-bis c.p. (anche se in relazione a questi due illeciti possono sorgere qualche perplessità in ordine alla natura pubblicistica dell'ente creditizio che eroga la prestazione) e soprattutto il reato di falso di cui agli artt. 483 c.p. e 76 co. 3 d.p.r. 445/2000. A quest'ultimo proposito, va ricordato che con il citato decreto Liquidità si è previsto il ricorso allo strumento dell'autocertificazione resa ai sensi dell'art. 47 d.p.r. 445/2000 nell'ambito della procedura per la concessione della garanzia ed eventuali falsità indicate in tale documento da parte del redattore del medesimo lo espongono alla sanzione di cui all'art. 483 c.p..

Con riferimento alla fase di erogazione del credito, invece, si ipotizzare la sussistenza dei reati di malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.), appropriazione indebita (art. 646 c.p.) e bancarotta patrimoniale fraudolenta o semplice (artt. 216, comma 1 n. 1, 217, comma 1 n. 3 e 4, 223, comma 1, l.fall., reati tutti ricompresi anche nel Codice della crisi agli artt. 322, 323 e 329). In tutte queste ipotesi, in sostanza, si tratta di reprimere, in forme e con severità diversa, le varie possibili frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche dallo scopo tipico individuato dal precetto che autorizza l'erogazione, uno scopo di interesse generale che risulterebbe vanificato ove il vincolo di destinazione venisse eluso.

La responsabilità degli operatori bancari per i reati antecedenti l'erogazione del credito

Nonostante i timori che molti hanno paventato circa le responsabilità penali che potrebbero insorgere in capo agli operatori bancari a seguito delle agevolazioni creditizie introdotte per il dopo Covid, ci pare che gli spazi per l'intervento del diritto penale in quest'ambito siano, invece, decisamente ridotti e, come vedremo, non siano riconducibili agli illeciti che si sono indicati nel paragrafo precedente.

Con riferimento alla fase di erogazione del credito – momento apparentemente più “pericoloso” per i funzionari degli istituti di credito rispetto alla fase successiva di utilizzo delle somme corrisposte – ci pare che (a prescindere dalle ipotesi di concorso consapevole con la condotta criminale dell'imprenditore, di cui si dirà in seguito) di un solo illecito possano essere chiamati a rispondere gli operatori bancari e cioè il delitto di mendacio bancario di cui all'art. 137 del Testo Unico Bancario. Questa disposizione prevede in realtà due figure di reato, una (irrilevante ai fini del nostro discorso) che riguarda il privato, il cliente della banca che, al fine di ottenere la concessione di un credito o di mutare le condizioni alle quali un credito è stato concesso, "fornisce dolosamente ad una banca notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria delle aziende interessate alla concessione del credito".

Di interesse è invece la previsione, presente nella medesima previsione, che richiama la condotta di quanti svolgono funzioni di amministrazione o direzione, ovvero si trovino alle dipendenze dell'ente finanziatore, i quali, al fine di concedere o far concedere credito, di mutare le condizioni alle quali il credito è stato concesso ovvero di evitare la revoca del credito concesso, "consapevolmente omettono di segnalare dati o notizie di cui sono a conoscenza o utilizzano nella fase istruttoria notizie o dati falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria del richiedente il fido". La sanzione per questo reato, di natura contravvenzionale, è l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda fino a 10.000 euro.

Questa fattispecie potrebbe venire in rilievo nel caso in cui il funzionario della banca che si occupa dell'istruttoria, pur sapendo che l'impresa era in “difficoltà” prima del 31 dicembre 2019, lo nasconda in sede di presentazione della domanda di garanzia, così da consentirne la concessione e, di conseguenza, far sì che la banca eroghi il finanziamento

oppure nel caso in cui, in sede di trasmissione a SACE del report trimestrale, il funzionario, al fine di evitare il rischio per l'impresa che il finanziamento venga revocato, ometta di segnalare informazioni che gli siano state comunicate dall'impresa da cui si evince la violazione degli impegni circa la destinazione del finanziamento, la gestione dei livelli occupazionali attraverso accordi sindacali, la rinuncia alla distribuzione dei dividendi, ecc..

Al di là di questa fattispecie di reato non riusciamo ad intravedere ulteriori profili di responsabilità in capo all'operatore bancario in relazione alla concessione indebita di debiti agevolati ad imprese che lo richiedono. Beninteso, se il funzionario dell'istituto di credito è consapevole dell'intenzioni delittuose e della condotta fraudolenta posta in essere dal privato (ad esempio, accetti la documentazione falsa presentatagli da questi, consapevole dei mendaci ivi contenuti) egli ne risponderà ai sensi dell'art. 110 c.p., e quindi sarà responsabile, unitamente al cliente della banca, dei diversi reati che si sono sopra indicati; diversamente, in mancanza cioè di tale intenzionalità delittuosa, non vediamo quali ulteriori fronti di responsabilità potrebbero aprirsi in capo al funzionario.

In particolare, riteniamo sia da escludere che egli sia titolare, con riferimento all'attività di erogazione del credito, di una posizione di garanzia ex art. 48 c.p. ovvero escludiamo che egli abbia l'obbligo di impedire che il privato commetta un qualche reato con riferimento all'attività di ottenimento dei crediti agevolati.

A questa conclusione perveniamo sulla base di due considerazioni. In primo luogo, l'art. 1-bis comma 5 d.l. Liquidità, stabilisce che «fermi restando gli obblighi di segnalazione [in tema di riciclaggio]…, per la verifica degli elementi attestati dalla dichiarazione sostitutiva prevista dal presente articolo il soggetto che eroga il finanziamento non è tenuto a svolgere accertamenti ulteriori rispetto alla verifica formale di quanto dichiarato. Le disposizioni del presente comma si applicano anche alle dichiarazioni sostitutive allegate alle richieste di finanziamento e di garanzia». Ciò significa dunque che è il privato l'unico responsabile di eventuali falsità e frodi commesse nell'istruzione della prativa intesa ad ottenere il credito agevolato – salvo, come detto, l'ipotesi di un concorso criminoso, cioè di una compartecipazione attiva da parte dell'operatore del credito: si tratta di una chiara indicazione del legislatore, che non può essere superata in via interpretativa.

In secondo luogo, non può essere sottaciuta la circostanza che il decreto Liquidità, nel prevedere una garanzia dello Stato con riferimento ai finanziamenti erogati ad aziende in difficoltà economica, limita la portata di tale garanzia all'80%, facendo gravare il rischio residuo in capo alle banche. Su questa decisione del legislatore, molto si è detto e numerose sono state le considerazioni critiche formulate in proposito; tuttavia, ci pare che a tale scelta possa attribuirsi un significato rilevante anche in relazione a quanto si va dicendo.

A nostro parere, infatti, la copertura solo parziale del rischio di insolvenza, con un residuo di rischio in capo all'istituto di credito che eroga il prestito, è indice del fatto che il Parlamento ha inteso attribuire alle banche sì un ruolo di controllo circa il merito del credito, ma ciò ha fatto non prevedendo una sanzione penale per il funzionario bancario che concede il prestito al di fuori delle condizioni previste, bensì facendo gravare sulla singola banca il rischio di insolvenza. Detto altrimenti, gli istituti di credito, in caso di inadeguata valutazione dell'opportunità di concedere il credito, troveranno la loro sanzione non nella punizione in sede penale di quanti abbiano dato parere favorevole all'erogazione, quanto nella mancata restituzione di parte del prestito erogato, di modo che la valutazione (e l'approfondimento della stessa) che gli operatori creditizi riterranno opportuno fare in ordine alla veridicità del contenuto dell'autodichiarazione prevista dal citato art. 1-bis comma 5 d.l. Liquidità non dipende dalla presenza di una fattispecie incriminatrice che sanziona concessione creditizie frettolose ma deriva dalla circostanza che la banca che sbaglia nella concessione del prestito sarà chiamata in prima persona a sopportarne, sia pure in parte, la successiva insolvenza.

La responsabilità degli operatori bancari per i reati inerenti l'utilizzo delle somme concesse a credito

Ancora minori ci paiono essere i rischi di una responsabilità penale degli operatori bancari con riferimento alla fase successiva all'erogazione del credito, attinente cioè alle modalità con cui le somme erogate, il cui rimborso è (parzialmente, come si è visto) garantito dallo Stato, sono di fatto utilizzate dall'impresa che le ha ricevute.

Fatti salvi, come già detto in precedenza, i casi di un concorso criminoso fra funzionario e cliente dell'istituto di credito, per cui il primo ha deciso per la corresponsione delle somme nella piena consapevolezza – circostanza questa, peraltro, assai difficilmente dimostrabili in giudizio – che il secondo le avrebbe utilizzato in maniera difforme rispetto alle indicazioni del legislatore, in ogni altra ipotesi di violazione da parte del debitore dei vincoli di scopo per il cui perseguimento era stato rilasciato il prestito non vediamo su che base potrebbe fondarsi una affermazione di responsabilità (anche) del funzionario o dirigente dell'istituto di credito che ha deliberato l'erogazione.

L'utilizzo delle somme consegnate all'imprenditore infatti si colloca in una fase in cui ogni rapporto fra istituto di credito ed impresa è cessato e la decisione circa la destinazione dei contributi è di pertinenza esclusiva dell'azienda, sulla cui decisione davvero non si vede in che modo potrebbe influire la banca, sui cui dirigente dunque non può gravare alcuna posizione di garanzia né alcun obbligo di impedire alcuni degli eventi delittuosi che si sono sopra indicati.

Il vero rischio per i funzionari bancari: la bancarotta preferenziale

Le precedenti affermazioni relative alla responsabilità degli operatori bancari per reati connessi all'utilizzo delle somme concesse ai privati sulla scorta del cd. Decreto Liquidità vanno però corrette con riferimento ad un profilo. Se infatti pare indiscutibile che nessun dipendente dell'istituto di credito possa essere chiamato a rispondere degli illeciti dell'imprenditore in relazione alle modalità con cui questi dispone delle somme erogate a condizioni di favore, è altresì vero che tale affermazione non vale quando l'utilizzo di tali somme non risponde ai canoni ed ai presupposti indicati nel d.l. 23 del 2020 ma non perché va a soddisfare esigenze non meritevoli di protezione facenti capo al debitore, bens' perché viene destinato a ripianare debiti che costui aveva in precedenza nei confronti dell'istituto di credito.

Scendendo nel concreto, è facilmente ipotizzabile che l'imprenditore che voglia far ricorso alle agevolazioni del decreto Liquidità si rivolga ad un istituto di credito di cui è già cliente e con cui ha rapporti di finanziamento; parimenti, è assolutamente probabile che lo stesso imprenditore abbia debiti nei confronti della suddetta banca ed anzi, specie dopo la recente pandemia, questi debiti si siano tramutati in sofferenze ed i relativi crediti siano – se non rientrati a far parte dei cd non performing loans – di dubbia esigibilità. Ecco, in tali circostanze, gli operatori ed i funzionari degli istituti di credito devono “non cadere nella tentazione” di richiedere all'imprenditore di utilizzare (anche solo parte del)le somme ricevute ai sensi del d.l. n. 23 del 2020 per rientrare dall'esposizione nei confronti della banca: un tale comportamento, infatti, potrebbe integrare – non i di versi reati che si sono sopra indicati e che riguardano condotte tenute in via esclusiva dell'imprenditore e nell'esclusivo interesse di quest'ultimo – ma un'ipotesi di estorsione ex art. 629 c.p. – quando la banca sottoponga il debitore ad una drastica alternativa: se vuoi godere delle agevolazioni creditizie promesse dal Governo devi restituirmi parte delle somme che come istituto di credito ti abbiamo già erogato in precedenza – ovvero, quando vi sia un accordo fra banca ed imprenditore (ed una forma di coazione ai danni di quest'ultimo), una responsabilità nel delitto di bancarotta preferenziale ex art. 216, comma 3, R.D. n. 267 del 1942 (nel Codice della crisi, cfr. art. 322, comma 3) laddove un domani l'impresa cui il prestito è rilasciato venga dichiarata fallita.

Se infatti è vero che il creditore favorito o indebitamente avvantaggiato è figura non indicata nella norma incriminatrice come soggetto attivo del reato, ruolo in cui la disposizione colloca solo il debitore, la possibilità di un concorso fra i due soggetti è ammessa sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza ed è stata anche presa in considerazione proprio con riferimento alla prassi adottata da alcuni istituti bancari nei confronti delle imprese in crisi di condizionare la continuazione dell'appoggio creditizio ad un parziale rientro o l'estinzione dei debiti a breve mediante le somme derivanti da un nuovo finanziamento (STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, in Fall., 1985, 305; MARINUCCI, Tendenze del diritto penale bancario e bancarotta preferenziale, in La responsabilità penale degli operatori bancari, a cura di Romano, Bologna, 1980, 6; CONTI, Diritto penale commerciale, Torino, 1980, 335).

In proposito, la giurisprudenza e la maggioranza degli autori sostengono che il silenzio del legislatore circa la responsabilità del creditore favorito in caso di pagamento preferenziale non è espressione di una volontà di protezione del soggetto beneficiato dall'adempimento, il quale dunque può ben rispondere del reato in parola qualora abbia determinato, anche senza coartarne la volontà, il debitore al pagamento preferenziale, condividendone il dolo specifico, con la precisazione che la sussistenza di tale elemento soggettivo in capo al creditore presuppone solo che lo stesso ritenga irrimediabile la situazione di crisi in cui versa il debitore (Cass., sez. V, 27 gennaio 2016, n. 3564, nel senso che in caso di responsabilità penale del creditore favorito, il profitto del reato di bancarotta preferenziale andava rinvenuto nella somma di denaro che il creditore preferito viene ad ottenere a seguito del pagamento illecito; Cass., sez. I, 16 agosto 2005, n. 16957).

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