L'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori

Federico Piccione
22 Settembre 2020

La funzione organizzativa rientra nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà. La predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l'oggetto di un obbligo a contenuto specifico ma, al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto...
Massima

La funzione organizzativa rientra nel più vasto ambito della gestione sociale e deve necessariamente essere esercitata impiegando un insopprimibile margine di libertà. La predisposizione di un assetto organizzativo non costituisce l'oggetto di un obbligo a contenuto specifico ma, al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell'impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere. In definitiva, la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità.

Il caso
Le questioni giuridiche

L'ordinanza in esame ha il pregio di essere la prima - quanto meno nel panorama giurisprudenziale edito - ad essersi occupata dell'applicabilità della c.d. Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori (vale a dire a quell'ambito della gestione sociale che attiene alla struttura organizzativa della società, e non all'attività economica svolta dalla stessa).

Il tema è di particolare attualità anche alla luce del novellato art. 2086 c.c., che ha conferito natura transtipica al dovere di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura dell'impresa e alle sue dimensioni, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale (detto dovere era originariamente previsto - quanto meno da un punto di vista strettamente letterale - a carico dei consiglieri delegati delle sole S.p.A., ed è attualmente gravante sugli amministratori di tutte le imprese operanti “in forma societaria o collettiva” (prima dell'entrata in vigore degli artt. 375 e 377 del D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 - c.d. Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza - e della conseguente modifica della lettera dell'art. 2086 c.c., affermavano il carattere transtipico dell'obbligo ex art. 2381 c.c. O. Cagnasso, Gli assetti adeguati nella S.r.l., in NDS, 2014, 8; P. Ferro-Luzzi, Riflessioni in tema di controllo, in L.A. Bianchi - F. Ghezzi - M. Notari (a cura di), Diritto, mercato ed etica: dopo la crisi, Milano, 2010, 314; M. Stella Richter jr, Il comitato controllo e rischi, già comitato per il controllo interno, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2012, 60)).

Il quadro normativo vigente, pertanto, pone il tema della riconducibilità dell'eventuale violazione degli obblighi ex art. 2086 c.c. all'interno del “safe harbour” della Business Judgement Rule, principio di origine statunitense [cfr. Aronson v. Lewis, 473 A.2d 805: “It is a presumption that in making business decision the directors of a corporation acted on an informed basis, in good faith and in the honest belief that the action taken was in the best interest of the company. Absent an abuse of discretion, that judgment will be respected by the courts”) che costituisce ius receptum nei principali ordinamenti giuridici mondiali (in Italia, l'operatività della Business Judgement Rule è stata affermata per la prima volta da Cass., 12 novembre 1965, n. 2359, in Foro pad., 1965, I, 1820, secondo cui “il giudice investito dell'esame di un'azione sociale di responsabilità non può sindacare il merito degli atti o dei fatti compiuti dagli amministratori e dai sindaci nell'esercizio del loro ufficio (…) poiché, in tal modo, sostituirebbe ‘ex post' il proprio apprezzamento soggettivo a quello espresso o attuato dall'organo all'uopo legittimato”. A livello mondiale, la Business Judgement Rule è stata recepita in via giurisprudenziale (Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Lituania, Lussemburgo, Regno Unito, Slovenia, Svezia, Ungheria) o codificata nella normativa primaria (Australia, Austria, Croazia, Germania, Grecia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Spagna)].

Osservazioni

La Business Judgement Rule.

La Business Judgement Rule prevede che, in sede di accertamento della responsabilità degli amministratori, il giudice non possa sindacare il merito (vale a dire la convenienza, l'opportunità, la profittabilità e la remuneratività) delle scelte gestorie, ma debba “limitarsi” a verificare la corretta procedimentalizzazione del processo decisionale seguito dagli amministratori (“L'obbligo di amministrare diligentemente l'impresa sociale incide sul procedimento di elaborazione della scelta gestionale piuttosto che sulla scelta dell'atto gestorio in” (T. Tomasi, sub art. 2392, in A. Maffei Alberti (diretto da), Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2017, 777)), i.e. (i) l'adozione, da parte di questi ultimi, delle cautele, verifiche e informazioni di volta in volta richieste dalle singole scelte (cfr. artt. 2381, comma 6 e 2392, comma 1, c.c.), nonché (ii) la disclosure all'organo di gestione e all'organo di controllodi eventuali conflitti di interesse degli amministratori stessi, per conto proprio o di terzi (cfr. art. 2391, co. 1, c.c.).

Ove gli amministratori abbiano seguito detto percorso decisorio, essi non saranno responsabili delle proprie scelte gestorie (neppure nei casi in cui queste siano erronee o inopportune e abbiano danneggiato la società), salva la manifesta irrazionalità delle stesse (sul tema della ragionevolezza delle scelte gestorie, cfr. Cass., 22 giugno 2017, n. 15470, in Soc., 2017, 1040, secondo cui: “In tema di responsabilità degli amministratori, la regola dell'insindacabilità nel merito delle scelte gestionali da essi operate (…) trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza delle stesse nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione contestata”. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Bologna, 14 gennaio 2015, in Foro pad., 2015, 463; Trib. Milano, 2 marzo 1995, in Soc., 1996, 57; Trib. Milano, 26 giugno 1989, in Giur. Comm., 1990, II, 122. In dottrina, cfr. P. Montalenti, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. Comm., 2018, I, 62; B. Quatraro - L.G. Picone, La responsabilità di amministratori, sindaci, direttori generali e liquidatori di società, Milano, 1998, I, 233. Il principio della Business Judgement Rule è stato oggetto di numerose elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali. Nella giurisprudenza di legittimità, cfr. Cass., 4 luglio 2018, n. 17494, in www.dirittobancario.it (con nota di M. Sclopis, Il principio della c.d. business judgement rule quale criterio di accertamento della responsabilità degli amministratori di una società di capitali); Cass., 22 giugno 2017, n. 15470, cit.; Cass., 8 settembre 2016, n. 17761, in DeJure; Cass., 31 agosto 2016, n. 17441, in Giur. It., 2017, 386 (con nota di O. Cagnasso - F. Riganti, L'obbligo di agire in modo informato a carico degli amministratori deleganti); Cass., 1° giugno 2016, n. 11395; Cass., 19 marzo 2015, n. 5522; Cass., 2 febbraio 2015, n. 1783, in Soc., 2015, 1317 (con nota di L. Lopez, Discrezionalità degli amministratori di S.p.A., diligenza e dovere di agire in modo informato); Cass., 27 dicembre 2013, n. 28669, in Giur. It., 2014, 2208 (con nota di C. Dionisio, Business Judgment Rule tra vecchio e nuovo diritto); Cass., 12 febbraio 2013, n. 3409, in Soc., 2013, 461; Cass., 12 agosto 2009, n. 18231, in Diritto & giustizia, 2009; Cass., 24 agosto 2004, n. 16707, in Giur. It., 2005, 72; Cass., 23 marzo 2004, n. 5718, in Riv. not., 2004, II, 1571 (con nota di M. Chirilli, La responsabilità degli amministratori di S.p.A. tra obblighi a contenuto specifico e obblighi a contenuto generico); Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, in Soc., 1997, 1389; Cass., 22 giugno 1990, n. 6278, in Giust. civ., 1990, I, 2265; Cass., 16 gennaio 1982, n. 280, in Fall., 1982, II, 664; Cass., 27 luglio 1978, n. 3768, in Giur. Comm., 1980, II, 904;Cass., 6 marzo 1970, n. 558, in Giust. civ., 1971, I, 933. Nella giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Roma, 20 febbraio 2017, in www.dirittobancario.it (con nota di M. Sclopis, Il dovere di diligenza come parametro necessario per valutare la responsabilità degli amministratori); Trib. Milano, 14 dicembre 2016; Trib. Prato, 8 novembre 2016; Trib. Milano, 11 ottobre 2016, in www.dirittobancario.it (con nota di A. Paccoi, Ricorso ex art. 2409 c.c. ed insindacabilità delle scelte gestorie degli amministratori (c.d. business judgment rule)); Trib. Milano, 5 maggio 2016; Trib. Genova, 23 febbraio 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma, 28 settembre 2015, in www.dirittobancario.it (con nota di M. Colombo, La responsabilità degli amministratori di società di capitali e la c.d. business judgement rule); Trib. Ascoli Piceno, 22 giugno 2015; Trib. Parma, 29 marzo 2013, in Giur. Comm., 2014, II, 113 (con nota di M. Del Linz, Il nuovo caso Parmalat: considerazioni a margine di un decreto “eccessivamente creativo”); Trib. Lucca, 1° giugno 2012, in DeJure; Trib. Milano, 24 agosto 2011, in Soc., 2012, 493 (con nota di S. Cassani, Responsabilità degli amministratori ex art. 2392 c.c. e onere della prova); App. Milano, 29 giugno 2011, in Soc., 2012, 1099; Trib. Napoli, 12 aprile 2011, in DeJure; Trib. Milano, 14 gennaio 2010, in Giur. Comm., 2010, II, 1178 (con nota di M. Bodellini, Ancora sui criteri di accertamento e di valutazione della condotta degli amministratori); Trib. Palermo, 20 febbraio 2009, in Rep. Giur. it., 2009, 396; Trib. Napoli, 20 giugno 2008, in Giur. Comm., 2009, II, 1184 (con nota di F. Di Girolamo, Regola di giudizio imprenditoriale e conto corrente ordinario, con una premessa sull'oggetto sociale); Trib. Milano, 3 giugno 2008, in Giust. Milano, 2008, 7-8, 54; Trib. Palermo, 13 marzo 2008, in Giur. Comm., 2010, II, 121; Trib. Milano, 2 maggio 2007, in Corr. mer., 2007, 1116; Trib. Reggio Emilia, 23 febbraio 2006, in Dir. e prat. soc., 2006, 23, 64; Trib. Marsala, 23 maggio 2005, in Soc., 2007, 83; Trib. Milano, 20 marzo 2003, in Soc., 2003, 1268; App. Milano, 30 marzo 2001, in Giur. Comm., 2002, II, 200; Trib. Milano, 10 febbraio 2000, in Giur. Comm., 2001, II, 326; Trib. Parma, 3 novembre 1999, in Nuova giur. civ. comm., 2001, I, 220; Trib. Napoli, 17 maggio 1999, in Soc., 1999, 1373; Trib. Trieste, 14 novembre 1992, in Soc., 1993, 222; Trib. Milano, 14 settembre 1992, in Soc., 1993, 511. In dottrina, cfr. C. Angelici, Interesse sociale e “business judgement rule”, in Riv. dir. comm., 2012, I, 573; Id., Diligentia quam in suis e business judgment rule, in Riv. dir. comm., 2006, I, 675; F. Bonelli, Gli amministratori di S.p.A. a dieci anni dalla riforma del 2003, Torino, 2013, 115; Id., Gli amministratori di S.p.A. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 183; Id., La responsabilità degli amministratori di società per azioni, Milano, 1992, 61; Id., Gli amministratori di società per azioni; Milano, 1985, 166; G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2015, 382; D. Cesiano, L'applicazione della “Business Judgment Rule” nella giurisprudenza italiana, in Giur. Comm., 2013, II, 941; M. Cordopatri, La business judgement rule in Italia e il privilegio amministrativo: recenti correttivi negli USA e in Europa, in Giur. Comm., 2010, I, 129; G. Mollo, La “Business Judgment Rule” tra tenuta giurisprudenziale e vantaggi di una cornice normativa per l'ordinamento italiano, in Riv. dir. impr., 2017, 133; A. Nigro, “Principio” di ragionevolezza e regime degli obblighi e della responsabilità degli amministratori di S.p.A., in Giur. Comm., 2013, I, 457; R. Rordorf, La responsabilità civile degli amministratori di S.p.A. sotto la lente della giurisprudenza, in Soc., 2008, 1195; D. Semeghini, Il dibattito statunitense sulla business judgment rule: spunti per una rivisitazione del tema, in Riv. dir. soc., 2013, 208; F. Tallia, Il dovere di diligenza e la business judgement rule, in NDS, 2013, 3, 14; A. Tina, Insindacabilità nel merito delle scelte gestionali degli amministratori e rinuncia all'azione sociale di responsabilità, in Giur. Comm., 2001, II, 334).

L'esigenza di circoscrivere il sindacato giurisdizionale al quomodo delle scelte gestorie, escludendo dal perimetro della revisione giudiziaria il merito delle stesse, origina - oltre che da un deficit di competenza dei Tribunali (i Tribunali, generalmente, non hanno le competenze per poter sindacare il merito delle decisioni degli amministratori. Sul tema, cfr. G.G. Peruzzo, Business Judgment Rule e responsabilità degli amministratori di S.p.A., Roma, 2016, 60; R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino, 1974, 185) - dalla necessità di non disincentivare l'assunzione dei rischi necessari a valorizzare il patrimonio sociale (sul tema, cfr. A. Tina, L'esonero da responsabilità degli amministratori di S.p.A., Milano, 2008, 52), permettendo così agli amministratori di gestire la società con una certa discrezionalità imprenditoriale (sulla ratio della Business Judgement Rule cfr. S. Alvaro - E. Cappariello - V. Gentile - E.R. Iannacone - G. Mollo - S. Nocella - M. Ventoruzzo, Business judgement rule e mercati finanziari, Roma, 2016; F. Ghezzi, I doveri fiduciari degli amministratori nei “Principles of Corporate Governance”, in Riv. soc., 1996, 488; P.M. Sanfilippo, Gli amministratori, in M. Cian (a cura di), Diritto commerciale, Torino, 2018, 491).

Detta discrezionalità imprenditoriale è stata invocata nei contesti più disparati, dalle appostazioni di bilancio compiute dagli amministratori in una situazione di “perdita rilevante” ex art. 2447 c.c. (sul tema, cfr. Cass., 23 giugno 2009, n. 17033, in Fall., 2009, 565) alla rettifica del valore dei crediti deteriorati (sul tema, cfr. Trib. Bologna, 17 dicembre 2018, in www.dirittobancario.it (con nota di M. Sagliocca - G. Alessandro, Appunti sull'applicazione della business judgement rule in materia di crediti deteriorati)), a conferma dell'ampio spettro operativo del principio in esame. Ai fini della presente indagine, procederemo a verificare l'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori, tenuto conto delle elaborazioni dottrinali succedutesi sino alla pubblicazione dell'ordinanza in commento e dei principi di diritto espressi da quest'ultima.

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L'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori: orientamenti della dottrina italiana.

Il tema dell'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori è stato oggetto di un vivace dibattito dottrinale.

A tal proposito, si registrano sostanzialmente (si sono espressi in senso dubitativo in merito all'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori N. Abriani, Il modello di prevenzione dei reati nel sistema dei controlli societari, in A. Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Diritto penale dell'economia, Torino, 2016, 2302; M. De Mari, Gli assetti organizzativi societari, in M. Irrera (diretto da), Assetti adeguati e modelli organizzativi, Bologna, 2016, 30; G. Meruzzi, L'adeguatezza degli assetti, in M. Irrera (diretto da), cit., 64) due tesi contrapposte:

(i) quella favorevoleall'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori ritiene che anche tali scelte rientrino nella gestione sociale e che gli obblighi degli amministratori in materia, essendo “governati” dalla clausola generale di adeguatezza ex art. 2381 c.c. (e ora anche ex art. 2086 c.c.), abbiano un contenuto non predeterminato. Di riflesso, gli amministratori hanno un margine di discrezionalità nell'adempimento di tali obblighi (detta tesi è stata sostenuta da L. Boggio, L'organizzazione e il controllo della gestione finanziaria nei gruppi, in M. Campobasso - V. Cariello - V. Di Cataldo - F. Guerrera - A. Sciarrone Alibrandi (diretto da), Società, banche e crisi d'impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, Torino, 2014, II, 1500; V. Calandra Buonaura, L'amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, in R. Costi (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Torino, 2019, 300; G. Ferrarini, Funzione del consiglio di amministrazione, ruolo degli indipendenti e doveri fiduciari, in C. Di Noia - M. Bianchini (a cura di), I controlli societari, Milano, 2010, 50; I. Kutufà, Adeguatezza degli assetti e responsabilità gestoria, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2010, 725; A.M. Luciano, Adeguatezza organizzativa e funzioni aziendali di controllo nelle società bancarie e non, in Riv. dir. comm., 2017, I, 362; M. Maugeri, Note in tema di doveri degli amministratori nel governo del rischio di impresa (non bancaria), in Rivista ODC, 2014, 12);

(ii) quella contraria all'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori ritiene che tali scelte non possano essere qualificate come gestorie, non condividendo l'oggettodi quest'ultime (ossia l'attività economica svolta dall'impresa). Pertanto, i giudici - sindacando l'osservanza, da parte degli amministratori, della clausola di adeguatezza degli assetti - possono compiere uno scrutinio più stringente rispetto a quello consentito dalla Business Judgement Rule (detta tesi è stata sostenuta da C. Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business judgment rule, in Giur. Comm., 2016, I, 643; F. Brizzi, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, 362; D. Galletti, L'insorgere della crisi e il dover essere nel diritto societario. Obblighi di comportamento degli organi sociali in caso di insolvenza, in www.ilfallimentarista.it, 27 settembre 2012, 25; P. Montalenti, La gestione dell'impresa di fronte alla crisi fra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 828; M. Mozzarelli, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell'attività imprenditoriale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, cit., 740; R. Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell'impresa societaria, in Giur. Comm., 2014, I, 304; M. Spiotta, La responsabilità, in M. Irrera (diretto da), Diritto del governo delle imprese, Torino, 2016, 310).

Tali orientamenti sono stati accuratamente analizzati in un recente contributo dottrinale (L. Benedetti, L'applicabilità della Business Judgment Rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 413) che ha aderito alla tesi favorevole all'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori, sulla base di tre ordini di argomentazioni.

Segnatamente:

(i) il primo ordine di argomentazioni attiene alla distinzione tra obblighi a contenuto generico (imposti attraverso clausole generali) e obblighi a contenuto specifico (imposti attraverso puntuali previsioni normative o statutarie) (distinzione proposta da F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in G.E. Colombo - G.B. Portale (a cura di), Trattato delle società per azioni, Torino, 1991, 323). La Business Judgement Rule trova applicazione solo con riguardo ai primi, i quali, non avendo un contenuto determinato aprioristicamente, lasciano un inevitabile margine di discrezionalità alle scelte degli amministratori.

In tema di obblighi ex artt. 2086 e 2381 c.c., l'Autore distingue tra:

(a) l'obbligo di predisporre gli assetti interni (dovere che l'Autore definisce “il “se” della predisposizione degli assetti”). Tale obbligo, essendo imposto da puntuali norme di legge, è a contenuto specifico: rispetto all'adempimento del medesimo, pertanto, non sussiste alcun margine di discrezionalità per gli amministratori e, in caso di mancata predisposizione degli assetti, non opera la Business Judgement Rule (L. Benedetti, cit., 448. L'Autore afferma che, in caso di mancata predisposizione degli assetti, “la business judgment rule non può trovare applicazione, in quanto (…) essa è inconferente a fronte della violazione di una prescrizione normativa puntuale, che non lascia alcun margine di discrezionalità agli amministratori, qual è quella che impone di curare gli assetti”); e

(b) l'obbligo di predisporre assetti adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale (dovere che l'Autore definisce “il “come” predisporre gli assetti”). Tale obbligo, essendo costruito mediante il rinvio alla clausola generale dell'adeguatezza (sul tema, cfr. M. Irrera, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni fra vecchie e nuove clausole generali, in Riv. dir. soc., 2011, 358; M. Libertini, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto indeterminato: una proposta di distinzione, in Riv. crit. dir. priv., 2011, 345), clausola “più simile a uno standard che a una rule” (L. Benedetti, cit., 425. L'Autore afferma che “il dovere “specifico” di imprimere un assetto organizzativo “adeguato” alla struttura aziendale costituisce pur sempre espressione (…) di quei “principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale” (…) che permeano di sé in realtà l'intero sistema del diritto dell'impresa. Così opinando, infatti, l'adempimento del dovere di dotare la società di assetti adeguati dovrebbe beneficiare dello stesso regime disciplinare cui è soggetta ogni altra decisione imprenditoriale degli amministratori”. Attribuisce la qualifica di standard al dovere di curare l'adeguatezza degli assetti anche M. Miola, Profili del finanziamento dell'impresa in crisi tra finalità di risanamento e doveri gestori, in Riv. dir. civ., 2014, 1089), è a contenuto generico (sul tema, cfr. P. Montalenti, cit., 62, secondo cui “le nuove clausole generali devono essere valutate in relazione a parametri tecnici che sono fortemente variabili in relazione alla tipologia, alle dimensioni, alle caratteristiche dell'impresa e, soprattutto, suscettibili di margini ampi di discrezionalità (…) gli assetti costituiscono un apparato tecnico che non può essere coartato in schemi precostituiti aprioristicamente definibili come adeguati. Il range di adeguatezza è ampio, flessibile e variabile in relazione ad una molteplicità complessa di fattori”): rispetto all'adempimento del medesimo, pertanto, sussiste un margine di discrezionalità per gli amministratori e, in caso di predisposizione di assetti inadeguati, opera la Business Judgement Rule (L. Benedetti, cit., 449. L'Autore afferma che, in caso di predisposizione di assetti inadeguati, “l'organo (…) non potrà incorrere in responsabilità per aver scelto un assetto piuttosto che un altro, nonostante abbia compiuto valutazioni erronee, purché ricorrano i presupposti della business judgment rule”);

(ii) il secondo ordine di argomentazioni attiene alla qualificazione delle scelte organizzative come scelte imprenditoriali.

Infatti:

(a) gli obblighi ex artt. 2086 e 2381 c.c. sono “espressione di quei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale che permeano di sé in realtà l'intero sistema del diritto dell'impresa” (L. Benedetti, cit., 432); e

(b) le scelte organizzative hanno tutti i tratti che caratterizzano le scelte imprenditoriali, ovvero “il carattere prognostico”, “la connessa non predeterminazione degli effetti”, “un elevato grado di complessità” e la necessità di perseguire i doveri di “contemperare i costi e i benefici inerenti [alle singole scelte, ndr] con l'ulteriore dovere di massimizzare il valore del patrimonio sociale” (L. Benedetti, cit., 433, 441). Da ciò deriva la necessità di circoscrivere la relativa responsabilità gestoria, in modo da scongiurare la possibile avversione all'assunzione del rischio d'impresa;

(iii) il terzo ordine di argomentazioni attiene alla ripartizione interorganica delle competenze e, segnatamente, alle prerogative assembleari suscettibili di incidere sulla gestione imprenditoriale (tali prerogative, ad esempio, sono previste dagli artt. 2343-bis, 2357, 2359-bis, 2361, 2390 e 2446 c.c.. Sul tema, cfr. P. Abbadessa, L'assemblea: competenza, in G.E. Colombo - G.B. Portale (diretto da), Trattato delle S.p.A., Torino, 1994, 1, 3; F. Ferrara jr - F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 536; A. Pavone La Rosa, Le attribuzioni dell'assemblea della società per azioni in ordine al compimento di atti inerenti alla gestione sociale, in Riv. soc., 1997, 1. Tali prerogative possono essere previste anche dallo statuto: è il caso, ad esempio, del disposto dell'art. 2364, co. 1, n. 5, c.c., oppure delle norme che consentono all'autonomia privata di attribuire all'organo assembleare le determinazioni inerenti alla struttura finanziaria dell'impresa (cfr. artt. 2410 c.c. e 152 l.f.)). Le delibere gestorie dell'assemblea conseguenti a dette prerogative possono assumere contenuto precettivo o autorizzativo (sul diverso valore delle delibere assembleari a seconda che esse abbiano contenuto precettivo o autorizzativo cfr. S.A. Cerrato, Il ruolo dell'assemblea nella gestione dell'impresa: il “sovrano” ha veramente abdicato?, in Riv. dir. civ., 2009, I, 142 e M. Maugeri, Considerazioni sul sistema delle competenze assembleari nelle S.p.A., in Riv. soc., 2013, 336): nel primo caso, la discrezionalità degli amministratori è confinata alla fase meramente esecutiva della delibera (potendo gli amministratori sottrarsi al compimento di quanto deliberato solo in presenza di un comprovato pericolo di danno per la società e i creditori sociali o di sopravvenute ragioni di opportunità); nel secondo caso, la discrezionalità può esplicarsi pienamente (ove l'autorizzazione sia stata concessa) o essere annullata (ove l'autorizzazione sia stata negata).

Secondo l'Autore, il fatto che l'intervento assembleare possa limitare o finanche annullare la discrezionalità degli amministratori fa sì che quest'ultima possa “esplicarsi pienamente (…) in occasione dell'assunzione di quelle decisioni che (…) riguardino materie per le quali l'ingerenza assembleare (…) nell'esercizio della funzione gestoria non è prevista né dall'ordinamento né dallo statuto”, quali, per l'appunto, le decisioni inerenti gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili dell'impresa, “ritenute espressione di un momento indefettibile e qualificante dell'azione amministrativa e, quindi, non suscettibili di essere assoggettate (…) al potere autorizzatorio assembleare” (L. Benedetti, cit., 446. Secondo l'Autore, “il dovere di curare l'adeguatezza degli assetti implica “una continua attenzione che va prodigata alla dimensione organizzativa e dunque un interessamento sollecito e costante”. Pertanto, il coinvolgimento dei soci nelle determinazioni necessarie all'attuazione di quel dovere, se ammesso, perderebbe il carattere della mera occasionalità per assumere i lineamenti di un vero e proprio concorso nell'esercizio della funzione amministrativa, in contrasto con l'intento della disciplina vigente di circoscrivere ai singoli atti degli amministratori l'intervento autorizzatorio dei soci in materia”. Sul tema, cfr. anche M. Maugeri, cit., 336, secondo cui “il potere di determinare gli assetti attiene alla dimensione organizzativa, ma il suo esercizio non può farsi dipendere dagli esiti di un previo esame assembleare se non al prezzo di violare la sfera più intima delle attribuzioni spettanti agli amministratori”).

Nel panorama dottrinale sopra tratteggiato si è opportunamente inserita l'ordinanza in commento, la quale - aderendo alla tesi favorevole all'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori - ha evidenziato quanto segue.

L'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori: i principi di diritto espressi dal Tribunale di Roma.

Nel prendere posizione in merito all'applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori, il Tribunale di Roma - dopo un breve excursus sul principio in esame e sui limiti operativi dello stesso - afferma che la predisposizione degli assetti organizzativi “non costituisce l'oggetto di un obbligo a contenuto specifico, ma al contrario, di un obbligo non predeterminato nel suo contenuto, che acquisisce concretezza solo avuto riguardo alla specificità dell'impresa esercitata e del momento in cui quella scelta organizzativa viene posta in essere” (cfr. § 3. dell'ordinanza annotata (La responsabilità degli amministratori di società di capitali. In particolare, il principio della business judgment rule applicato alle scelte organizzative degli amministratori)).

Nelle argomentazioni del Giudice capitolino, il fatto che il legislatore abbia utilizzato la clausola generale ed elastica dell'adeguatezza quale criterio di condotta al quale gli amministratori devono attenersi nell'adempimento degli obblighi ex artt. 2086 e 2381 c.c. comporta l'esistenza di uno spazio discrezionale nelle scelte organizzative dell'organo di gestione, insindacabili in sede giudiziaria (salva l'ipotesi in cui siano violati i limiti di cui supra sub § 4.1) (cfr. § 3. dell'ordinanza annotata (La responsabilità degli amministratori di società di capitali. In particolare, il principio della business judgment rule applicato alle scelte organizzative degli amministratori) nella parte in cui si afferma che “la scelta organizzativa rimane pur sempre una scelta afferente al merito gestorio, per la quale vale il criterio della insindacabilità e ciò pur sempre nella vigenza dei limiti sopra esposti e, cioè, che la scelta effettuata sia razionale (o ragionevole), non sia ab origine connotata da imprudenza tenuto conto del contesto e sia stata accompagnata dalle verifiche imposte dalla diligenza richiesta dalla natura dell'incarico”).

Ad avviso di chi scrive, il corredo motivazionale dell'ordinanza in commento è condivisibile: attesa la formulazione letterale delle disposizioni di cui agli artt. 2086 e 2381 c.c. (connotate dalla clausola elastica dell'adeguatezza), appare corretto parlare degli obblighi ivi previsti quali obblighi generici (con conseguente operatività della Business Judgement Rule); parimenti, appare corretto parlare di un dovere di predisporre assetti interni tout court, senza distinguere tra il dovere di predisporre assetti interni e il dovere di predisporli in maniera adeguata alla natura e alle dimensioni dell'impresa (anche nell'ottica finalistica imposta dal novellato art. 2086 c.c.).

Infatti, il tenore letterale dell'art. 2086 c.c. (e, seppur in misura più attenuata, anche dell'art. 2381 c.c.) evidenzia un piano di congruenza tra (i) l'obbligo di dotare l'impresa di un assetto interno (“l'imprenditore (…) ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile”), (ii) le caratteristiche “qualitative” che devono necessariamente connotare detto assetto (il quale deve essere “adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa”) e (iii) le caratteristiche “teleologiche” dello stesso (che deve essere predisposto “anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale”).

Il dato normativo suggerisce quindi una lettura unitaria del dovere in esame, che assume significato solo se letto congiuntamente al proprio oggetto (i.e. gli assetti adeguati alla relativa realtà imprenditoriale) e al proprio fine (i.e. la rilevazione tempestiva della crisi d'impresa e della perdita della continuità aziendale).

A differenza di quanto rilevato da uno dei primi commentatori dell'ordinanza annotata (cfr. F. Casarano, cit., secondo cui l'art. 2086 c.c. “esprime un nesso funzionale e finalistico tra l'adeguatezza dell'assetto organizzativo e la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nesso che induce a ritenere che la violazione di tale obbligo organizzativo non sia riconducibile alla mera inosservanza del criterio generale di diligenza, ma integri la violazione di un obbligo a contenuto specifico, come tale sottratto all'applicazione della c.d. “business judgement rule””), non sembra che tale nesso funzionale e finalistico tra l'adeguatezza dell'assetto interno e la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale qualifichi l'obbligo in esame come a contenuto specifico (e, pertanto, sottratto alla Business Judgement Rule). Il parametro dell'adeguatezza, infatti, rimane comunque connotato da un marcato canone di flessibilità e variabilità; allo stesso modo, il dato teleologico dell'art. 2086 c.c. indica solo il fine cui deve tendere l'obbligo in esame, non le modalità di concretizzazione di tale finalità.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra, l'ordinanza del Tribunale di Roma appare assolutamente opportuna per aver preso posizione su un tema divenuto (ancora più) topico alla luce del novellato art. 2086 c.c., componendo (quanto meno allo stato) il dibattito dottrinale suesposto. Occorrerà ora attendere le prossime pronunce per capire se l'orientamento adottato dai Giudici capitolini diventerà quello maggioritario o se, invece, la giurisprudenza si attesterà su posizioni diverse in tema di applicabilità della Business Judgement Rule alle scelte organizzative degli amministratori.

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