La responsabilità dei liquidatori ante 2014 non è estesa all'IVA
23 Settembre 2020
Lo ha sancito la Corte di Cassazione che, con l'ordinanza n. 19008/20, depositata il 14 settembre, ha respinto il ricorso dell'Agenzia delle Entrate. Sul punto si ricorda che l'art. 36 d.P.R. 602/1973 previgente asseriva che «La responsabilità di cui ai commi precedenti è accertata dall'Ufficio delle imposte con atto motivato da notificare ai sensi dell'articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600». L'Ufficio pertanto, per individuare questa responsabilità, così come per operare nei limiti dell'art. 2495 c.c., era chiamato a provare sia che il socio aveva ricevuto denaro o altri beni attraverso il piano di riparto, sia che si era manifestata una colpa del liquidatore ex art. 2495 c.c. e sia che il liquidatore, responsabile per l'IRES, avesse posto in essere quei comportamenti evidenziati all'interno dell'art. 36. Pertanto, la norma faceva esplicito riferimento a un atto motivato che comportava l'inevitabile conseguenza che l'Ufficio dovesse necessariamente provare l'esistenza di determinati presupposti.
Con la modifica operata per effetto del D.Lgs. n. 175/2014 i liquidatori rispondono in proprio del pagamento delle imposte, salvo che non siano in grado di dimostrare di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all'assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di aver soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità – precisa la norma – è commisurata all'importo dei crediti d'imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. È stato quindi sovvertito il quadro precedente in base al quale incombeva sull'Amministrazione finanziaria l'onere di accertare i presupposti relativi alla responsabilità del liquidatore. Tale modifica non si applica retroattivamente non essendovi alcuna ragione per derogare ai principi generali dell'ordinamento (art. 11 disp. prelim. c.c.).
Confermato dunque l'esito della CTR Campania che aveva ritenuto illegittimo l'avviso di accertamento emesso nei confronti del liquidatore di una società cancellata nel 2013 per il recupero di imposte (tra cui l'IVA) a seguito di frodi carosello. Inoltre, secondo la CTR la normativa vigente al tempo della cancellazione della società prevedeva la responsabilità di socio, liquidatori ed amministratori per i tributi iscritti a ruolo, unicamente per le imposte sui redditi non riguardando l'IVA.
Col ricorso in Cassazione l'Agenzia delle Entrate denunciava violazione e falsa applicazione dell'art. 36 d.P.R. n. 602/1973 e dell'art. 2495 c.c. ritenendo che la CTR non avesse applicato tale ultima norma, di natura generale; inoltre l'art. 36, come novellato dall'art. 28 del D.lgs. 175/2014, ha natura procedurale non implicando una nuova disciplina della responsabilità dei liquidatori.
Nel respingere il ricorso la Cassazione ricorda che una volta estinta la società contribuente, non si realizza alcuna forma di successione nei confronti del liquidatore, ma sorgono ipotesi di responsabilità nuove e fondate su differenti presupposti, ancorché implichino l'esistenza della obbligazione tributaria. In ultima analisi, quello verso l'amministratore o liquidatore è credito dell'amministrazione finanziaria non strettamente tributario, ma più che altro civilistico fondato sugli artt. 1176 e 1218 c.c. e basata sul non prioritario soddisfacimento di crediti tributari. Tale credito trova titolo autonomo rispetto all'obbligazione tributaria vera e propria che costituisce mero presupposto della responsabilità stessa (cfr. da ultimo Cass. n. 29969/19). L'Agenzia delle Entrate ha prospettato l'erroneità della pronunzia impugnata in relazione al fatto che la CTR avrebbe giustificato l'accoglimento dell'appello proposto dal liquidatore sulla base del fatto che l'accertamento si era fondato sull'art. 36 cit. e non sull'art. 2495 c.c.. Ma è ben evidente che tale censura non coglie nel segno poiché la sentenza impugnata ha correttamente escluso la legittimità dell'avviso di accertamento emesso nei confronti del liquidatore della società ed allo stesso notificato senza che fosse stato previamente accertata nei confronti della società la debenza del tributo richiesto per le asserite operazioni inesistenti. Né l'Agenzia ha in alcun modo posto a base della censura le ragioni che avrebbero dovuto giustificare l'accoglimento della stessa sotto il profilo della violazione dell'art. 2945 c.c., essendosi per converso limitata a prospettare che l'accertamento si era fondato anche su tale disposizione, senza tuttavia allegare gli elementi che avrebbero dovuto giustificare la responsabilità del professionista a tale titolo.
Tra l'altro, secondo la Cassazione la norma applicabile ratione temporis si riferiva solo alle imposte dirette e non all'IVA, cosa che è stata fatto solo con il D.Lgs. n. 175/2014).
Fonte: www.dirittoegiustizia.it |