Procedimento disciplinare, specificità della contestazione, esercizio del diritto di difesa
23 Settembre 2020
Massime
Nell'esercizio del potere disciplinare, il datore di lavoro deve individuare la condotta contestata nella sua materialità, identificando anche il tempo e il luogo del suo compimento, così da assicurare l'effettività del diritto di difesa al lavoratore interessato.
Poiché nel bilanciamento tra interesse alla segretezza delle conoscenze aziendali ed esercizio del diritto di difesa va assegnata sempre prevalenza a quest'ultimo, deve ritenersi giustificata, in quanto integrante un concorso nell'esercizio del diritto di difesa, la condotta di un lavoratore che, contravvenendo ad un divieto aziendale, ponga in essere atti finalizzati a consentire ad un collega l'esercizio di quel diritto nei confronti del datore di lavoro. Il caso
Con ricorso depositato il 12 novembre 2019, la società Alfa proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Trento che, all'esito del giudizio introdotto da Tizio avverso il licenziamento disciplinare intimatogli per asserita violazione del divieto di fotografare dispositivi, disegni tecnici e manufatti aziendali, aveva affermato la nullità del recesso datoriale, condannando la società a reintegrarlo nel posto di lavoro e a corrispondergli un'indennità risarcitoria.
Il giudice di primo grado aveva così deciso ritenendo generica ed infondata la contestazione posta a fondamento del licenziamento e, di seguito, accertando la dedotta natura ritorsiva dello stesso recesso, adottato quale illegittima reazione alle dichiarazioni testimoniali rese da Tizio nel giudizio che aveva visto contrapposta la società Alfa a Caia, anch'ella dipendente della società, nonché compagna dello stesso Tizio. Le questioni giuridiche
L'appello proposto da Alfa si è articolato in quattro diversi motivi, costituenti altrettante questioni analizzate dal giudice di secondo grado.
In primo luogo, la società ha censurato la pronuncia del tribunale nella parte in cui, data la mancanza nella contestazione dell'indicazione della data e dell'ora in cui sarebbe stato commesso il fatto, ha ritenuto che la predetta contestazione fosse generica e, dunque, contrastante col principio di specificità degli addebiti disciplinari. Secondo Alfa, infatti, tale lacuna non aveva frustrato il diritto di difesa del lavoratore, posto che dallo stato dei luoghi ritratto nelle fotografie scattate sarebbe stato possibile stabilire anche la data della condotta contestata.
In secondo luogo, Alfa si è doluta del fatto che la sentenza di primo grado, accertata la predetta genericità della contestazione, abbia dichiarato la nullità del recesso anziché applicare, vista la sussistenza di un mero vizio formale, la meno severa disciplina di cui all'art. 18 comma 6 l. n. 300/1970.
Inoltre, ed in terzo luogo, l'appellante ha censurato il fatto che il giudice di prime cure, sull'assunto che Tizio avesse scattato le immagini contestate al fine di consentire a Caia di avvalersene nel giudizio che la vedeva parte, aveva ritenuto che tale comportamento risultasse scriminato dall'esercizio del diritto di difesa. Tale diritto, secondo Alfa, sarebbe invocabile solo dal suo titolare e non da un terzo soggetto, ciò che lascerebbe impregiudicata l'illegittimità e la rilevanza disciplinare dell'azione di quest'ultimo.
Infine, la società ha dedotto la scorrettezza della ricostruzione dei fatti in base alla quale il tribunale aveva ritenuto provata la natura ritorsiva del licenziamento impugnato. Le soluzioni giuridiche
La Corte d'appello di Trento ha disatteso le doglianze della società e, con soluzioni giuridiche ispirate a precedenti del giudice di legittimità, ha respinto il ricorso.
In questo senso, esaminando la prima delle questioni sopra indicate, e sul presupposto che dal materiale fotografico in contestazione non fosse possibile, neppure in via indiretta, collocare nel tempo la condotta censurata, la Corte ha avallato la soluzione offerta dal tribunale in ordine alla genericità della contestazione. La Corte, in particolare, ha affermato che la completezza della descrizione dei comportamenti addebitati al lavoratore - condicio sine qua non del corretto esercizio del potere disciplinare – postula l'indicazione anche dei relativi profili temporali, assenti nel caso di specie. A sostegno di tale affermazione, il Collegio ha richiamato un precedente della Cassazione, nella cui motivazione viene chiarito che “la condotta contestata deve essere ben individuata nella sua materialità, ivi compreso il tempo ed il luogo del suo svolgimento” (Cass. n. 9590/2018, in motivazione), e ha dunque concluso che la lacuna presente nella lettera di contestazione formulata da Alfa fosse esiziale in quanto, in difetto di tali coordinate, Tizio, che aveva sempre negato di essere l'autore delle fotografie, si era trovato nell'impossibilità di fornire la prova di circostanze utili a stabilire che egli, nel momento in cui queste vennero scattate, si trovava in una situazione incompatibile con tale attività.
Quanto alla seconda questione, nel confermare la pronuncia del tribunale che, accertato il difetto della contestazione testé esaminato, aveva dichiarato la nullità del recesso, la Corte ha tratteggiato il percorso valutativo da compiere al fine di individuare le conseguenze dell'illegittimità del licenziamento.
Nel far ciò, la sentenza in commento - ricordato che il giudice deve, in prima battuta, accertare l'insussistenza del motivo posto alla base del licenziamento e, di seguito, valutare se questo rappresenti un'indebita reazione ad una diversa e legittima condotta del dipendente - ha chiarito che analogo iter va seguito allorché il fatto non sia insussistente ma, come nella specie, insuscettibile d'essere provato a causa di un radicale vizio della contestazione, tale da impedire di tenere conto dei fatti in essa descritti.
Peraltro, affrontando la terza questione sopra esaminata, la Corte ha spiegato che, nel caso concreto, le conclusioni sarebbero le medesime anche se si fosse in presenza di un'accurata descrizione della condotta, posto che essa non andrebbe qualificata come un comportamento illegittimo - tale da escludere l'unicità del motivo illecito richiesto, ai sensi dell'art. 1345 c.c., per la configurazione della ritorsività del licenziamento – ma, come già chiarito dal primo giudice, come un legittimo comportamento giustificato dalla scriminante dell'esercizio del diritto di difesa.
Tale valutazione in merito al comportamento di Tizio, si fonda, nella motivazione della Corte, per un verso, sul bilanciamento tra gli interessi datoriali e l'esercizio del diritto di difesa, e, per altro verso, sulla possibilità di estendere la portata scriminante di quest'ultimo anche a comportamenti tenuti da soggetti diversi dal suo titolare.
Sotto il primo profilo, la Corte ha posto in luce che, nel caso di specie, il divieto di ritrarre beni aziendali – per inciso, conoscibile e conosciuto dai dipendenti di Alfa – era finalizzato non tanto ad evitare la generica divulgazione di dati sensibili, quanto a tutelare il patrimonio della società, sicché è la protezione di tale interesse a dover essere bilanciata con il diritto di difesa in funzione del cui esercizio erano state scattate le fotografie in considerazione.
Secondo la Corte, tale bilanciamento deve concludersi assegnando prevalenza al diritto di difesa, specie quando, come nel caso concreto, l'acquisizione delle immagini non reca alcun pregiudizio all'interesse aziendale in quanto esse non sono destinate alla divulgazione ma, mediante la produzione in giudizio, all'inserimento in un contesto – il fascicolo processuale – idoneo a precluderne la conoscenza a terzi.
Sotto il secondo profilo, la pronuncia in esame ha qualificato la condotta di Tizio come “concorso nell'esercizio del diritto di difesa da parte della lavoratrice direttamente interessata, che gode della scriminante” ed ha motivato la statuizione limitandosi a ribadire, ancora una volta, che nel bilanciamento degli interessi suddetti deve essere sempre data prevalenza al diritto di difesa, soprattutto quando non sia nemmeno ipotizzabile un nocumento al bene protetto dal divieto di riproduzione e divulgazione.
La Corte, infine, ha concluso sposando la ricostruzione dei fatti operata in primo grado e posta alla base dell'accertamento della natura ritorsiva del recesso, ciò che l'ha condotta, come anticipato, ad un rigetto integrale dell'appello proposto. Osservazioni
Nella valutazione conclusiva della pronuncia in commento, giova formulare talune considerazioni sull'applicazione del principio di specificità della contestazione disciplinare e sull'estensione, mediante la figura del concorso nell'esercizio del diritto di difesa, della scriminante in parola ad un soggetto diverso dal titolare del predetto diritto.
In merito al primo aspetto, la sentenza fa proprio il consolidato orientamento della Cassazione secondo cui “la contestazione dell'addebito deve esprimersi nell'attribuzione di fatti rilevanti e precisi e di univoco significato, al fine di consentire al lavoratore un'idonea e piena difesa” (Cass. n. 15006/2013) e giunge ad affermare, per questo tramite, che l'omessa indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto determina un vizio radicale della contestazione.
Al fine di comprendere correttamente la portata delle conclusioni cui è giunta la Corte d'appello in merito alla presenza di indicazioni temporali nella contestazione, occorre ricordare che il principio di specificità della contestazione, benché abbia un rilievo assoluto allorché si tratti di valutare il corretto esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro, non postula, tuttavia, un catalogo analitico dei contenuti indefettibili della contestazione stessa, il cui esame, sotto il profilo contenutistico, va condotto, piuttosto, e di volta in volta, con riguardo alla sua idoneità a porre il destinatario nella condizione di esercitare una piena difesa rispetto all'addebito.
In tal senso, se ciò implica senz'altro una necessaria precisione nella descrizione dei fatti ascritti, la loro collocazione temporale, e segnatamente l'indicazione del giorno della loro presunta commissione, non assume, in senso assoluto, il rango di un requisito essenziale della contestazione, risultando viceversa necessaria solo qualora la sua omissione precluda all'interessato di difendersi.
Del resto, la stessa Corte di cassazione, mentre ha valorizzato la presenza delle coordinate cronologiche dell'illecito laddove esse siano essenziali al lavoratore per fornire la prova della sua estraneità ai fatti, tipicamente mercé la prova di un fatto diverso ed incompatibile con quello ascrittogli, ha comunque chiarito che “la regola della specificità della contestazione dell'addebito non richiede necessariamente - ove questo sia riferito a molteplici fatti (nella specie l'essersi allontanato quotidianamente dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione) - l'indicazione anche del giorno e dell'ora in cui gli stessi fatti sono stati commessi, essendo invece sufficiente che il tenore della contestazione sia tale da consentire al lavoratore di individuare nella loro materialità i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ., di comprendere l'accusa rivoltagli e di esercitare il diritto di difesa” (Cass. n. 11933/2003 e, nello stesso senso, Cass. n. 16831/2013).
È alla luce di tali considerazioni che la decisione della Corte d'appello di Trento appare condivisibile, atteso che, come dalla stessa illustrato, la mancanza di indicazioni circa il “quando” della condotta posta alla base del licenziamento aveva precluso all'interessato di provare che in quel momento egli si trovava in una situazione tale da escludere che egli fosse l'autore del comportamento censurato.
Quanto al secondo aspetto, la Corte ha ritenuto che la condotta del lavoratore, di per sé vietata dal contratto stipulato con la società datrice di lavoro, risultasse tuttavia legittima in quanto posta in essere al fine di consentire l'esercizio del diritto di difesa ad una collega coinvolta in un giudizio nei confronti della medesima società. Configurando un concorso nel predetto esercizio, la Corte è giunta ad affermare che per quel tramite venisse scriminata anche la condotta contestata, sì da perdere la propria connotazione antigiuridica e diventare incensurabile sotto il profilo disciplinare.
Si tratta di una statuizione condivisibile, il cui fondamento - rimasto tuttavia sullo sfondo nella motivazione della pronuncia - va rintracciato nel contesto della disciplina contenuta nel codice penale, e segnatamente nell'art. 119 c.2 c.p., a mente del quale “le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”.
La norma, benché faccia espresso (e generico) riferimento alle sole “circostanze”, è stata interpretata nel senso di valorizzare, mediante la sua applicazione, non solo le circostanze del reato in senso tecnico, ma, tra le circostanze oggettive, anche le cause di giustificazione, la cui presenza, determinando il venir meno di un attributo necessario del reato, ossia l'antigiuridicità della condotta, induce ad escludere il contrasto tra il fatto tipico e l'ordinamento giuridico, sancendone quella liceità che tende a proiettarsi su tutte le condotte che concorrono alla sua realizzazione.
D'altra parte, che le cause di giustificazione forgiate dal codice penale, ed in particolare l'esercizio del diritto ex art. 51 c.p., assumano rilievo nel contesto lavoristico, risulta dalla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha ritenuto coperte da tale scriminante condotte quali la registrazione eseguita dal lavoratore di una conversazione tra presenti intercorsa tra questi e il suo datore di lavoro (Cass. n. 27424/2014) e l'elaborazione, in sede di giustificazioni per una pregressa contestazione, di uno scritto difensivo il cui contenuto attribuiva al datore di lavoro atti o fatti, descritti con espressioni sconvenienti ed offensive, non rispondenti al vero ma concernenti in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia (Cass. n. 16590/2018).
Posto che dalle parole della Corte di cassazione si evince la rilevanza della disciplina penalistica in tema di cause di giustificazione rispetto al rapporto di lavoro, deve convenirsi che da essa consegua una valorizzazione della complessiva disciplina ad esse dedicata dal codice penale, ciò che implica, in fattispecie che per la pluralità dei soggetti a vario titolo coinvolti richiamano gli stilemi propri del concorso di persone, la necessità di fare riferimento, anche in sede lavoristica, alle indicazioni offerte al riguardo dal predetto art. 119 c.p..
Avendo valorizzato l'apprezzamento trasversale della disciplina delle cause di giustificazione sopra illustrato, la sentenza commentata finisce dunque per approdare ad un esito innovativo ma coerente con le indicazioni già provenienti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in materia. |