È consentito alla parte privata l’uso della PEC per notificare propri atti altre parti?

24 Settembre 2020

La questione posta al vaglio della Suprema Corte può essere sintetizzata nel modo seguente: è consentito alle parti private di un processo penale impiegare la posta elettronica certificata per effettuare notificazioni o comunicazioni indirizzate ad altre parti private?
Massima

Nel processo penale alle parti private è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni alle altre parti mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata. (Fattispecie in tema di notificazione della richiesta di revoca o di modifica di una misura cautelare personale applicata in un procedimento avente ad oggetto un delitto commesso con violenza contro la persona, in cui la Corte ha ritenuto correttamente eseguito a mezzo PEC l'adempimento richiesto a pena di inammissibilità dall'art. 299, comma 3, cod. proc. pen.).

Fonte: ilprocessotelematico

Il caso

Il Gip ha rigettato la richiesta di revoca o di modifica della richiesta cautelare avanzata ex art. 299 cod. proc. pen. dall'imputato. Avverso questo provvedimento, l'imputato ha proposto appello. Il Tribunale del riesame ha dichiarato inammissibile l'appello, rilevando che, ai sensi dell'art. 299 cod. proc. pen., nei procedimenti aventi ad oggetto, come nel caso di specie, delitti commessi con violenza sulla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione di misure cautelari personali deve essere contestualmente notificata, a pena di inammissibilità e a cura della parte richiedente, oltre che al difensore, anche alla stessa persona offesa. Dagli atti risultava che l'istanza era stata notificata soltanto ai difensori delle persone offese, tramite posta elettronica certificata. Secondo il costante orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, tuttavia, nel processo penale non è permesso alla parte privata l'uso della PEC per la trasmissione dei propri atti alle altre parti.

Avverso questo provvedimento, l'imputato ha proposto ricorso per cassazione lamentando la violazione dell'art. 299 cod. proc. pen. e dell'art. 16, comma 4, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con legge 17 dicembre 2012, n. 221. Secondo il ricorrente quest'ultima norma non preclude alle parti private l'utilizzo della PEC, ma si limita a disciplinarne l'utilizzo da parte delle cancellerie. Al contrario, nel caso di specie, dovrebbe trovare applicazione il combinato disposto dell'art. 152 c.p.p. e dell'art. 48, comma 2, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82. Da queste disposizioni si desumerebbe che la PEC è equiparata alla lettera raccomandata dal momento che offre le stesse garanzie di certezza quanto all'identificazione del mittente e alla dimostrazione della ricezione da parte dei destinatari. Nel caso di specie, peraltro, la persona offesa aveva eletto domicilio presso lo studio del difensore.

La questione

La questione posta al vaglio della Suprema Corte può essere sintetizzata nel modo seguente: è consentito alle parti private di un processo penale impiegare la posta elettronica certificata per effettuare notificazioni o comunicazioni indirizzate ad altre parti private?

Le soluzioni giuridiche

1. La Corte ha ritenuto fondato il ricorso, rilevando che con lo stesso sono state proposte due diverse questioni.

La prima concerne l'interpretazione dell'art. 299, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui stabilisce che la richiesta di revoca o di modificazione di una misura cautelare personale adottata in un procedimento avente ad oggetto un delitto commesso con violenza contro la persona, a pena di inammissibilità e a cura della stessa parte richiedente, debba essere notificata al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa.

Al riguardo, la sentenza ha reputato sufficiente la notificazione al solo difensore della persona offesa, non ritenendo necessaria anche quella direttamente rivolta alla persona offesa, che è prevista dalla norma predetta solo in alternativa alla prima.

La disciplina dell'art. 299, comma 3, cod. proc. pen., infatti, è diversa da quella di cui all'art. 299, comma 2-bis, che richiede la notificazione del provvedimento che accoglie la richiesta di revoca o di modificazione della misura cautelare alla persona offesa in aggiunta e non in alternativa a quella al difensore.

2. La seconda questione, invece, attiene alla possibilità che alla notifica al difensore della persona offesa si proceda a mezzo PEC.

Sul punto, il Collegio ha ritenuto di aderire all'orientamento che ha accolto la soluzione positiva (cfr., in precedenza, Cass. Sez. 2, n. 6320 del 11/01/2017, Rv. 268984).

Tale indirizzo si fonda sull'art. 152 cod. proc. pen., a mente del quale “salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento" e sull'art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005, e successive mod. (c.d. codice dell'amministrazione digitale, in seguito C.A.D.), il quale prevede che "la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta".

Tale ultima norma, invero, è destinata all'abrogazione ai sensi dell'art. 65, comma 7, del d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, come modificato dal d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con modificazioni dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dallo stesso comma 7 cit. L'art. 6, comma 1, del medesimo d.lgs., tuttavia, conferma l'equivalenza alle comunicazioni a mezzo raccomandata di quelle elettroniche indirizzate ai domicili digitali, tra le quali quelle all'indirizzo PEC.

3. Il Collegio ha rilevato che la soluzione accolta è criticata da un diverso indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nel processo penale, non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti, né per il deposito presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell'art. 16, comma 4, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con mod. dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria (Cass. pen., Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, in CED Cass. n. 272741).

Questo diverso orientamento è stato ritenuto pienamente condivisibile per quanto riguarda la proposizione di una impugnazione a mezzo PEC, in ragione delle specifiche norme che disciplinano la presentazione del gravame, ma non per la notificazione a di un atto da parte del privato a mezzo PEC.

Le argomentazioni su cui si fonda, infatti, secondo la decisione in commento, non valgono a superare le conclusioni illustrate sul rapporto tra l'art. 152 cod. proc. pen. e l'art. 48, comma 2, C.A.D., quando venga in questione la notifica di un atto da una parte privata ad altra parte privata.

La clausola di salvezza che si rinviene nell'art. 48, comma 2, C.A.D., secondo cui, come si è visto, la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale alla notificazione per mezzo della posta "salvo che la legge disponga diversamente", invero, impone di verificare se sia prevista una esplicita esclusione della disposta equiparazione della raccomandata alla PEC o se essa possa desumersi dal sistema.

Tale espressa esclusione, ad avviso della Corte, non sussiste.

Essa, infatti, non può essere ravvisata nello stesso art. 152 cod. proc. pen. che preveda che le notifiche richieste dalle parti possano essere sostituite dall'invio con lettera raccomandata da parte del difensore. L'art. 152 cod. proc. pen. è la norma presupposta dall'art. 48, comma 2, C.A.D. la quale è intervenuta al fine di realizzare la semplificazione delle attività dei consociati e il loro adeguamento al progresso tecnologico.

Neppure vale ad escludere la possibilità di ricorso alla PEC l'art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, disposizione che si limita a disciplinare l'uso della posta elettronica da parte della cancelleria per le notifiche a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, cod. proc. pen., ma non preclude un utilizzo diverso della PEC.

4. Secondo la decisione in commento, inoltre, non si ravvisano controindicazioni sistematiche all'uso della PEC da parte dei provati, come quelle che, al contrario, emergono con riferimento alla proposizione delle impugnazioni per le quali opera il principio di tassatività dei modi di presentazione (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 4, n. 10682 del 19/12/2019; Cass., Sez. 4, n. 52092 del 27/11/2019).

La proposizione dell'impugnazione a mezzo PEC, invero, presuppone, invero, la piena operatività del processo telematico, cioè l'esistenza di una efficiente e affidabile architettura del sistema, in grado di consentire il deposito di atti e la ricezione delle comunicazioni da parte delle cancellerie competenti.

Ciò rivela il vero punto critico della generalizzazione delle comunicazioni telematiche da parte dei privati nel processo penale: l'assenza di un univoco punto di arrivo delle comunicazioni collocato in un efficiente flusso procedimentale che conduca la richiesta al giudice chiamato a provvedere.

Nel caso di specie, alla luce della necessaria celerità che deve accompagnare la trattazione delle istanze de libertate e dell'assenza di qualunque correlazione tra istituzione del processo penale telematico e comunicazione via PEC ad altro difensore della richiesta, non si ravvisa alcuna incompatibilità sistematica rispetto alla soluzione accolta.

5. D'altra parte, anche con riguardo al rapporto con uffici pubblici, la giurisprudenza di legittimità ha valorizzato le esigenze di celere espletamento di adempimenti a carico di privati. Si è così deciso, ad esempio, che, nel procedimento di convalida del divieto di accedere a manifestazioni sportive con obbligo di presentazione all'ufficio di pubblica sicurezza, è ammissibile la presentazione delle richieste e delle memorie delle parti al giudice competente tramite PEC, in quanto, da un lato, l'art. 6, comma 2-bis, della legge n. 401 del 1989, al fine di contemperare il regolare esercizio di diritto di difesa con l'estrema ristrettezza dei termini previsti per gli adempimenti in questione, non prescrive che i predetti atti debbano essere necessariamente depositati in cancelleria nella loro materiale fisicità e, dall'altro, il mezzo impiegato garantisce sicura affidabilità quanto alla provenienza e alla ricezione (Cass. pen., Sez. 3, n. 17844 del 12/12/2018; Cass. pen., Sez. 3, n. 14832 del 13/12/2017).

6. La soluzione accolta, infine, consente di soddisfare pienamente le esigenze di tutela della persona offesa, sottese all'art. 299 cod. proc. pen., non essendo dubitabile che la comunicazione a mezzo PEC costituisce uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione. L'utilizzo della posta elettronica certificata consente la semplificazione e lo snellimento burocratico delle procedure giurisdizionali conseguente alla loro automazione avviene senza sacrifici per altri significativi interessi contrastanti. Del resto, nessun dubbio si è posto in giurisprudenza nel caso in cui l'utilizzo della PEC si fosse rilevato necessario per rendere effettive le facoltà processuali alle stesse riconosciute (Cass. pen., Sez. 5, n. 55886 del 02/10/2018, che ha ritenuto ammissibile una richiesta di rimessione del processo ex art. 45 cod. proc. pen., notificata dagli imputati alle parti civili a mezzo PEC, sul rilievo che tale modalità di notifica era stata previamente autorizzata dal giudice di merito, avuto riguardo al brevissimo termine di sette giorni entro cui i richiedenti avrebbero dovuto adempiere all'incombente nei confronti di numerosissimi aventi diritto).

Osservazioni

1. La sentenza illustrata si segnala, perché ha affermato con nettezza il principio secondo cui, nel processo penale, alle parti private è consentito di effettuare comunicazioni e notificazioni alle altre parti mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, aderendo ad un orientamento in precedenza espresso da Cass. pen., Sez. 2, n. 6320 del 11/01/2017, in CED Cass. n. 268984.

Il fondamento normativo di tale indirizzo è stato ravvisato nel combinato disposto di due norme:

- l'art. 152 cod. proc. pen. secondo, cui “salvo che la legge disponga altrimenti, le notificazioni richieste dalle parti private possono essere sostituite dall'invio di copia dell'atto effettuata dal difensore mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento”;

- l'art. 48, comma 2, d.lgs. n. 82 del 2005 e successive mod. C.A.D., il quale prevede che "la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta".

2. L'art. 48 CAD, invero, è stato abrogato. L'efficacia di tale abrogazione, tuttavia, è stata differita. L'art. 65, comma 7, del d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, come sostituito dall'art. 8, comma 5, d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, infatti, prevede che, con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti l'Agenzia per l'Italia digitale e il Garante per la protezione dei dati personali, sono adottate le misure necessarie a garantire la conformità dei servizi di posta elettronica certificata di cui agli artt. 29 e 48 del d.P.R. 7 marzo 2005, n. 82. A far data dall'entrata in vigore di tale decreto l'art. 48 del d.P.R. n. 82 del 2005 sarà abrogato.

La sentenza in commento ha affrontato il tema dell'abrogazione della norma citata, rilevando che essa non determinerà l'inutilizzabilità della PEC per le comunicazioni.

La posta elettronica certificata, infatti, è destinata ad essere ricompresa nel “domicilio digitale”. Quest'ultimo rappresenta il luogo virtuale, in particolare un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata ovvero un indirizzo presso un SERC (Servizi elettronici di recapito certificato), mediante il quale si possono scambiare comunicazioni elettroniche aventi valore legale.

L'art. 6, comma 1, CAD, stabilisce che le comunicazioni tramite i domicili digitali sono effettuate agli indirizzi inseriti negli elenchi di cui agli artt. 6-bis, 6-ter e 6-quater dello stesso CAD, o a quello eletto come domicilio speciale per determinati atti o affari ai sensi dell'art. 3-bis, comma 4-quinquies, sempre del CAD. Le comunicazioni elettroniche trasmesse ad uno dei domicili digitali di cui all'art. 3-bis del CAD, tra i quali anche quelli PEC, producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente. Le suddette comunicazioni si intendono spedite dal mittente se inviate al proprio gestore e si intendono consegnate se rese disponibili al domicilio digitale del destinatario, salva la prova che la mancata consegna sia dovuta a fatto non imputabile al destinatario medesimo. La data e l'ora di trasmissione e ricezione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle linee guida adottate in materia.

3. A sostegno della tesi accolta, la sentenza illustrata sviluppa alcuni interessanti argomenti:

- non sussiste nel sistema normativo una disposizione che, in attuazione della clausola di salvezza contenuta nell'art. 48 CAD, escluda l'equiparazione alla comunicazione a mezzo raccomandata di quella tramite posta elettronica certificata. Tale espressa esclusione non può essere ravvisata nello stesso art. 152 cod. proc. pen. che prevede che le notifiche richieste dalle parti possano essere sostituite dall'invio con lettera raccomandata da parte del difensore, senza impedire l'uso della PEC, né nell'art. 16 del d.l. n. 179 del 2012, che si limita a disciplinare l'uso della posta elettronica da parte della cancelleria, per le notifiche a persona diversa dall'imputato a norma degli artt. 148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, cod. proc. pen., ma non preclude un utilizzo diverso della PEC;

- non esistono controindicazioni di natura sistematica all'uso della PEC per le comunicazioni tra parti private, come quelle che, al contrario, emergono con riferimento alla problematica della proposizione delle impugnazioni per la quale opera il principio di tassatività dei modi di presentazione (cfr. tra le altre, Cass., Sez. 4, n. 10682 del 19/12/2019, dep. 2020; Cass., Sez. 4, n. 52092 del 27/11/2019).

- la mancata attuazione del processo penale telematico – in particolare del fascicolo “virtuale” luogo di custodia degli atti inviate in via informatica - non rappresenta un limite all'impiego della PEC per le comunicazioni in esame, che vanno inviate alla altra parte e non all'ufficio;

- l'utilizzo della posta elettronica certificata consente la semplificazione e lo snellimento burocratico delle procedure giurisdizionali per mezzo di uno strumento idoneo a portare un atto a conoscenza del destinatario e ad avere certezza sulla sua ricezione, senza sacrifici per altri significativi interessi contrastanti.

Dopo la sentenza illustrata, il medesimo indirizzo è stato espresso da Cass. pen., sez. 2, n. 26506 del 22/07/2020, dep. il 22/09/2020.

4. Il tema dell'applicazione del principio di equiparazione della comunicazione a mezzo PEC alla lettera raccomandata previsto dall'art. 48 CAD è stato affrontato di recente da un'altra sentenza della Corte di cassazione in una fattispecie in cui la PEC era stata adoperata da un difensore per comunicare al Tribunale di Sorveglianza il suo impedimento a comparire ad una udienza derivante dalla adesione all'astensione dalle udienze programmata dall'Unione delle Camere Penali.

Si tratta della sentenza Cass. pen., Sez. I, 17/07/2020, n. 21981, che è giunta ad una conclusione difforme rispetto a quella appena illustrata.

In questa pronuncia, infatti, la Corte ha rilevato che vi è una norma primaria che deroga alla diretta applicazione delle disposizioni del CAD nel processo penale (e in quello civile). Si tratta dell'art. 4 del d.l. n. 193 del 2009, recante “Misure urgenti per la digitalizzazione della giustizia”. Questa disposizione espressamente stabilisce che “Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, sentito il Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17 comma 3, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni”.

Questa disposizione prevede che, nel processo penale, il CAD si applica nei limiti stabiliti dal regolamento ministeriale.

Ne consegue che l'equiparazione introdotta dall'art. 48 del CAD tra la notificazione a mezzo lettera raccomandata e la PEC non ha diretta applicazione.

L'uso di tale strumento telematico da parte dei difensori nel processo penale, più precisamente, può avvenire solo nei limiti di quanto previsto dal decreto del Ministro della giustizia del 21 febbraio 2011, n. 44, recante il "Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, commi 1 e 2, convertito nella L. 22 febbraio 2010, n. 24" e, in particolare, soltanto a seguito del decreto dirigenziale previsto dall'art. 35 di tale regolamento.

A sostegno di tali affermazioni, nella sentenza citata è stato aggiunto che:

- nel processo penale non è consentito alla parte privata l'uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti, né per il deposito presso gli uffici, perché l'utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi dell'art. 16, comma 4, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal Pubblico ministero ex art. 151 cod. proc. pen. e per le notificazioni ai difensori disposte dall'autorità giudiziaria (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018).

- la posta elettronica certificata non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario (art. 48 Codice dell'amministrazione digitale, approvato con d.lgs. n. 82 del 2005). La certezza della “paternità” dell'atto, viceversa, è assicurata dalla firma digitale che, tuttavia, in forza del decreto ministeriale n. 44 del 2011 (recante “Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24”), non può essere utilizzata nel processo penale fino a quando non sarà adottato il decreto previsto dall'art. 35 dello stesso regolamento.

5. La sentenza da ultimo illustrata, adottata in una fattispecie in tema di invio a mezzo PEC dell'istanza di rinvio del procedimento per impedimento, peraltro, pur escludendo che alla parte privata sia consentito il ricorso allo strumento telematico, ha concluso che di detta istanza debba comunque tenersi conto se è pervenuta nella sfera di conoscenza del giudice.

La Corte, infatti, ha affermato che occorre tenere conto della previsione di cui all'art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., il quale stabilisce che il giudice deve rinviare l'udienza “nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l'assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato …”. Questa disposizione, imponendo al giudice di prendere in considerazione l'istanza di cui ha avuto cognizione, non assicura alcun rilievo alle modalità di trasmissione della stessa, prevendo solo la pronta comunicazione. È certamente evidente che l'impiego di una modalità diversa da quella regolare di cui all'art. 121 cod. proc. pen. faccia ricadere sul difensore l'onere di sincerarsi che il giudice abbia avuto conoscenza della sua domanda e il rischio della mancata conoscenza (cfr. Cass. pen., Sez. 6, n. 54427 del 16/10/2018, in CED Cass. n. 274314). È anche vero, però, che la norma indicata non preclude al privato l'uso della PEC.

6. Gli indirizzi giurisprudenziali illustrati, pertanto, pur relative a fattispecie diverse, sono pervenute ad un risultato comune, rappresentato dal riconoscimento al privato della possibilità di utilizzare la PEC per le comunicazioni o le notificazioni.

La prima sentenza ha utilizzato una via diretta, affermando che, in forza delle norme citate, è consentito al privato effettuare comunicazioni e notificazioni alle altre parti mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata; la seconda pronuncia, ravvisando un limite normativo all'estensione della PEC alle comunicazioni o alle notificazioni dei privati, ha raggiunto, di fatto, lo stesso risultato utilizzando le potenzialità contenute nell'art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., ancorché ha ribadito che grava sulla parte il rischio della mancata conoscenza della sua istanza.

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