Ammissione allo stato passivo quando la domanda di insinuazione è proposta oltre il termine

Sergio Sisia
24 Settembre 2020

La Risposta del 7 febbraio 2020 n. 33 dell'Agenzia delle Entrate in ordine alla possibilità di emissione di nota di credito ex art. 26 DPR 633/72 in caso di mancata ammissione del creditore allo stato passivo quando abbia proposto la domanda di insinuazione oltre il termine di cui all'art. 101, comma 1, l. fall..
Il caso

Una società chiede l'ammissione al passivo di una procedura fallimentare dichiarata nel 2017; il Giudice Delegato ritiene l'istanza inammissibile in quanto proposta oltre il termine di cui all'art. 101, comma 1, l. fall..

Si ricorda che, ai sensi del predetto comma, “Le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest'ultimo termine fino a diciotto mesi”e, ai sensi del quarto comma, Decorso il termine di cui al primo comma, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile".

I rilievi dell'instante

Ad avviso dell'instante il provvedimento di esclusione dal passivo fallimentare non pregiudicherebbe l'emissione, ai sensi dell'art. 26 d.P.R. n. 633/1972, di note di variazione di imponibile e I.V.A. in diminuzione, in relazione alle fatture emesse nei confronti della società fallita e non incassate, in ragione della L. 28 dicembre 2015, n. 208, la quale ha previsto, con riferimento alle procedure concorsuali avviate dall' 1 gennaio 2017, il diritto del cedente/prestatore di emettere note di variazione già a partire dalla data in cui il cessionario/committente viene assoggetto alla procedura concorsuale, senza dover attendere la conclusione della stessa. Pertanto, il presupposto per l'emissione della nota di variazione non è l'esito dell'insinuazione allo stato passivo del debitore, ma l'avvio della procedura concorsuale.

I rilievi dell'Agenzia delle Entrate

Ad avviso, invece, dell'Agenzia delle Entrate:

(i) le modifiche all'art. 26 d.P.R. n. 633/1972 apportate dall'art. 1, comma 126, l. 28 dicembre 2015, n. 208 non hanno mai esplicato i propri effetti, perché soppresse prima della loro applicabilità dall'art.1, comma 567, l.11 dicembre 2016, n. 232;

(ii) l'art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, disponendo, tra l'altro, che “Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile,(...) per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose (...), il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25”, presuppone, come già precisato nella richiamata Circolare n. 77/E del 17 aprile 2002: (a) da una parte, la preliminare necessaria partecipazione alla procedura che legittima, in astratto, il creditore alla variazione in riduzione e, (b) dall'altra, la “infruttuosità” delle procedure esecutive individuali e concorsuali che legittima, in concreto, il diritto alla variazione, non essendo sufficiente il mero avvio delle stesse;

(iii) la “infruttuosità” che, riguardo alle procedure concorsuali, come precisato, oltre che nella richiamata Circolare n. 77/E del 17 aprile 2002 anche nella successiva n. 8/E del 7 aprile 2017, “(…) si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale oppure, in assenza, di quello per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento”.

L'interpretazione formalistica dell'Agenzia delle Entrate

L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate, effettivamente, trova conferma nell'evoluzione del dettato normativo, infatti:

  • mentre ai sensi del comma 2 del predetto art. 26, così come modificato dall'art. 1 l. 28 dicembre 2015, n. 208, in vigore dall'1 gennaio 2016, “(…) Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25” e, ai sensi del successivo comma 4, “La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente: a) a partire dalla data in cui quest'ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, odalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; b) a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose”;
  • ai sensi del comma 2 del predetto art. 26, così come modificato dall'art. 1 l. 11 dicembre 2016, n. 232, in vigore dall'1 gennaio 2017, e quindi applicabile al caso di specie, prevede che “(…) Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25”.
Il contrasto della norma interna con la Direttiva I.V.A. 2006/112/CE

L'interpretazione dell'Agenzia delle Entrate sembra scontrarsi, peraltro, con i principi ancora di recente affermati dalla Corte CE con la sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19(per l'affermazione secondo cui “La base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto e il cui corollario è che l'amministrazione fiscale non può riscuotere a titolo dell'I.V.A. un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo” si vedano, tra le altre, C-127/18; C-672/17; C-462/16; C-337/13; C-588/10). In quel caso, posto che nella disciplina vigente in Slovenia la mancata insinuazione comporta l'estinzione del credito, il soggetto passivo rettificava l'I.V.A. al termine della procedura concorsuale, pur non avendo insinuato il proprio credito al passivo, divenuto così irrecuperabile. L'autorità fiscale, in sede di verifica, recuperava invece l'I.V.A. ritenendo che dovessero essere soddisfatte entrambe le condizioni previste dalla normativa domestica, ossia l'insinuazione al passivo e la chiusura della procedura concorsuale. Il giudizio vedeva inizialmente vittoriosa l'autorità fiscale e, giunto alla Corte Suprema, era sospeso per essere sottoposte al Giudice unionale questioni pregiudiziali circa la corretta interpretazione dell'art. 90 della Direttiva I.V.A., a mente del quale: “1. In caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l'operazione, la base imponibile è debitamente ridotta alle condizioni stabilite dagli Stati membri. 2. In caso di non pagamento totale o parziale, gli Stati membri possono derogare al paragrafo 1”.

Secondo la Corte CE, gli Stati membri, devono permettere la riduzione della base imponibile qualora il soggetto passivo sia capace di dimostrare che il credito da lui vantato nei confronti del suo debitore presenti un carattere definitivamente irrecuperabile, come nel caso in cui, essendo mancata l'insinuazione al passivo, il credito si consideri “estinto”: tale omissione comporta la riduzione definitiva degli obblighi del debitore nei confronti del creditore che legittima il recupero dell'imposta rispetto all'Erario. Per altro verso, gli Stati membri possono adottare, in deroga alle norme relative alla base imponibile, misure al fine di evitare evasioni od elusioni fiscali solo “entro i limiti strettamente necessari per raggiungere tale obiettivo specifico” e non possono incidere sui principi cardine dell'I.V.A., tra cui la neutralità. In definitiva quindi, solo qualora vi siano prove che l'inerzia del soggetto passivo (il quale non ha insinuato il proprio credito alla procedura) è dovuta a comportamenti fraudolenti, ovvero ad una collusione tra tale soggetto passivo e il suo debitore, sarebbe giustificato il mancato riconoscimento del credito. Non sarebbe invece legittimo introdurre a priori una presunzione generale di frode, rispetto alla quale la mancata insinuazione potrebbe non esserne il sintomo. Sicché, nel caso in cui non emerga alcun indizio di abuso o di frode fiscale, una misura del genere sarebbe eccessivamente costrittiva e contraria all'art. 273 della Direttiva 2006/112/CE, a mente del quale, “Gli Stati membri possono stabilire, nel rispetto della parità di trattamento delle operazioni interne e delle operazioni effettuate tra Stati membri da soggetti passivi, altri obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'I.V.A. e ad evitare le evasioni (…)”.

L'esigenza di applicare l'imposta secondo i principi della richiamata Direttiva, è stata avvertita anche in un'altra pronuncia che, questa volta, ha riguardato la disciplina Italiana (Corte CE, 23novembre 2017, causa C 246/16) e, in particolare, la previsione per cui, secondo l'Amministrazione Finanziaria, sarebbe necessario attendere la chiusura della procedura concorsuale al fine di operare la variazione I.V.A.. In quell'occasione, la Corte CE ha affermato espressamente“che lo stesso fine potrebbe essere perseguito accordandoparimenti la riduzione allorché il soggetto passivo segnala l'esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell'ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque (…) Una simile modalità sarebbe ugualmente efficace per raggiungere l'obiettivo previsto ma, al contempo, meno gravosa per il soggetto passivo, il quale assicura l'anticipo dell'IVA riscuotendola per conto dello Stato”(punto 27). Ancora una volta si ribadisce così che l'incertezza nella modulazione della posizione debitoria non può ritenersi circostanza idonea a escludere totalmente la riduzione: per“far fronte all'incertezza intrinseca al carattere definitivo del non pagamento di una fattura”, la possibilità di limitare il diritto alla detrazione “non può estendersi al di là di tale incertezza”, tanto da condurre lo Stato membro a negare in toto la possibilità di ridurre la base imponibile (così la richiamata Corte CE, C-246/16). Del resto, come si è precisato (così E. Giontella, Variazione IVA per mancato pagamento: contrasto della norma interna con la Direttiva in www.giontellaeassociati.com del 4 luglio 2019), “La possibilità di deroga, ai sensi del paragrafo 2 dell'articolo 90, concessa ai singoli Stati membri, deve essere ragionevole e, quindi, l'onere di provare la conclusione di una procedura concorsuale, ovvero l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione del debito, o ancora di aver esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito senza trovarvi soddisfacimento, costituisce una limitazione sproporzionata, “tale da far sopportare agli imprenditori soggetti a detta legislazione, uno svantaggio in termini di liquidità rispetto ai loro concorrenti di altri Stati membri manifestamente in grado di compromettere l'obiettivo di armonizzazione fiscale perseguito dalla Sesta Direttiva” (Corte di Giustizia nella Causa C-246/16)”.

Conclusioni

Come si è visto, con la richiamata sentenza dell'11 giugno 2020, la Corte di Giustizia Ue ha ricordato che l'art. 90, par. 1, della Direttiva I.V.A., obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile dell'I.V.A. e, di conseguenza, l'importo dell'I.V.A. dovuta, ogni volta che, in seguito alla conclusione di una transazione, una parte o la totalità della controprestazione non sia percepita dal soggetto passivo. Si tratta di un principio fondamentale, secondo il quale la base imponibile è costituita dalla controprestazione realmente percepita, per cui l'Amministrazione Finanziaria non può pretendere un importo I.V.A. superiore a quello che il soggetto passivo abbia percepito. Qualunque disposizione nazionale contraria a tale principio, pertanto, è in contrasto con la legislazione europea per la violazione dell'altro principio fondamentale dell'imposta, ossia quello della neutralità. Anche se la Corte ribadisce che è necessario che il soggetto passivo sia in grado di dimostrare che il credito vantato nei confronti del suo debitore presenta un carattere definitivamente irrecuperabile (e ciò al fine di scongiurare il rischio di una perdita di entrate fiscale).

Per contro, il Legislatore Italiano, come si è visto anche commentando la Risposta del 7 febbraio 2020 n. 33 dell'Agenzia delle Entrate, avvalendosi della possibilità di deroga di cui al par. 2 del richiamato art. 90, ha, di fatto, drasticamente inquadrato le uniche ipotesi in cui è possibile emettere una nota di variazione in diminuzione ai fini I.V.A. limitandole

  • (i) al caso di inadempimento contrattuale e,
  • (ii) nel caso in cui il debitore sia sottoposto a procedura esecutiva o concorsuale, alla partecipazione del creditore alla procedura stessa o, nel caso di fallimento, all'insinuazione nel passivo.

Quanto all'ipotesi sub (i) che precede, si veda, di recente, la risposta dell'Agenzia delle Entrate a interpello n. 261 dell'11 agosto 2020, secondo cui in caso di mancato pagamento, previsto come causa di risoluzione del contratto, il cedente/prestatore ha la possibilità di operare le corrispondenti variazioni in diminuzione, senza promuovere una procedura esecutiva ed attendere l'esito, e, quindi, recuperare l'I.V.A. relativa a tutte le forniture regolarmente adempiute e per le quali non ha ricevuto alcun pagamento mentre, sempre in proposito, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 12468 del 10 maggio 2019 pronunciandosi sui presupposti di operatività della procedura di variazione dell'I.V.A. e sulle sue modalità di applicazione della stessa nei casi di risoluzione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ha chiarito che a fronte della risoluzione per inadempimento da parte del consumatore finale di un contratto di abbonamento a servizi telefonici, il prestatore ha la facoltà di variare in diminuzione la base imponibile dell'I.V.A. in relazione alle prestazioni eseguite, e non remunerate antecedentemente alla risoluzione. Pertanto, per le prestazioni ad esecuzione continuata o periodica, il verificarsi della condizione contemplata da una causa risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento, determina la risoluzione del contratto con effetti ex tunc, cioè a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta. Se il fallimento è stato dichiarato prima dell'esercizio della clausola risolutiva per inadempimento e dell'emissione delle note di variazione, il fornitore, al fine di recuperare l'I.V.A. non riscossa, deve necessariamente procedere secondo quanto disposto dal comma 2 dell'art. 26 del decr. I.V.A. e, quindi, insinuarsi al passivo della procedura e attendere l'esito della stessa.

Il curatore, a sua volta, ricevute le note di accredito emesse dovrà procedere alla sola annotazione di dette note di accredito senza inclusione nel riparto finale e nella dichiarazione I.V.A. finale della procedura. Tale annotazione non determina l'inclusione del relativo credito I.V.A. nel riparto finale, il quale è ormai definitivo, ma ha soltanto lo scopo di evidenziare il credito da parte dell'Eerario eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Tuttavia, in conclusione, rimane ancora decisiva l'individuazione del limite temporale entro il quale una deroga alla rettifica sia giustificata.

In sostanza, ci si chiede, è compatibile con l'art. 90, par. 1, della Direttiva, una disposizione nazionale, come quella di cui al comma 2 dell'articolo 26 D.p.R 633/72, che impedisca la possibilità di rettifica fino a che non sia definitivamente certa l'irrecuperabilità del credito (a conclusione della procedura concorsuale o dell'azione esecutiva individuale, che ben possono durare molti anni), oppure tale possibilità di rettifica dovrebbe essere prevista già qualora, con elevata probabilità, non ci si possa più attendere, in termini brevi, un pagamento?

Guida all'approfondimento

Agenzia delle Entrate, Circolare n. 77/E, 17 aprile 2002; Agenzia delle Entrate, Circolare n. 8/E, 7 aprile 2017; Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello dell'11 agosto 2020 n. 261; Agenzia delle Entrate, Risposta a interpello del 7 febbraio 2020 n. 33; art. 26 D.P.R. n. 633/1972;Centore, Aritmia della rilevanza delle variazioni IVA, in Corr. trib., 2019, 338; Centore, La soluzione (parziale) del rimborso dell'iva nei fallimenti, in Dir. Prat. Trib., 2018, II, 1283 ss.; CE, Direttiva I.V.A. 2006/112; l. 28 dicembre 2015, n. 208; Corte CE, sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19; Corte CE, 23 novembre 2017, causa C 246/16; Cass. Civ. 10 maggio 2019, n. 12468; Denora, Procedure concorsuali infruttuose e note di variazione in diminuzione ai fini Iva: la tutela del creditore a fronte dell'inadempimento del debitore, in Riv. dir. trib., 2016, I, 641 ss.; Di Susanna Cannizzaro, Fallimento e variazioni IVA: in caso di “non pagamento” definitivo la rettifica è d'obbligo!, in www.rivistadirittotributario.it, 27 luglio 2020; Giontella, Variazione IVA per mancato pagamento: contrasto della norma interna con la Direttiva,in www.giontellaeassociati.com, 4 luglio 2019; Pirro-Gatto, Note credito iva e procedure concorsuali infruttuose: tra esigenze di tutela e rapporti tra ordinamento eurounitario e domestico, in www.rivistadirittotributario.it, 9 ottobre 2019; Santacroce-Abbagnale, sentenza-corte-ue-c-14619-note-variazione-iva in www.studiosantacroce.eu, 7 luglio 2020; Santin, Variazioni iva da mancato pagamento e procedure concorsuali: il regime interno al vaglio della compatibilità europea, in Giur. comm., 2018, 795 ss.; Santin, Variazioni iva e crisi dell'impresa: per un'interpretazione comunitariamente orientata della nuova disciplina, in Rass. trib., 2015, 99 ss.; Tabet, Riflessioni in tema di note di variazione iva per fatture insolute, in Rass. trib., 2015, 785.

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