Condizioni di derogabilità del termine per il pagamento dei creditori privilegiati nel concordato in continuità

28 Settembre 2020

La concessione al debitore di un termine per l'integrazione del piano e della proposta costituisce mera facoltà del Tribunale, che non è comunque tenuto a formulare una specifica richiesta di modifica.
Massima

La concessione al debitore di un termine per l'integrazione del piano e della proposta costituisce mera facoltà del Tribunale, che non è comunque tenuto a formulare una specifica richiesta di modifica.

Sussiste l'obbligo del pagamento integrale dei creditori privilegiati solo se il proponente non si avvalga della facoltà di limitarne il soddisfo alla sola parte del credito che trovi capienza nella liquidazione del bene gravato, essendo condivisibile la degradazione al chirografo del privilegio (nella fattispecie, per rivalsa IVA) che gravi su forniture che si siano confuse all'interno del magazzino del debitore.

Anche nel concordato in continuità è ammesso il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, ma qualora la dilazione proposta ecceda il termine annuale, oltre al riconoscimento degli interessi sulla dilazione deve essere prevista l'ammissione al voto in misura corrispondente al detrimento subito dal creditore privilegiato.

Ai fini dell'attualizzazione dei crediti per l'attribuzione del diritto di voto in caso di pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, pare corretto fare riferimento ai criteri contabili OIC richiamati all'art. 2426 c.c., con computo che dovrà essere espressamente enunciato ed oggetto di attestazione nell'ambito del piano concordatario.

Il caso

La sentenza in commento scaturisce dal reclamo avverso una sentenza di fallimento, accolta dalla Corte di merito, con conseguente impugnazione in sede di legittimità proposta dalla curatela sulla base di quattro rilievi: a) la negazione della violazione del diritto di difesa individuata dal giudice del gravame; b) l'omessa considerazione della inammissibilità della domanda derivante dal mancato riconoscimento del trattamento privilegiato al credito per rivalsa IVA; c) l'inammissibilità di una proposta che non riconosca gli interessi ai creditori privilegiati soddisfatti in via differita; d) la collegata violazione derivante dall'omessa previsione di un compenso per la dilazione sul pagamento dei privilegiati.

La Suprema Corte accoglie il primo motivo negando - secondo un'interpretazione del resto maggioritaria - che il Tribunale sia tenuto a “suggerire” all'istante i profili della domanda che ne possano comportare inammissibilità: l'impulso nella procedura concordataria è rimesso al debitore che semmai dovrà chiedere un termine per integrare il piano (situazione, peraltro, verificatasi nella fattispecie), senza che spetti all'organo giudiziario di indicare quali profili presentino criticità o carenze.

Venendo alla sostanza delle censure, tuttavia, la Suprema Corte ritiene anzitutto infondata quella circa il trattamento del privilegio di rivalsa IVA, posto che il debitore espressamente aveva indicato che quei crediti sarebbero stati falcidiati per assenza dei beni sui quali insiste il privilegio speciale e la natura di questi conduceva a ritenere plausibile che non fosse più possibile rintracciarli o individuarli nel patrimonio dell'impresa in crisi.

Quanto alle ultime due ragioni di impugnativa, in sintesi i Giudici di legittimità hanno ritenuto che l'obbligo di pagamento immediato - o con la moratoria massima di un anno prevista dall'art. 186-bis l.fall. nel caso di concordato in continuità - dei creditori privilegiati non sia tassativo, potendo essere derogato mediante il riconoscimento, da un lato, del diritto di voto e, di contro, con la previsione di un ristoro per il danno subito per il ritardo nel pagamento, danno che la sentenza in commento afferma debba essere quantificato con un metodo similare a quello previsto dal nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Quello del trattamento dei crediti privilegiati è da sempre uno dei passaggi più delicati nella costruzione dei piani concordatari; basti pensare alla questione - di recente risolta in senso favorevole ai debitori - della falcidiabilità dei debiti erariali, che evidentemente si correlava al precetto che impone il rispetto della graduazione dei privilegi, principio che deve ritenersi avulso dalla disponibilità del proponente il concordato (sul punto, arg. da ultimo da Trib. Catania, 24 luglio 2019, in questo Portale, 2020), al quale è unicamente concesso di parametrare - ed eventualmente delimitare - il soddisfo alla concreta possibilità liquidatoria.

Assai interessante per i suoi possibili sviluppi è il principio affermato dalla Cassazione per respingere il secondo motivo: come è noto, la nuova normativa in tema di concordato consente di degradare al chirografo i crediti assistiti da privilegi speciali nella misura in cui sia attestato che i beni sui quali grava il privilegio hanno un valore di realizzo presunto inferiore al credito; sul punto, la Suprema Corte (con la nota sentenza Cass., Sez. I, 17 maggio 2013, n. 12064, poi ripresa e meglio precisata in Cass., Sez. I, 6 novembre 2013, n. 24970e Cass., Sez. I, 31 ottobre 2013, n. 24553) ha voluto, tuttavia, diversificare il trattamento nel concordato preventivo rispetto al fallimento: se in quest'ultima procedura in sede di verifica del passivo è legittimo escludere il privilegio in caso di inesistenza (rectius, mancata inventariazione) dei beni sui quali dovrebbe esercitarsi il privilegio, di contro nel concordato preventivo il principio dovrebbe essere sempre quello del soddisfo integrale del privilegio, salvo che - aggiunge la sentenza citata - sulla base di una interpretazione molto rigida del principio, non è infrequente nella prassi dei Tribunali l'imposizione del deposito di una specifica attestazione a norma dell'art. 160 legge fall. anche per “certificare” l'inesistenza di beni sui quali possa essere esercitato il privilegio. Ebbene, la sentenza in commento sembra spezzare una lancia a favore dell'impresa in crisi, osservando come, in caso di confusione dei prodotti acquistati in un magazzino unitario, la semplice difficoltà di individuare i beni sui quali dovrebbe esercitarsi il credito per l'IVA di rivalsa consente di ritenere corretta l'esclusione di quel credito dal novero dei privilegiati.

Soprattutto, poi, la sentenza in commento si sofferma sull'ammissibilità della previsione di una moratoria nel pagamento dei privilegiati, concludendo che tale possibilità sussiste in via generale, potendo rientrare nell'ambito della previsione dell'art. 160 l.fall., in funzione delle previsioni di liquidazione del patrimonio del debitore; in particolare, per quanto riguarda i concordati in continuità, i giudici di legittimità sposano la tesi secondo la quale la moratoria annuale consentita dall'art. 186-bis l.fall. costituisce un'eccezione all'all'art. 177 l.fall., di modo che il creditore privilegiato dovrà “subire” il pagamento differito senza che gli sia riconosciuto il diritto al voto; per altro verso - ed è questa forse la statuizione più rilevante - la Suprema Corte ammette che la dilazione proposta ai privilegiati possa anche eccedere il termine annuale, salvo che in tale ipotesi sarà imposto al debitore un duplice obbligo: di ammettere al voto il creditore così sacrificato e di riconoscergli gli interessi.

Un punto particolarmente interessante è costituito dalla imposizione, a pena di inammissibilità, dell'esplicitazione del metodo di calcolo del sacrificio imposto ai creditori privilegiati per effetto del loro soddisfo differito. Osserva, infatti, la Suprema Corte come la determinazione del valore di un credito in caso di suo pagamento in un momento diverso da quello della scadenza dell'obbligazione non sia un computo “automatico”, ma postuli una valutazione basata sui principi contabili in tema di attualizzazione del credito, del resto richiamati anche dall'art. 2426 n. 8 c.c..

Osservazioni

Nel periodo immediatamente successivo all'entrata in vigore dell'art. 186-bis l.fall. (introdotto dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012 n. 134) si è sviluppato un percorso interpretativo che portava a ritenere che - a fronte di indubbi vantaggi concessi all'imprenditore che avesse gestito la propria crisi “in continuità” – fosse stato imposto dal legislatore un limite gravoso costituito dall'imposizione dell'onere di pagare il ceto privilegiato entro il termine inderogabile di dodici mesi dall'omologa, onere che diveniva quasi insormontabile se applicato, ad esempio, ai mutui bancari che, secondo una corrente autorevole, non potevano considerarsi contratti in corso, ma debiti che andavano a scadere con l'avvio del concorso e che quindi avrebbero dovuto essere pagati entro l'anno prescritto dalla norma. Al riguardo, è significativo che il testo dell'art. 186-bis l.fall. utilizzi proprio il termine “pagamento”, il che ha indotto taluni a ritenere che per quei crediti non sussista la possibilità di mezzi di soddisfo alternativo (F. Rolfi - R. Ranalli, Il concordato in continuità, Milano, 2015, 44; v. anche V. Zanichelli, I Concordati giudiziali, Milano, 2011, 166), il che comporta un impegno finanziario non indifferente per il debitore in crisi.

Peraltro, già l'art. 186-bis l.fall. contiene due precisazioni che temperano il rigore della previsione: anzitutto, poiché viene fatta salva l'applicazione del secondo comma dell'art. 160 l.fall., il che consente di limitare il soddisfo dei privilegi speciali alla capienza rispetto al bene su cui gravi la prelazione; in secondo luogo, il legame con il bene oggetto del privilegio rileva anche per le tempistiche di soddisfo, posto che il credito sarà soddisfatto solo in quanto (ovvero nella misura in cui, ma anche non appena la liquidazione avvenga) sia liquidato il cespite gravato.

Sotto il primo profilo, come già accennato, non pare sostenibile la tesi “estrema” in merito alla diversificazione del trattamento concordatario rispetto al principio da sempre applicato nel fallimento: la specialità del privilegio comporta in sé che non possa riconoscersi la prelazione al credito ove non gravi su un bene materiale rinvenibile nel patrimonio del debitore; può apparire ingiusto, ma una tesi diversa avrebbe l'effetto di creare di fatto privilegi generali indiretti ulteriori rispetto a quelli tassativamente previsti dalle norme.

Sul punto, la prassi dei tribunali ha enfatizzato talora la riconducibilità della falcidia del privilegio speciale alla fattispecie codificata al secondo comma dell'art. 160 l.fall., imponendo la redazione dell'attestazione specifica sul valore di liquidazione del cespite gravato da privilegio in ogni caso, anche quando semplicemente il bene non esisteva (o non era più presente) nel patrimonio del debitore, con un eccesso di formalismo che non teneva conto della valenza dell'attestazione generale sui dati aziendali, nella quale poteva ritenersi ricompresa anche la verifica dell'impossibilità di individuare beni gravati dal privilegio (sull'argomento, v. M. Arato, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, in O. Cagnasso - L. Panzani, Crisi d'impresa e procedure concorsuali, Milano, 2016, 3517 ss.). La sentenza in commento apre ad una soluzione più favorevole al debitore, ipotizzando che sia ammessa la falcidia del credito se il privilegio (nel caso specifico, ma si tratta di una ipotesi ricorrente, quello per IVA di rivalsa) dovrebbe gravare su cespiti che si siano indistintamente confusi nel magazzino dell'impresa in crisi.

Quanto al secondo aspetto, viene confermata la corrente di legittimità che – respingendo l'opposta tesi accolta da taluni giudici di merito – non considera tassativa la previsione del termine massimo per il soddisfo dei crediti privilegiati; peraltro, viene altresì ribadito che il soddisfo posticipato (salvo che lo stesso sia collegato alle tempistiche di realizzo del bene su cui grava la prelazione) del creditore privilegiato costituisce una “deviazione” rispetto al modello legale, che dovrà essere accettata dal ceto privilegiato in funzione della perdita subita: anche se l'assunto non viene esplicitato con chiarezza (ma sarebbe in linea con le pronunzie richiamate dalla sentenza in commento), la Suprema corte pare ribadire che la regola è il soddisfo integrale del creditore privilegiato, il che impone di “risarcire” il danno connesso con il ritardo nel pagamento; in tal senso, la previsione di una ammissione al voto per la quota “falcidiata” corrispondente al minor valore del credito dilazionato non parrebbe alternativa al riconoscimento del ristoro, ma un diritto correlato sic et simpliciter alla difformità “qualitativa” rispetto al modello legale che impone il soddisfo immediato (v. L. Vecchione, Brevi cenni sull'ammissibilità di un pagamento dilazionato dei creditori privilegiati nel concordato liquidatorio, in DF, 2015, II, 553).

D'altro canto, al di là della ribadita applicabilità del principio secondo il quale è comunque possibile proporre ai creditori privilegiati un soddisfo differito oltre il limite legale, purchè venga compensata la perdita correlata al ritardo e con l'alternativa della concessione del diritto di voto, pare rilevante la chiosa finale sul metodo di computo del decremento di valore che subisce il credito per effetto del decorso del tempo: la Suprema Corte, infatti, anticipa l'applicazione dell'art. 86 del Codice della Crisi e dell'Insolvenza, affermando che in caso di dilazione deve essere espressamente previsto (ed attestato, quindi) il metodo mediante il quale verrà calcolata - e ristorata - la minusvalenza determinata dal decorso del tempo.

In sostanza, da tale presa di posizione si potrebbe desumere che non sarebbe possibile per il debitore sfuggire ai limiti temporali di pagamento del ceto privilegiato semplicemente prevedendo il riconoscimento degli interessi legali - concessione pervero assai “conveniente” in un periodo in cui il tasso è prossimo allo zero (dal gennaio 2020 è fissato allo 0,05%) -, posto che si dovrà al contrario operare un computo lato sensu peritale sull'effettivo sacrificio così imposto al creditore con metodi tratti dalla pratica contabile.

D'altro canto, uno spunto in tal senso può essere tratto da precedenti pronunzie della Suprema Corte (Cass., Sez. I, 26settembre 2014, n. 20388; Cass., Sez. I, 9 maggio 2014, n. 10112) che, in tema di concordato liquidatorio, ha sancito che la dilazione nel pagamento dei privilegiati equivale a soddisfo non integrale, opinando che la determinazione del sacrificio imposto è oggetto di valutazione in fatto del Giudice, alla luce della relazione attestativa, con la precisazione - purtroppo non sviluppata dalla pronunzia - che la previsione della corresponsione degli interessi costituisce solo un elemento valutativo (dal che potrebbe desumersi che solo il pieno ristoro del pregiudizio da ritardato pagamento e non la mera previsione degli interessi integri un soddisfo integrale tale da escludere il diritto al voto).

Le questioni aperte e spunti tratti dalla riforma

Pur se il ragionamento della Suprema Corte viene svolto in linea generale, l'analisi che precede si è incentrata sulla disciplina del concordato “in continuità” e ciò anche in quanto - se attualmente sembra prevalere la tesi che, prescindendo da una valutazione meramente quantitativa, appare elastica nell'attribuire natura liquidatoria o in continuità al concordato (v. da ultimo Cass., Sez. I, 15 gennaio 2020, n. 734) - con la Riforma concorsuale la distinzione tra le due figure sarà più netta e si può preconizzare che i limiti posti alla possibilità di proporre concordati liquidatori “spinga” le imprese a prediligere la fattispecie che prevede la prosecuzione dell'attività (in ciò aiutati anche dallo “sdoganamento” prima giurisprudenziale ed ora normativo delle ipotesi di affitto di azienda tra quelle utili a consentire la qualificazione del concordato come in continuità).

Quanto alla questione della falcidiabilità dei crediti assistiti da privilegio speciale gravante su beni non più presenti o rintracciabili nell'attivo del debitore, dalla sentenza in commento non si evince se debba intendersi comunque necessaria - come pretendono alcuni tribunali - una specifica ed autonoma attestazione sulla non soddisfabilità concreta del privilegio o se più semplicemente sia sufficiente che il piano preveda la falcidia, lasciando ad una eventuale contestazione dei creditori la disamina in merito alla correttezza di tale prospettazione: di fatto, a chi scrive pare sufficiente che - nel ricostruire i dati aziendali - la relazione ai sensi dell'art. 161 l.fall. dia atto dell'inesistenza dei beni gravati da privilegio speciale, espressamente prevedendone la degradazione al chirografo. Diversa sarebbe, appunto, la situazione in cui il bene esista, ma venga ritenuto privo di valore, posto che in tal caso non si potrebbe evitare di utilizzare lo strumento previsto dal secondo comma dell'art. 160 l.fall., trattandosi di una valutazione circa il realizzo di cespiti.

Anche per quel che concerne il pagamento dilazionato dei privilegiati, ci si chiede se, imponendo il riconoscimento di un ristoro parametrato sull'effettiva perdita di valore del credito soddisfatto tardivamente, la Suprema Corte prenda implicitamente anche posizione su una questione interpretativa di non agevole soluzione: ci si è chiesti, infatti, se il riconoscimento del diritto di voto costituisca in sé un “risarcimento” per la tardività del soddisfo sostitutivo del riconoscimento degli interessi. In realtà, è arduo ipotizzare da un lato che il legislatore abbia attribuito una valenza concreta al pregiudizio da ritardo e poi ritenere che sia concesso far patire tale minusvalenza al privilegiato semplicemente ammettendolo al voto; se, infatti, il pagamento differito equivale a pagamento parziale, si legittimerebbe in tal modo una deroga alla graduazione dei crediti (ed alla previsione che fa riferimento alla soddisfacimento “integrale”) che non trova giustificazione al di fuori dei casi appunto previsti dall'art. 160 l.fall. e che per certo non pare configurabile per i crediti assistiti da privilegio generale (arg. da P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in A. Jorio, B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2016, 152 ss.).

Ma l'incertezza interpretativa più seria riguarda in sé la possibilità di derogare al limite “legale” di dilazione, che la Riforma ha ampliato al biennio dall'omologa al di fuori della ribadita ipotesi legata ai tempi di liquidazione dei cespiti su cui grava il privilegio: una interpretazione più severa del dettato dell'art. 86 del D.Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, infatti, indurrebbe a ritenere esclusa la possibilità di prevedere dilazioni più ampie, pur con il meccanismo di ristoro previsto da quella disposizione (questa è l'interpretazione proposta da Trib. Modena, 24 marzo 2020, in questa Rivista, 2020, che anzi utilizza la norma come supporto interpretativo per dichiarare inammissibile un concordato attuale). In effetti, la formulazione della norma riformata (“Il piano può prevedere una moratoria fino a due anni dall'omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca… quando è prevista la moratoria i creditori hanno diritto al voto…”) giustifica tale interpretazione, posto che il diritto al voto si collega con la moratoria biennale, non con una qualsivoglia ipotetica dilazione.

Vero è anche che la stessa norma prevede un meccanismo indennitario, posto che il computo del sacrificio imposto al privilegiato che non venga immediatamente soddisfatto, con l'entrata in vigore - ancorchè già più volte rinviata - del nuovo Codice della Crisi e dell'Insolvenza viene normato in modo peculiare, laddove l'art. 86 del Codice prevede che in tal caso “i creditori hanno diritto al voto per la differenza fra il loro credito maggiorato degli interessi di legge e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano calcolato alla data di presentazione della domanda di concordato, determinato sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso previsto dall'art. 5 del decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, in vigore nel semestre in cui viene presentata la domanda di concordato preventivo”. In sostanza, quindi, il metodo empiricamente “anticipato” dalla sentenza in commento diverrà incontrastato principio di legge ed è lecito domandarsi se la previsione di una moratoria ultra-biennale rientri nelle violazioni di legge tout court oppure se, mitigato l'effetto con il ristoro precipuamente previsto dall'art. 86 citato, il sacrificio imposto ai creditori possa rientrare nell'ambito dei profili di convenienza rimessi al voto.

Sotto altro profilo, peraltro, l'art. 109 del Codice conferma la limitazione del diritto al voto del creditore privilegiato degradato, che è previsto non per l'importo del credito, bensì solo per la quota falcidiata e tale incongruenza (il chirografo vota per intero e non per la sola quota non soddisfatta per la falcidia) rende più arduo ricomprendere nell'espressione del voto a maggioranza una ponderazione di convenienza sul sacrificio imposto al privilegiato (altro sarebbe se la normativa imponesse, per consentire ad una moratoria, l'ottenimento del voto favorevole della classe in cui siano allocati i privilegiati con soddisfo differito).

Infine, resta un dubbio pratico legato al soddisfo differito in funzione dei tempi di liquidazione del bene: in tal caso, ci si chiede se il privilegiato abbia comunque diritto a percepire i riparti spettanti al chirografo, da integrare poi all'atto del realizzo con la differenza tra il valore conseguito (al netto della quota di spese gravante) e quanto già ripartito; la risposta non è scontata: se è vero che il credito privilegiato non può essere assimilato al chirografo (se non per la parte di esso che si consideri degradata, che peraltro resta incerta sino al realizzo), d'altro canto, ripugna che un creditore munito di prelazione abbia un trattamento deteriore rispetto a quello non privilegiato; tuttavia, il principio secondo il quale il ritardo nel soddisfare il privilegiato deve essere adeguatamente remunerato sembra consentire quest'ultima anomalia.

Conclusioni

La Suprema Corte dimostra, per un verso, un certo rigore nel concedere e per contro “apre” a soluzioni più favorevoli al debitore con riguardo all'imposizione di un collegamento tra privilegi speciali e bene gravato dalla prelazione che alleggerisce l'onere del soddisfo parametrandolo di fatto al valore realizzabile. Un simile approccio, oltre che rispettoso del testo della normativa ed anticipatore degli effetti della riforma in itinere ci pare quantomai utile in un periodo di emergenza anche economica, al fine di favorire nei limiti del possibile la soluzione concordaria senza, per contro, pregiudicare il soddisfo pieno dei crediti assistiti a privilegi generali (che si presume siano tali anche per una peculiare attenzione per la delicatezza della posizione dell'avente diritto).

D'altro canto, anche alla luce dello spirito della riforma concorsuale, pare oggi acquisito il concetto che la salvaguardia dell'impresa costituisce di per sé un vantaggio anche per il ceto creditorio, nella misura in cui la continuità consente ai fornitori di ipotizzare di trarre un guadagno da futuri rapporti contrattuali.

Guida all'approfondimento

Sulla disciplina del pagamento dei creditori privilegiati: F. LAMANNA, L'indistinta ammissibilità del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, in questo portale; F. Lamanna, La massima durata della moratoria nel concordato preventivo in continuità, in questo portale; A. Colnaghi, La moratoria ultrannuale dei creditori privilegiati e la conseguente inammissibilità della proposta concordataria, in questo portale; F. Rolfi - R. Ranalli, Il concordato in continuità, Milano, 2015, 43 ss; F. Casa, Controversie teoriche e discussioni pratiche sull'art. 186 bis l.fall., in Fallim., 2013, 1379; sulle questioni in tema di derogabilità dell'ordine dei privilegi (nel caso specifico anche in caso di apporti derivanti dalla continuità, si vedano F. Rasile - C. Passerini, Destinazione dei flussi derivanti dalla continuità aziendale e dei frutti dell'immobile gravato da ipoteca, in questa Rivista, 2020).

In giurisprudenza, ad una corrente piuttosto rigorosa sul rispetto del termine annuale per il pagamento dei privilegiati (per tutte: Trib. Modena, 24 marzo 2020, citata; Trib. Trento, 19 giugno 2014, in sito Ilcaso.it; Trib. Padova, 30 maggio 2013, in Fallim., 2014, 445; Trib. Roma, 3 ottobre 2017, in sito PlurisOnline; Trib. Rovigo, 26 maggio 2015, in Fallim., 2015, 998, che esclude l'estensione ai concordati liquidatori della moratoria annuale prevista per quelli in continuità, come già aveva statuito Trib. Terni, 12 febbraio 2013, in Fallim., 2013, 1378, con nota di Casa; l'inammissibilità di una proposta di pagamento dilazionato dei privilegiati prima dell'introduzione dell'art. 186-bis l.fall. era affermata, tra le altre, da Trib. Roma, 23 luglio 2010, in Fallim., 2011, 225 con nota di Nosivoccia), si contrappone una certa apertura sulle condizioni il cui rispetto rende comunque possibile la deroga; in particolare, sulla possibilità di prevedere un soddisfo differito in funzione dei tempi di liquidazione dei cespiti: Trib. Modena, 8 febbraio 2016, in questa Rivista; Trib. Forlì, 18 giugno 2014, in sito Ilcaso.it;; sulla concedibilità della dilazione a fronte del riconoscimento degli interessi, Trib. Monza, 26 luglio 2019, in sito PlurisCedam; Trib. Mantova, 29 maggio 2018, in sito Ilcaso.it; Trib. Firenze, 13 novembre 2019, in QG, 2019, che peraltro aderisce alla tesi (oggi difficilmente sostenibile alla luce della Riforma in itinere) dell'ammissione al voto per l'intero importo del credito dei privilegiati pagati oltre l'anno (uno spunto in tal senso anche in Trib. Siena, 25 luglio 2014, in Fallim., 2015, 275 che pure ipotizza che la previsione di interessi comporti soddisfo integrale), laddove sul punto pare più attuale l'assunto di Cass., Sez. I, 3 luglio 2019, n. 17834 che - nell'ambito di un piano di sovraindebitamento, ma richiamando la disciplina concordataria - ipotizza la concedibilità del termine ultra-annuale con ammissione al voto per il valore della perdita da ritardo; nello stesso senso si esprimono Trib. Busto Arsizio, 8 marzo 2017, in Fallim., 2017, 602; Trib. Massa, 29 settembre 2016, sito PlurisOnline.

In dottrina, sulla non derogabilità della previsione di moratoria annuale: R. Amatore - L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 293 ss.; per la concedibilità di una dilazione se “compensata” dal riconoscimento di interessi: M. Arato, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, cit. 2529 ss.; P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in A. Jorio, B. Sassani (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, Milano, 2016, 331 ss.; F. Pirisi, La dilazione e la legittimazione al voto dei creditori assistiti da cause legittime di prelazione nel concordato preventivo, in Fallim., 2015, 275, che - muovendo dall'orientamento della Suprema Corte, distingue tra pregiudizio economico (che non sussisterebbe in caso di riconoscimento degli interessi) e qualitativo del privilegiato (legato al pagamento differito); d'altro canto, il sacrificio parziale potrebbe configurare una deroga al principio dell'art. 2740 c.c. sulla cui centralità, D. Galletti, I proventi della continuità, come qualsiasi surplus concordatario, non sono liberamente distribuibili, in questa Rivista, 2020; L. D'Orazio, L'ammissibilità della domanda di concordato preventivo con proposta di dilazione di pagamento ai creditori prelazionari, in Fallim., 2014, 447, assai critico in generale sulla regola del voto parziale del privilegiato non interamente soddisfatto (che sovverte il principio generale che vale per i chirografari), ipotizza che in caso di moratoria ultra-annuale debbano essere comunque riconosciuti - oltre al diritto al voto che invece non spetta per il primo anno di moratoria - gli interessi “compensativi”, corrispondenti alla perdita di valore della moneta, escludendosi invece interessi moratori e corrispettivi.

Sulla disciplina introdotta dal Codice della Crisi e dell'insolvenza quanto alla moratoria dei privilegiati: F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, Il civilista, Milano, 2019; R. Brogi, Il concordato con continuità aziendale nel codice della crisi, in Fallim., 2019, 854; sulla possibilità di dilazionare il pagamento dei debiti finanziari (da considerare comunque “scaduti” con l'avvio del concorso, salva l'ammissibilità di accordi con la parte: arg. da Trib. Genova, 7 giugno 2018e Trib. Milano, 4 novembre 2014, entrambe in sito Ilcaso.it) anche in funzione dei principi tratti dal Codice della Crisi e dell'Insolvenza: F. Rolfi, Sovraindebitamento e “moratoria” ultrannuale dei privilegiati tra regole attuali e future, in Fallim., 2020, 218, il quale sottolinea peraltro come il meccanismo di voto parziale non paia sufficiente a giustificare un sostanziale sovvertimento dell'ordine delle cause di prelazione

Da segnalare Trib. Rimini, 25 Maggio 2020, in sito Ilcaso.it, che applica anticipatamente il metodo di calcolo previsto dall'art. 86 del D.lgs.14/2019 ad una procedura di sovraindebitamento.

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