Conosciuta e già percorsa l’area dissestata: niente risarcimento per la vittima del capitombolo

Redazione Scientifica
29 Settembre 2020

Respinta la richiesta avanzata da una donna nei confronti dei proprietari dell'area che l'ha vista vittima di una caduta. Decisiva per i Giudici la constatazione che ella conosceva le precarie condizioni del luogo, rese peggiori dalla pioggia.

Affrontare a piedi un tratto di strada che si presenta in condizioni precarie, peggiorate poi da una pioggia intensa, richiede particolare attenzione. A maggior ragione, poi, quando le carenze di quell'area sono arcinote alla vittima del capitombolo. Impossibile, quindi, riconoscere il risarcimento, se la persona danneggiata non ha dato prova di avere tenuto una condotta caratterizzata da adeguata prudenza.

L'incidente risale a un pomeriggio del gennaio 2005, quando una donna «inciampa e cade a terra a causa di un gradino dissestato mentre attraversa un'area di proprietà» di una famiglia. Passaggio successivo è la richiesta di risarcimento avanzata dalla vittima del capitombolo, che si vede dare ragione in Tribunale con ristoro economico fissato in quasi 13mila euro per i danni da lei riportati, e cioè «contusione del cranio, del viso, della mano e distorsione della caviglia».

Di parere diverso sono però i Giudici d'Appello. Questi ultimi escludono il diritto della persona danneggiata a ottenere un risarcimento, poiché ella «nell'interrogatorio formale ha affermato di frequentare abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro e di conoscere lo stato dissestato dello stesso, stato, peraltro, a suo giudizio peggiorato il giorno dell'incidente, giacché aveva piovuto». Di conseguenza, «se ne deve trarre la conclusione che la donna non avesse prestato la dovuta attenzione» alla propria condotta, secondo i giudici d'Appello.

Inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla donna e mirato a vedere riconosciuto un adeguato risarcimento.

Il suo legale contesta la decisione della Corte d'Appello, decisione poggiata «esclusivamente su un'affermazione» della sua cliente «in sede di interrogatorio formale», mentre «non è stato dato alcun rilievo alla prova testimoniale assunta in primo grado» da cui è emerso che «la donna è caduta su un'area rialzata rispetto al manto stradale pieno di brecciolino, area dissestata, al pari, del resto, del gradino su cui ella era inciampata, gradino che risultava sbriciolato come se fosse saltato un pezzo d'asfalto».

Il legale richiama poi anche «talune risultanze documentali» ignorate in Appello, ossia «la relazione di servizio della Polizia municipale, secondo cui l'area in questione presentava diverse asperità ed un gradino dissestato, essendo inoltre priva della copertura bituminosa» e le risultanze della consulenza che «ebbe a riconoscere la presenza del nesso causale tra modalità del sinistro e danni fisici riportati dalla donna».

Per chiudere il cerchio, infine, il legale evidenzia che «l'area luogo del sinistro già da anni presentava carenze di manutenzione, le quali, per la loro consistenza, non possono ritenersi frutto di un breve lasso di tempo».

Indiscutibile, quindi, secondo il legale, il nesso eziologico tra la cosa e l'evento di danno, ed evidente perciò la responsabilità del custode – cioè i proprietari dell'area, in questo caso – che «non ha posto in essere tutte quelle attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti» e «idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa».

Per i giudici della Cassazione, però, va confermata la decisione presa in Appello, poiché si è appurato che «l'attraversamento dell'area» è avvenuto, da parte della donna, «nella consapevolezza della pericolosità dell'area stessa».

Decisivo, come detto, il riferimento all'interrogatorio della persona danneggiata, la quale ha ammesso di «attraversare abitualmente il tratto di strada luogo del sinistro» e di «conoscere lo stato dissestato dell'area, peraltro, a suo dire, peggiorato il giorno dell'incidente, giorno in cui, oltretutto, aveva piovuto».

In sostanza, a fronte di tale quadro, la donna avrebbe dovuto percorrere quell'area con «ancora maggiore circospezione», cosa che, invece, non ha fatto. E questo dettaglio è sufficiente, confermano dalla Cassazione, per negarle il risarcimento.

Corretta, quindi, l'applicazione del principio secondo cui «in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso», soprattutto tenendo conto del dovere generale di ragionevole cautela. In sostanza, «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento danno».

*Fonte: dirittoegiustizia.it

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