La rimessione in termini nei procedimenti speciali e nel processo esecutivo

30 Settembre 2020

La legge 18 giugno n. 69 del 2009 ha modificato la collocazione normativa dell'istituto della rimessione in termine oggi disciplinato nell'art. 153, comma 2, c.p.c. L'avvenuta generalizzazione della rimessione in termini ha portato la dottrina e la giurisprudenza a sostenerne l'applicabilità anche alle decadenze dai poteri esterni al processo, come il potere di impugnazione ed il potere di proseguire o riassumere il processo. L'inserimento dell'istituto all'interno del Libro I del c.p.c. consente di estendere l'ambito di applicazione di questo istituto anche ai processi diversi da quello di cognizione, ovvero al processo esecutivo ed ai procedimenti speciali.
Il quadro normativo

L'istituto della rimessione in termini era disciplinato dall'art. 184-bis c.p.c., il quale, nonostante il tenore apparentemente generale, rimaneva una previsione collocata nel titolo I del libro II del codice di procedura civile, relativo al procedimento davanti al tribunale. Per tale ragione, la prevalente giurisprudenza di legittimità aveva più volte ribadito che l'art. 184-bisc.p.c. era una norma riferibile alle sole decadenze concernenti la fase istruttoria del processo di primo grado e, tramite il rinvio operato dall'art. 359 c.p.c., del secondo grado, non estensibile, però, in virtù del suo carattere eccezionale, alle c.d. situazioni esterne. La suddetta limitazione aveva posto non pochi problemi: infatti, alcuni autori non avevano esitato ad evidenziare che, ai fini di un adeguato rispetto del diritto di difesa, garantito dall'art. 24, comma 2, Cost., sarebbe stato opportuno ammettere la restituzione nel termine per proporre impugnazione tutte le volte in cui il mancato rispetto del suddetto termine non fosse dipeso dalla responsabilità della parte onerata (Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 119 ss.). Tuttavia, nella prevalente giurisprudenza di legittimità si era affermata la più rigorosa posizione (Asprella – Giordano, La riforma del processo civile, dal 2005 al 2009, in Giust. civ., 2009, suppl. al n. 6, 27), secondo la quale la disciplina della rimessione in termini posta dall'art. 184-bisc.p.c. concerneva solo la fase istruttoria e non era applicabile anche alla fase di proposizione delle impugnazioni.

L'inapplicabilità dell'istituto della rimessione in termini ai cd. poteri esterni era da ricondurre all'esigenza di assicurare la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche ed al timore che l'introduzione di una generale possibilità di rimessione in termini avrebbe fatto pagare un prezzo troppo alto alla certezza dei risultati del processo, la cui definitività ed immutabilità si sarebbero sempre potute rimettere in discussione. Questa prudenza, però, era stata anche criticata dalla dottrina, la quale aveva osservato che se si fosse rilievo alla causa non imputabile per rimettere la parte in termini, non c'era ragione per ritenere che ciò fosse possibile all'interno del processo e durante l'istruzione della causa e non anche quando si fosse fuori dalla fase istruttoria (Verde, Diritto processuale civile. Vol. 1: Parte generale, Bologna, 2014, 259 ss.).

La legge 18 giugno 2009, n. 69 si è resa interprete di tali esigenze: essa, infatti, ha abrogato l'art. 184-bisc.p.c. ed ha aggiunto un secondo comma all'art. 153 c.p.c. in cui è disciplinato l'istituto della rimessione in termini. Pur se il contenuto è pressoché il medesimo, è possibile notare che nella norma non si parla più di giudice istruttore, ma di giudice tout court. Si tratta di una differenza rilevante: l'espressione giudice istruttore, infatti, permetteva di sostenere l'applicabilità della rimessione in termini alle sole decadenze che si verificavano all'interno dell'attività istruttoria e che riguardavano, quindi, poteri processuali interni al singolo grado di giudizio. L'espressione attuale, invece, è sintomo del carattere generale assunto dalla nuova disciplina della rimessione in termini. Il cambiamento, solo apparentemente innocuo, rivela il movente della modifica legislativa, il quale si innesta sulla diversa collocazione dell'istituto della rimessione in termini all'interno del codice di procedura civile e sulle conseguenze che derivano da questa nuova collocazione (Panzarola, Sulla rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., in Riv. dir. proc., 2009, 1637; Salvaneschi, La riduzione del tempo del processo nella nuova riforma dei primi due libri del codice di rito, in Riv. dir. proc., 2009, 1575).

Lo spostamento, quindi, della disciplina della rimessione in termini, dall'art. 184-bisc.p.c., sito nel libro II, relativo al processo di cognizione, all'art. 153, comma 2, c.p.c., posto, invece, nel libro I, relativo alle disposizioni generali, nel titolo VI, relativo agli atti processuali, al capo II, dedicato ai termini, è indice dell'avvenuta generalizzazione dell'istituto in esame, ovvero della sua estensione rispetto all'assetto precedente e, di conseguenza, dell'ampliamento del suo ambito di applicazione, non più limitato alle sole decadenze interne al singolo grado di giudizio (D'adamo, Prime riflessioni sulla nuova rimessione in termini, in Riv. dir. proc., 2010, 386; Boccagna – De Santis, sub art. 153, in Codice di procedura civile. Commentario, a cura di Consolo, Milano, 2018, 1752 ss.).

L'ambito di applicazione: il rito del lavoro ed il rito sommario di cognizione

Lo spostamento della norma relativa alla rimessione in termini nel secondo comma dell'art. 153 c.p.c. e dunque nel libro I dedicato alle “Disposizioni generali”, incide, come già preannunciato, sull'ambito di applicazione della disciplina della rimessione in termini ampliandolo rispetto alla normativa previgente.

Certamente la nuova disposizione si applica alle decadenze che già rientravano nell'ambito applicativo dell'ormai abrogato art. 184-bisc.p.c., ovvero a tutte le decadenze maturate a carico delle parti durante lo svolgimento del singolo grado del giudizio, così come alle decadenze relative al grado di appello, cui era già ammessa l'estensione ex art. 359 c.p.c. Non solo. L'avvenuta generalizzazione dell'istituto ha permesso di estendere quest'ultimo anche alle decadenze dai poteri esterni al processo, come il potere di impugnazione ed il potere di proseguire o riassumere il processo. Si è sostenuto, infatti, che la diversa collocazione è indice della volontà di estendere il rimedio anche a tali poteri (Bove, La riforma della procedura, in Bove - Santi, Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto, Macerata, 2009, 51 ss.; Bucci, in Bucci - Soldi, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2009, 92; Briguglio, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell'ultima, ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.judicium.it, § 6; Ricci, La riforma del processo civile. Legge 18 giugno 2009, n. 69, Torino, 2009, 27 ss.; Cecchella, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, 60).

La rimessione in termini cd. generale risulta, poi, applicabile anche ai processi civili diversi da quello di cognizione. Più precisamente si ritiene che sia sicuramente applicabile al processo del lavoro e, di conseguenza, ai procedimenti speciali a cui si applicano le norme proprie del rito del lavoro, come le controversie previdenziali ed agrarie. Già prima dell'introduzione del comma 2 dell'art. 153 c.p.c. si era sostenuta, infatti, l'estensione per analogia dell'art. 184-bisc.p.c. al rito del lavoro: l'estensione era ammessa stante il duplice presupposto della sussistenza dell'identità di ratio, dovuta al fatto che la norma da estendere, il suo contesto ed il sistema chiamato a riceverla affondano le radici nella medesima concezione di politica del processo, e dell'assenza di incompatibilità tecnica, visto che entrambi i sistemi sono ordinati su una scansione di preclusioni (De Santis, La rimessione in termini nel processo civile, Torino, 1997, 327 ss.).

Si ritiene perciò che laddove la parte dimostri che la decadenza in cui è incorsa è dovuta alla sussistenza del presupposto della causa non imputabile, l'istituto della rimessione sia applicabile anche: 1) alla decadenza legata al termine entro cui il convenuto ex art. 416 c.p.c. deve costituirsi per proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio e le domande riconvenzionali, per prendere posizione circa i fatti affermati dall'attore e proporre tutte le sue difese ed indicare specificamente i mezzi di prova di cui intende avvalersi; 2) alla decadenza relativa al termine entro cui il terzo chiamato in causa deve costituirsi ex art. 420, comma 10, c.p.c.; 3) alla decadenza dal termine per l'integrazione degli atti introduttivi di cui all'art. 426 c.p.c.; 4) alla decadenza dal termine per la riassunzione del processo di cui agli artt. 427 e 428 c.p.c.; 5) alla decadenza legata al termine per la notifica del ricorso in appello e del decreto di fissazione dell'udienza ex art. 435 c.p.c.; 6) alla decadenza dal termine di costituzione dell'appellato di cui all'art. 436 c.p.c.; 7) alla decadenza dal termine per la riassunzione del processo sospeso per la presentazione del ricorso in sede amministrativa ex art. 443 c.p.c.

La Cassazione, tra l'altro, ha ritenuto applicabile la rimessione in termini anche in caso di documenti formati successivamente tanto alla domanda, quanto al maturare delle preclusioni istruttorie (Cass. civ., 15 ottobre 2018, n. 25631).

La nuova disposizione risulta, altresì, applicabile al procedimento sommario di cognizione, disciplinato agli artt. 702-bis ss. c.p.c., considerato anche il fatto che il suddetto procedimento è modellato sul processo ordinario di cognizione. Per cui sarà applicabile: 1) alla decadenza relativa al termine entro cui il ricorso deve essere notificato al convenuto, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza; 2) alla decadenza dal termine entro cui il convenuto deve costituirsi depositando la comparsa di risposta, nella quale ha l'onere di sollevare le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, di proporre le eventuali domande riconvenzionali e di dichiarare di voler chiamare in causa un terzo chiedendo al giudice lo spostamento dell'udienza; 3) alla decadenza relativa al termine entro cui il terzo chiamato in causa deve costituirsi; 4) alla decadenza dal termine per proporre appello avverso l'ordinanza ex art. 702-quater c.p.c. (Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, 249 ss.).

Estendibilità della rimessione in termini al processo esecutivo

L'ambito di applicazione della nuova rimessione in termini risulta, dunque, ben più ampio: è possibile estenderlo anche al di fuori del processo di cognizione e, quindi, anche al processo esecutivo ed ai procedimenti speciali disciplinati rispettivamente nel libro III e IV del codice di procedura civile (Boccagna – De Santis, sub art. 153, cit., 1762; Asprella – Giordano, La riforma del processo civile, dal 2005 al 2009, cit., 27; Punzi, Le riforme del processo civile e degli strumenti alternativi per la soluzione delle controversie, cit., 1215; Id., Novità legislative e ulteriori proposte di riforma in materia di processo civile, cit., 1200; Panzarola, Sulla rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., cit., 1641).

L'estensione dell'istituto della rimessione in termini al processo esecutivo pone, però, qualche problema in più rispetto al processo ordinario di cognizione, al processo sommario di cognizione ed al processo del lavoro. Ciò è dovuto al fatto che le conseguenze che possono derivare dall'inizio dell'esecuzione sono più incisive; inoltre, diventa rilevante chiedersi fino a quando è possibile ottenere di essere rimessi in termini, visto che la concessione del rimedio de quo influisce notevolmente nella sfera giuridica della controparte e non solo: occorre, infatti, tener conto anche dell'incidenza che esso avrebbe sui terzi.

Di certo, la rimessione in termini è applicabile al termine di cui all'art. 481 c.p.c. entro cui deve essere iniziata l'esecuzione: laddove, infatti, la parte dimostri di non aver potuto iniziare l'esecuzione per causa a lei non imputabile potrà evitare che il precetto perda efficacia a seguito del decorso del termine prescritto.

Altro termine da considerare è quello sancito all'art. 495c.p.c. per la richiesta di conversione del pignoramento: la parte che intende usufruire di questa possibilità deve depositare l'istanza in cancelleria unitamente ad una somma non inferiore ad un sesto dell'importo del credito, prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione. Se la parte dimostra di non aver potuto proporre l'istanza per causa a lei non imputabile potrà chiedere di essere rimessa in termini: occorre tuttavia tener conto del momento in cui viene formulata la richiesta. Se, infatti, è già stata disposta la vendita o l'assegnazione deve esserne garantita la stabilità della procedura e, pertanto, non sarà più possibile concedere la rimessione in termini. Più semplice risulta ammettere la rimessione in termini nel caso in cui la parte, ottenuta la conversione, abbia omesso di versare la somma nel termine previsto per causa a lei non imputabile.

La rimessione in termini sarà altresì applicabile nel caso in cui la parte non abbia potuto, sempre per causa a lei non imputabile, chiedere l'assegnazione o la vendita entro il termine di cui all'art. 497c.p.c.: in questo modo, la parte potrà evitare che il pignoramento perda efficacia. Tuttavia, problemi possono sorgere nel caso in cui il debitore, una volta che il pignoramento ha perso efficacia in virtù del fatto che la parte non ha chiesto l'assegnazione o la vendita entro il termine prescritto, abbia alienato il bene, ritenendolo non più soggetto a pignoramento, a terzi di buona fede. La funzione del pignoramento, com'è ben noto, consiste nell'assoggettare i beni pignorati ad un vincolo di indisponibilità. Si tratta, però, di un regime non di indisponibilità assoluta, ma di inefficacia relativa: gli atti di disposizione giuridica posti in essere dal debitore non sono né nulli né inefficaci erga omnes, ma solo inefficaci in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengono nell'esecuzione (art. 2913 c.c.). Sono, tuttavia, fatti salvi gli effetti del possesso di buona fede per i beni mobili ex art. 1153 c.c.: ciò dovrebbe spingere a negare la possibilità per il creditore di ottenere la rimessione in termini nel caso in cui il debitore abbia già alienato il bene mobile a terzi di buona fede.

Altro limite alla possibilità di essere rimessi in termini si pone nel caso in cui sia stata dichiarata l'estinzione del processo esecutivo ex art. 630 c.p.c., dato che con la medesima ordinanza con cui dichiara l'estinzione il giudice dispone anche che sia cancellata la trascrizione del pignoramento (art. 562 c.p.c.). Una volta, quindi, venuta meno anche la trascrizione del pignoramento il debitore è libero di alienare i beni non più vincolati e, di conseguenza, deve ritenersi che se il debitore ha già alienato il bene in questione ed il terzo acquirente abbia trascritto il suo acquisto il creditore non potrà più essere rimesso in termini. In caso contrario, invece, il creditore potrà proporre reclamo avverso l'ordinanza di cui all'art. 630 c.p.c. e chiedere di essere rimesso in termini adducendo la causa non imputabile.

Altro dubbio riguarda il termine previsto dagli artt. 499 e 525 c.p.c. per l'intervento dei creditori, che per essere tempestivo deve avvenire prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione. Il problema ovviamente riguarda i soli creditori chirografari, per i quali rileva la tempestività dell'intervento: essi, infatti, se sono tardivi possono concorrere soltanto alla distribuzione della somma ricavata che sopravanza, mentre i creditori privilegiati verranno soddisfatti sempre in ragione delle cause di prelazione. Ci si chiede, allora, se i creditori chirografari, che siano intervenuti tardivamente per la sussistenza di una causa a loro non imputabile, possano chiedere di essere rimessi in termini e partecipare alla distribuzione della somma ricavata alla stregua dei creditori tempestivi. Sulla base dell'avvenuta generalizzazione dell'istituto della rimessione in termini sembra doversi dare una risposta positiva.

Non sembrano porsi problemi, invece, per in merito al termine di cui all'art. 557 c.p.c. per il deposito della nota di trascrizione del pignoramento da parte del creditore procedente si evidenzia che il mancato rispetto del predetto termine comporta l'estinzione del processo, salvo che vi siano fattispecie giustificative di una rimessione in termini (Cass., 11 marzo 2016, n. 4751; Trib. Salerno, 21 novembre 2018, n. 4183).

Discorso analogo per il termine di cui all'art. 567 c.p.c. entro il quale il creditore che richiede la vendita deve allegare l'estratto del catasto, i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato effettuate nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento. Il limite alla possibilità di ottenere la rimessione in termini deriva in questo caso dall'eventuale alienazione del bene e dalla trascrizione dell'acquisto da parte del terzo, in seguito all'ordinanza con la quale il giudice ha dichiarato l'inefficacia del pignoramento e disposto la cancellazione della trascrizione del medesimo. In tal caso occorre, infatti, tutelare il terzo di buona fede, che ha acquistato un bene ormai non più soggetto al vincolo del pignoramento.

Un altro termine importante nel processo esecutivo è quello di cui all'art. 569 c.p.c., entro cui possono essere proposte le offerte d'acquisto, una volta che il giudice ha disposto la vendita. Ci si chiede se l'offerente che non ha potuto proporre l'offerta nel termine indicato per una causa a lui non imputabile possa essere rimesso in termini e partecipare alla gara. La situazione desta perplessità, in particolare nel caso in cui si sia già conclusa la gara tra gli offerenti oppure il giudice abbia disposto la vendita a favore del maggior offerente. Anche in questo caso sembra doversi negare la possibilità all'offerente di essere rimesso in termini se già è stata disposta la vendita, la cui stabilità va salvaguardata. Ulteriori offerte di acquisto possono, poi, essere fatte entro il termine di cui all'art. 584, comma 3, c.p.c. Si ritiene che anche in questo caso l'offerente potrà chiedere di essere rimesso in termini se non ha potuto rispettare il termine per una causa a lui non imputabile. Tuttavia, il rimedio non può essere concesso se l'aggiudicazione è divenuta definitiva, come si è già detto nel caso in cui sia già stata disposta la vendita.

Un altro termine da prendere in considerazione è quello previsto dall'art. 585 c.p.c. entro cui l'aggiudicatario deve versare il prezzo: infatti, in mancanza il giudice dichiarerà la decadenza dell'aggiudicatario e provvederà a disporre un nuovo incanto ex art. 587 c.p.c. In riferimento a tale termine non sembrano esserci dubbi circa l'applicabilità della rimessione in termini: infatti, già prima della riforma del 2009 era stata affermata l'applicabilità dell'istituto al termine de quo (Trib. Terni, 19 maggio 2005, in Giur. merito, 2005, 2123).

Circa il termine di venti giorni previsto dall'art. 617 c.p.c. per la proposizione dell'opposizione agli atti esecutivi la Cassazione ha ritenuto ammissibile, nel caso eccezionale di impossibilità incolpevole di azionare tempestivamente i rimedi endoprocessuali, una rimessione in termini per proporre il rimedio tipico se il processo esecutivo ancora pende e purché ne ricorrano tutti i presupposti e, se il processo esecutivo non è più pendente, un'azione autonoma (Cass. civ., 22 aprile 2014, n. 7708).

Considerata l'avvenuta generalizzazione della rimessione in termini sembra possibile ammetterla anche in caso di decadenza dal termine per l'introduzione del giudizio di merito ex artt. 616 e 618 c.p.c. Tuttavia, se è stata disposta la sospensione del processo e l'ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo ed il giudizio di merito non è stato introdotto, il giudice dell'esecuzione, a norma dell'art. 624, comma 3, c.p.c., dichiara anche d'ufficio l'estinzione del processo ed ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento. Ci si chiede allora se sia possibile concedere la rimessione in termini una volta che sia stata già dichiarata l'estinzione del processo. Come già sottolineato in precedenza, avverso l'ordinanza con cui il giudice dichiara l'estinzione ex art. 630 c.p.c. è possibile proporre reclamo, sicché deve ritenersi che la parte possa proporre reclamo e chiedere la rimessione in termini. Lo stesso dovrebbe valere nel caso in cui la parte non abbia potuto rispettare il termine entro il quale il processo doveva essere proseguito o riassunto: infatti, se le parti non lo proseguono o non lo riassumono il processo esecutivo si estingue ex art. 630 c.p.c.

Il rimedio restitutorio va concesso anche in caso di decadenza dal termine per proporre opposizione agli atti esecutivi di cui all'art. 617 c.p.c. In caso di decadenza, invece, dal termine per proporre opposizione di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 c.p.c., occorre verificare se è già stata disposta la vendita: in tal caso, infatti, come previsto dall'art. 620 c.p.c., il terzo potrà far valere i suoi diritti solo sulla somma ricavata, per cui non potrà essere rimesso in termini.

La rimessione in termini ed i procedimenti speciali

La rimessione in termini è, alla luce dell'avvenuta generalizzazione, applicabile anche ai procedimenti speciali di cui al libro IV del codice di procedura civile. Pertanto, la parte potrà invocare il rimedio restitutorio in caso di decadenza dal termine di cui all'art. 644 c.p.c., entro cui occorre notificare il decreto ingiuntivo. La giurisprudenza ne ha affermato l'applicabilità ed ha concesso la rimessione in termini al creditore per la rinotifica del decreto ingiuntivo, sostenendo che «il nuovo secondo comma dell'art. 153 prevede ora un principio generale di rimessione in termini per la parte che sia incorsa in decadenze senza colpa e che lo spostamento del contenuto della disciplina nell'art. 153, cioè nel capo del codice dedicato in via generale ai termini processuali, non possa che avere il significato di applicazione generalizzata dell'istituto della rimessione in termini» (Trib. Asti, 23 aprile 2019; Trib. Torino, 31 gennaio 2014; Trib. Varese 4 ottobre 2012; Trib. Torino 18 giugno 2012; Trib. Torino, 4 marzo 2011; Trib. Mondovì, 19 febbraio 2010).

Per quanto concerne, infine, i procedimenti cautelari e possessori si ribadisce quanto già osservato per il processo esecutivo, per cui la rimessione in termini sarà applicabile anche alle decadenze relative al procedimento cautelare uniforme, ovvero: 1) alla decadenza dal termine, di cui all'art. 669-sexiesc.p.c., per la notificazione del ricorso e del decreto con cui è stata rilasciata la misura cautelare (Trib. Napoli, 5 dicembre 2019); 2) alla decadenza dal termine, di cui all'art. 669-octiesc.p.c., entro cui la parte deve iniziare il giudizio di merito, per evitare che il provvedimento cautelare conservativo perda efficacia (Turroni, Inefficacia dei provvedimenti cautelari, in www.ilprocessocivile.it, 2017); 3) alla decadenza dal termine per proporre reclamo ex art. 669-terdeciesc.p.c.; alla decadenza dal termine ex art. 703 c.p.c. entro cui le parti devono chiedere di proseguire il giudizio di merito.

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