Il diritto delle singole componenti della RSU ad indire l'assemblea ex art. 20 St. lav. e il limite del monte ore

Ilaria Dal Lago
30 Settembre 2020

Il diritto delle singole componenti della RSU (dotate di rappresentatività ex art. 19 l. n. 300/70, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013) di indire l'assemblea retribuita ex art. 20 L. 300/70 può essere accordato nella misura in cui non risulti superato il limite delle tre ore annue previsto dall'art. 4, comma 5, lett. a) del Testo unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014.
Massima

Il diritto delle singole componenti della RSU (dotate di rappresentatività ex art. 19 l. n. 300/70, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013) di indire l'assemblea retribuita ex art. 20 l. n. 300/70 può essere accordato nella misura in cui non risulti superato il limite delle tre ore annue previsto dall'art. 4, comma 5, lett. a) del Testo Unico sulla rappresentanza 10 gennaio 2014.

Il caso

La vicenda che ha condotto alla pronuncia qui in esame origina dal rifiuto datoriale di concedere un'assemblea retribuita ex art. 20 L. 300/700, richiesta disgiuntamente dalla FIOM-CIGL quale componente della RSU. L'accoglimento del ricorso ex art. 28 l. n. 300/70, proposto dalla relativa O.S. di Napoli, confermato in fase di opposizione del Tribunale di Nola, viene messo in discussione, con conseguente riforma, dalla pronuncia n. 2057/2020 della Corte d'Appello di Napoli. Quest'ultima, partendo da un dato fattuale non adeguatamente considerato e valutato nei precedenti gradi di giudizio, ovverosia il superamento del limite di tre ore annue a disposizione delle singole sigle sindacali ex art. 4, comma 5, lett. a), T.U. 2014, critica la decisione impugnata dalla società nella parte in cui riconosce il diritto ad indire disgiuntamente l'assemblea retribuita in capo alle singole componenti della RSU per l'intero monte ore annuo (fissato in dieci ore dall'art. 20 l. n. 300/70).

La Corte distrettuale, anche alla luce delle modifiche ed innovazioni apportate dal T.U. sulla Rappresentanza, ritiene che, fatta salva la “riserva” delle tre ore per le singole O.O.S.S., il potere di indire sette delle dieci ore di assemblea retribuita spetti esclusivamente alla RSU unitariamente considerata. L'art. 7 del T.U. 2014 ha, infatti, esplicitato quale regola generale di funzionamento della RSU l'assunzione delle decisioni a maggioranza, con conseguente configurazione di un organo a carattere collegiale.

In considerazione delle suesposte motivazioni, la Corte d'Appello di Napoli, ritenendo provato il superamento del limite delle tre ore annue, accoglie l'appello, escludendo il carattere antisindacale della condotta datoriale.

La questione

La pronuncia in esame offre l'occasione di ripercorrere l'evoluzione legislativa, contrattuale e giurisprudenziale in materia di organizzazione sindacale nei luoghi di lavoro.

Partendo dal dato normativo e, segnatamente, dall'art. 19 l. n. 300/70, si incontrano le Rappresentanze Sindacali Aziendali, che, a seguito del referendum del giugno 1995 e della sentenza additiva di accoglimento della Corte costituzionale n. 231/2013, possono oggi essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell'ambito di qualunque associazione sindacale, purchè firmataria del contratto collettivo applicato all'unità produttiva o almeno partecipante alle trattative per la stipulazione del contratto.

Accanto alla disciplina legale delle RSA convive, ormai da alcuni decenni, la disciplina contrattuale di una diversa forma di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, la Rappresentanza Sindacale Unitaria. La disciplina delle RSU, inizialmente delineata dall'Accordo Interconfederale del dicembre 1993 e rimasta invariata per molti anni, è stata da ultimo innovata con il Testo Unico sulla Rappresentanza del giugno 2014.

Numerose risultano le disposizioni contrattuali che a partire dal 1993 hanno dato adito ad annose questioni interpretative, a cui non ha saputo porre rimedio nemmeno il più recente T.U. del 2014.

Con specifico riferimento alle prerogative delle RSU ed alle modalità di esercizio della loro attività, la giurisprudenza e la dottrina sono state e continuano ad essere impegnate nel dibattito sulla legittimazione, congiunta o disgiunta, ad indire l'assemblea retribuita di cui all'art. 20 dello Statuto dei lavoratori.

La querelle origina dal fatto che gli artt. 4 e 5 dell'A.I. del 1993, così come gli artt. 4 e 5 del T.U. del 2014, delineano i “Diritti, permessi, libertà sindacali, tutele e modalità di esercizio” nonché i “Compiti e funzioni” delle RSU mediante un rinvio alle prerogative già previste dalla disciplina legale per le RSA ed i loro dirigenti.

Segnatamente, l'art. 5, tanto dell'A.I. 1993 quanto del T.U. 2014, prevede il “subentro” delle RSU “alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto di disposizioni di legge”. Tra i poteri delle RSA non si può non annoverare quello di convocazione dell'assemblea retribuita, per un monte ore annuo complessivo di dieci ore, potere che, a norma dell'art. 20, comma 2, l. n. 300/70 può essere esercitato dalle rappresentanze sindacali aziendali “singolarmente o congiuntamente”. Pertanto, in forza del suddetto rinvio, le RSU subentrano anche nel diritto di indire l'assemblea retribuita; tuttavia, tali rappresentanze sindacali, definite appunto “unitarie”, presentano una struttura, una composizione ed un funzionamento necessariamente diversi da quelli delle RSA: da qui il dubbio interpretativo ed il conseguente dibattito sorto in seno alla giurisprudenza ed alla dottrina in merito alla possibilità per le componenti della RSU di convocare anche disgiuntamente l'assemblea retribuita.

Le soluzioni giuridiche

Le (contrapposte) soluzioni tradizionalmente offerte dalla giurisprudenza (sia di merito che di legittimità), nonché dalla dottrina, risultano ben illustrate e compendiate nella pronuncia resa a Sezioni unite dalla Corte di cassazione n. 13978/2017.

Un primo orientamento, valorizzando proprio la qualificazione “unitaria” delle rappresentanze sindacali istituite dall'A.I. del 1993, esclude che il potere di indire l'assemblea retribuita spetti anche alle singole componenti della RSU: tale potere spetterebbe soltanto all'organo collegiale, chiamato a decidere a maggioranza.

Un secondo orientamento, inaugurato da Cass. n. 1892/2005 e sviluppato da Cass. n. 15437/2014 e n. 17458/2014, non ravvisa alcuna incompatibilità tra la natura collegiale della RSU e la coesistenza del diritto di indire l'assemblea retribuita in capo a ciascun suo componente (purché eletto nelle liste di un sindacato munito, con riferimento alla specifica azienda, della rappresentatività di cui all'art. 19 l. n. 300/70, nella lettura fornita nel 2013 dal giudice delle leggi).

Le Sezioni Unite del 2017 hanno ritenuto di aderire a questa seconda soluzione interpretativa, risultante da una lettura sistematica e coordinata delle disposizioni legislative (art. 20 l. n. 300/70) e contrattuali (artt. 4 e 5 A.I. 1993).

In primo luogo, se l'art. 5 dell'A.I. realizza il subentro delle RSU alle RSA con riferimento alle prerogative dell'organismo unitario (“Le RSU subentrano alle RSA ed ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni ad essi spettanti per effetto delle disposizioni di legge”), l'art. 4, comma 1, dell'A.I. si occupa di realizzare il subentro con riferimento alle prerogative dei singoli delegati eletti (“I componenti delle RSU subentrano ai dirigenti delle RSA nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti; per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge n. 300/70” – come chiarito dalle stesse SS.UU., la clausola si riferisce ai diritti dei singoli lavoratori dirigenti di RSA e opera su un piano di tutele squisitamente personali).

Pertanto, il quadro che viene a delinearsi e che ha suscitato i dubbi sulla titolarità congiunta/disgiunta del potere di indire l'assemblea parrebbe essere il seguente: la norma contrattuale che tratta la RSU come organo unitario fa un rinvio alle prerogative previste dalla legge in capo alle RSA, tra cui il potere di convocazione dell'assemblea di cui all'art. 20 l. n. 300/70; la norma contrattuale che si occupa dei singoli componenti della RSU rinvia alle prerogative proprie della persona del dirigente di RSA, e.g. in materia di trasferimenti e licenziamenti, non ricomprendendovi pertanto il potere di indire l'assemblea.

Ad avviso di un'ampia giurisprudenza di merito e di una corposa dottrina, tali elementi farebbero deporre per una natura pienamente collegiale della RSU e per la conseguente incompatibilità del potere di convocazione dell'assemblea in capo ai suoi singoli componenti. In altre parole, “le prerogative delle singole RSA si sarebbero tutte confuse e dissolte all'interno del principio di maggioranza che regge le RSU”.

Tuttavia, le Sezioni Unite invitano a proseguire nell'analisi proprio dell'art. 4 dell'A.I. del 1993, evidenziando come i commi successivi al primo prevedano delle precisazioni e delle eccezioni rispetto al generale subentro dei componenti delle RSU nelle prerogative dei dirigenti di RSA.

Per quel che qui rileva, il quinto comma dell'art. 4, alla lett. a), si occupa proprio dell'assemblea retribuita, prevedendo che “In tale ambito sono fatti salvi in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il CCNL applicato all'unità produttiva, i seguenti diritti […] diritto ad indire, singolarmente o congiuntamente, l'assemblea dei lavoratori durante l'orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex art. 20, l. n. 300/1970”.

Con la successiva precisazione (“Ciò vuol dire che nell'ottica del cit. accordo interconfederale una data associazione sindacale, malgrado la sua presenza all'interno della RSU, può anche singolarmente indire l'assemblea”), le Sezioni Unite evidenziano una ripartizione, da parte della disposizione contrattuale, del monte ore legale destinato all'assemblea retribuita.

Escludendo espressamente che la quota delle tre ore sia stata riservata alle organizzazioni esterne alla RSU, la Corte ritiene piuttosto che tale quota sia stata prevista a favore delle componenti della RSU espressione dei sindacati firmatari del CCNL applicato nell'unità produttiva (rectius, dei sindacati rappresentativi ai sensi dell'art. 19 l. n. 300/70, come modificato dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 231/2013).

Non è un caso che i componenti della RSU con diritto ad indire singolarmente l'assemblea vengano individuati nello stesso alveo nel cui ambito è possibile la costituzione delle RSA: evidentemente, essendo il potere di indire assemblee attribuito alla singola RSA, che può autonomamente esercitarlo, questo diritto non poteva essere negato alla singola componente della RSU. Pertanto, al fine di garantire spazi di “specifica agibilità sindacale”, è stata individuata la soluzione di compromesso di cui all'art. 4, comma 5, lett. a), dell'A.I. 1993.

Compromesso, in quanto tale potere incontra pur sempre il limite delle tre ore annue: l'affermazione per cui “ben possono un organismo elettivo come la RSU e il principio di maggioranza convivere con limitate prerogative di singole componenti dell'organismo medesimo” parrebbe confermare il fatto che la restante quota di sette ore annue rimanga attribuita alla RSU quale organismo unitario e collegiale.

La pronuncia della Corte d'Appello di Napoli qui in esame, tuttavia, impone di indagare altresì l'evoluzione giurisprudenziale all'indomani dell'arresto delle Sezioni Unite.

Non si può infatti trascurare che nel 2017 la Cassazione ha affrontato il problema della legittimazione congiunta e/o disgiunta della RSU ad indire l'assemblea retribuita andando ad interpretare le disposizioni contrattuali dell'A.I. del 1993, essendo quella la disciplina ratione temporis applicabile alla fattispecie concretamente sottoposta all'esame della Corte.

Ebbene, sin da subito la giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate sulla validità della soluzione interpretativa fornita dalle Sezioni Unite in ipotesi ricadenti, invece, sotto la più recente disciplina pattizia introdotta con il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014.

In un passo, seppur sfuggente, della pronuncia a SS.UU. del 2017, i giudici di legittimità ritengono di non poter individuare, nel nuovo testo contrattuale, alcun elemento idoneo ad incidere sulla soluzione interpretativa dagli stessi già fornita (“La conclusione cui si è pervenuti non muta neppure alla luce dell'accordo interconfederale 10.1.2014, c.d. testo unico sulla rappresentanza sindacale, siglato da Confindustria e da CGIL, CISL e UIL…”).

La validità della lettura ermeneutica fornita dalle Sezioni Unite anche rispetto alla formulazione del T.U. del 2014 viene ribadita con forza dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. lav., n. 2862/2020 e n. 3067/2020), che evidenzia espressamente le novità del nuovo testo contrattuale e la loro sostanziale sovrapposizione al tenore letterale dell'accordo del 1993.

L'enunciazione di un vero e proprio principio di diritto (“il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell'Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014…deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 20, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente della RSU stessa, purché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell'azienda di riferimento, sia , di fatto, dotato di rappresentatività”) si è allora resa necessaria alla luce di quella ampia dottrina e giurisprudenza di merito che, già scontenta dell'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite con riferimento all'accordo del 1993, ha atteso l'applicazione del T.U. del 2014 e delle novità lessicali ivi introdotte per discostarsene e tornare ad escludere la prerogativa per il singolo componente la RSU di indire assemblee retribuite.

Osservazioni

Nella propria pronuncia, la Corte d'Appello di Napoli muove da un dato fattuale, che, per quanto pacifico tra le parti, il Tribunale di Nola non avrebbe adeguatamente considerato e valorizzato, a causa di una distorta lettura in punto di diritto.

Ritenendo, infatti, che la legittimazione dei singoli componenti della RSU ad indire l'assemblea fosse estesa al complessivo monte ore di cui all'art. 20 l. n. 300/70 (dieci ore annue), il giudice del grado di opposizione non ha dato alcuna rilevanza al superamento della quota di tre ore riservata dall'art. 4, comma 5, lett. a), T.U. 2014 alle “organizzazioni sindacali di categoria firmatarie il CCNL applicato nell'unità produttiva”.

Invero, alla luce dell'interpretazione fornita dalle Sezioni Unite di Cassazione, valevole (come visto più sopra) anche rispetto alla riformulazione operata dal T.U. del 2014, in una logica di “compromesso” la predetta quota di tre ore sarebbe stata riservata dalle parti stipulanti proprio ai singoli componenti delle RSU, purchè dotati di rappresentatività ex art. 19 l. n. 300/70 (come modificato da Corte cost. n. 231/2013).

In più punti la pronuncia delle SS.UU. ribadisce il carattere “limitato” della prerogativa delineata in capo alle singole componenti della RSU, che proprio in quanto “limitata eccezione” ben può convivere con un organismo elettivo come la RSU ed il principio di maggioranza.

Tant'è che anche nel caso sottoposto alle Sezioni Unite nel 2017 l'azienda, tra i motivi di ricorso, ha lamentato l'omesso esame del superamento delle tre ore annue a disposizione delle singole sigle sindacali: ebbene, la Corte non ha rigettato tale motivo di ricorso ritenendo che il potere di convocazione in capo alle singole componenti della RSU fosse esteso al complessivo monte ore annuo (dieci ore), ma in ragione di “mere” questioni processuali (ovverosia, l'accertamento in fatto già condotto dalla Corte d'Appello, che aveva escluso il superamento della quota delle tre ore, nonché l'inadeguatezza della formulazione del motivo di ricorso, carente sotto il profilo dell'autosufficienza). Vi è di più: la Corte ha aggiunto che laddove l'accertamento in fatto avesse condotto a rilevare il superamento del limite delle tre ore annue a disposizione delle singole sigle sindacali, tale superamento “avrebbe avuto efficacia dirimente della controversia, a prescindere da ogni ulteriore considerazione sulla legittimazione a richiedere l'assemblea”.

L'approdo raggiunto dalla Corte d'Appello di Napoli nella pronuncia n. 2057/2020 pare in linea con le considerazioni sin qui svolte: la Corte distrettuale ha infatti riformato la sentenza del Tribunale tornando ad accertare l'effettivo superamento del limite delle tre ore annue (“Più precisamente, e tanto non è oggetto di contestazione per cui le risultanze del documento riepilogativo sono pacifiche tra le parti, nell'anno 2014 FIM, FIOM e UILM avevano fruito di tre delle 10 ore di assemblea retribuire rispettivamente il 28 maggio, il 19 febbraio ed il 5 maggio”) ed evidenziando che “è possibile legittimare la richiesta avanzata da una sola componente della RSU ovvero dalla O.S. FIOM solo ove non fosse superato il monte delle 3 ore previsto dall'art. 4, comma 5 lettera a) del TU 2014”.

Maggiori perplessità desta l'apparato motivazionale della sentenza in esame: il Collegio giunge al predetto approdo a partire da una giurisprudenza di merito che ha invece radicalmente negato il diritto di convocazione in capo ai singoli componenti della RSU.

Infatti, la Corte distrettuale, pur ritenendo la legittimazione delle singole componenti della RSU ad indire l'assemblea nel limite delle tre ore annue, dichiara di condividere talune argomentazioni svolte dai Tribunali di Venezia e Torino; segnatamente il passo riportato a pagina 4 della sentenza, che pare appartenere a Tribunale Venezia sez. lav., 29 febbraio 2016, svolge alcune considerazioni sull'esplicitazione operata dall'art. 7 del T.U. 2014 della regola di funzionamento della RSU (principio di maggioranza), finalizzate proprio ad escludere la legittimazione delle componenti della RSU: “…fino all'accordo interconfederale del 2014 poteva predicarsi la coerenza con il sistema della spettanza per ciascuno dei componenti della RSU di indire assemblee retribuite, in assenza di norme specifiche destinate a regolare il funzionamento della RSU: come si evince nei passaggi sopra riportati, la soluzione favorevole alla o.s. ricorrente affermata dalla più recente Cassazione deriva dall'importante precisazione per cui la RSU non è un organismo collegiale. Tuttavia questa affermazione contrasta con quanto previsto dall'accordo interconfederale del 2014, laddove al punto 7, innovando profondamente la libertà di meccanismi decisionali che caratterizzava le RSU nell'ambito dell'accordo interconfederale del 1993, stabilisce che ‘Le decisioni relative a materia di competenza delle RSU sono assunte dalle stesse a maggioranza'”.

Il richiamo a tale giurisprudenza di merito da parte della Corte d'Appello napoletana risulta inconferente quantomeno per due ragioni: in primo luogo, perché la pronuncia veneziana utilizza la formulazione dell'art. 7 T.U. 2014 (e l'esplicitazione del criterio della maggioranza ivi contenuta) per “delegittimare” i singoli componenti della RSU rispetto all'indizione dell'assemblea retribuita (e non semplicemente per contenere il loro potere di indizione entro il limite delle tre ore annue); in secondo luogo, perché la pronuncia del Tribunale di Venezia richiamata (risalente al 2016) risulta, proprio in relazione alle considerazioni sull'art. 7 T.U. 2014, quantomeno “obsoleta” alla luce della lettura fornita dalle successive pronunce rese dalle Sezioni Unite e dalla Sezione Lavoro della Corte di cassazione (“l'aggiunta, all'art. 7 del T.U. del 2014, dell'esplicito riferimento al principio maggioritario […] conferma la natura di organismo a funzione collegiale della RSU, la quale dunque assume il principio di maggioranza quale criterio di espressione del principio democratico nel momento decisionale, senza che tale caratteristica precluda al singolo il mero esercizio di diritti che non importano decisioni vincolanti nei confronti degli altri”, cfr. Cass. 3067/2020).

Pertanto, nell'apparato motivazionale della sentenza napoletana il riferimento a codesta giurisprudenza di merito al fine di “contenere” il potere di convocazione in capo alle singole componenti della RSU entro la quota di tre ore annue risulta per taluni aspetti fuorviante e poco funzionale allo scopo.

Guida all'approfondimento

- Ballestrero M.V., Diritto sindacale. Quinta edizione aggiornata, G. Giappichelli Editore, Torino, 2014, pp. 131-160;

- Cafiero C., Il monte ore delle assemblee sindacali durante l'orario di lavoro, in Giurisprudenza Italiana, n. 5/2015, p. 1186;

- Tosi P., Puccetti E., Diritto sindacale. La titolarità del diritto di indire assemblee spetta infine alle sole RSU, in Giurisprudenza Italiana, n. 11/2017, p. 2431;

- Bellocchi P., L'assemblea sindacale retribuita e la collegialità ‘imperfetta' della RSU, in Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, n. 10/2017, pp. 638-651;

- Amato V., Le Sezioni Unite e l'indizione dell'assemblea da parte della singola componente della RSU, in Il Lavoro nella giurisprudenza, n. 4/2018, pp. 382-391;

- Ferrari P., RSU e diritto di indizione disgiunta dell'assemblea, in Giurisprudenza Italiana, n. 4/2020, p. 885.