Impugnazione della rinuncia all'eredità e “legittimazione processuale passiva”
01 Ottobre 2020
Ai sensi dell'art. 524 c.c. i creditori di colui che ha rinunciato all'eredità, con loro danno, possono farsi autorizzare ad accettare la medesima in nome e luogo del rinunciante al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari. In questo caso, quali soggetti devono essere chiamati in causa, il solo rinunciante o anche i successivi chiamati che abbiano accettato?
Senza potersi occupare, in questa sede, della natura dell'azione prevista dall'art. 524 c.c., nonché delle questioni relative ai principi in tema di trascrizione della domanda giudiziale in questione, ove l'eredità comprenda beni immobili o mobili registrati, il problema che si deve affrontare in questa sede riguarda la “legittimazione passiva” nel giudizio in questione. Ancor meglio, più che di legittimazione processuale bisognerebbe parlare della effettiva titolarità del diritto, dal lato attivo e passivo, ma tale sede, evidentemente, non permette tale distinzione; basterà, pertanto, qui precisare che ci si intende riferire alla titolarità del diritto controverso ed agli interessi da tutelare in capo ai rispettivi soggetti che consigliano, o in alcuni casi impongono, la chiamata in causa di una molteplicità di parti. Infatti, il problema sorge dal fatto che l'impugnazione della rinuncia all'eredità coinvolge non solo il rinunziante ma, indirettamente, anche gli eventuali chiamati successivi che abbiano accettato l'eredità, dato che si ritiene pacifico che tale impugnazione possa essere esperita dai creditori del rinunziante anche dopo l'intervenuta accettazione dell'eredità da parte di uno dei chiamati successivi. Sul punto si osservano, sostanzialmente, due opposte posizioni. Parte della dottrina ritiene che l'azione debba proporsi sia contro il rinunziante sia contro l'erede accettante, il quale avrà facoltà di liberarsi nei confronti dei creditori offrendo il valore dei beni oppure soddisfacendo il credito od anche rilasciando i beni, in analogia a quanto dispongono gli artt. 507 e 2858 c.c. La stessa dottrina, poi, riconosce che il chiamato successivo che si sia visto aggradire i beni ereditari abbia azione di regresso nei confronti del rinunciante la cui rinuncia sia stata vittoriosamente esperita dal suo creditore. Di contrario avviso è altra parte della dottrina e la giurisprudenza, secondo le quali solo il rinunciante potrebbe essere chiamato in giudizio; l'eventuale erede successivo, accettante l'eredità, potrebbe, pertanto, intervenire volontariamente e solamente per veder respingere la domanda del creditore, trattandosi di beni di sua proprietà. Chiara è la posizione della giurisprudenza secondo la quale, già in epoca non più recente ma ad oggi non contraddetta: «L'azione esercitata dal creditore ai sensi dell'art. 524 c.c. per essere autorizzato ad accettare l'eredità in nome ed in luogo del debitore rinunziante ha una funzione strumentale per il soddisfacimento del credito, in quanto mira a rendere inopponibile al creditore la rinunzia e a consentirgli di agire sul patrimonio ereditario, rendendogli estranea la delazione del terzo chiamato per effetto della rinunzia da lui impugnata. Ne deriva che la legittimazione passiva spetta unicamente al debitore rinunciante, mentre i successivi chiamati che hanno accettato l'eredità possono considerarsi portatori di un interesse idoneo a consentire unicamente un intervento in causa adesivo dipendente, per sostenere le ragioni del debitore rinunziante, senza poter proporre domande proprie, diverse da quella di appoggio alla domanda della parte adiuvata» (Cass. civ., 25 marzo 1995, n. 3548). Nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 24 novembre 2003, n. 17866, secondo la quale: «Il debitore rinunciante all'eredità è il solo soggetto passivamente legittimato all'azione intentata dai creditori ex art. 524 c.c., con la conseguenza che, al suo decesso, legittimato passivo risulta il suo erede quale persona che gli succede in universum ius, e, quindi, nella situazione di debitore rinunciante all'eredità, da cui scaturisce la legittimazione passiva de qua». Bisogna, tuttavia, considerare che una pronuncia di legittimità, oramai datata ma non contraddetta, si pone il problema del conflitto tra i creditori del rinunciante e gli aventi causa dall'erede chiamato successivamente che abbia accettato: «In caso di conflitto tra i creditori del rinunziante e gli aventi causa dell'erede che ha accettato l'eredità in luogo del rinunziante, per conseguire l'effetto previsto dal n. 1 dell'art. 2652 c.c. la domanda con la quale si esercita l'impugnazione ex art. 524 c.c. dev'essere trascritta nei confronti di colui al quale l'eredità è devoluta, che dev'essere necessariamente convenuto in giudizio insieme al rinunziante. In mancanza di trascrizione della domanda nei confronti del successivo chiamato al quale l'eredità è devoluta per effetto della rinunzia, il conflitto tra i creditori del rinunziante e gli aventi causa dell'accettante si risolve a favore di questi ultimi, indipendentemente dalla circostanza che il loro acquisto sia stato trascritto successivamente alla trascrizione della domanda ex art. 524 c.c. proposta nei confronti del rinunziante» (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2003, n. 15468). Orbene, appare subito evidente che la pronuncia sull'impugnazione di una rinuncia all'eredità debba poter essere spesa anche nei confronti di eventuali ulteriori soggetti chiamati ed accettanti l'eredità e nei confronti di eventuali aventi causa da questi. Questa considerazione, sollevata correttamente anche dalla giurisprudenza da ultimo richiamata, consiglia di proporre l'azione ex art. 524 c.c. anche nei confronti di eventuali altri chiamati in via successiva ed accettanti l'eredità e di curarne la trascrizione nei confronti del chiamato accettante, ove la massa ereditaria comprenda beni immobili o mobili registrati. Ancor meglio, qualora a seguito della rinuncia all'eredità del primo chiamato, poi oggetto di impugnazione, gli eventuali ulteriori chiamati non abbiano ancora accettato, sarà opportuno stimolarne la decisione utilizzando la cosiddetta actio interrogatoria di cui all'art. 481 c.c., al fine di poter avere esatta contezza dei soggetti da evocare in giudizio. Ciò, si ripete, a scopo tuzioristico, valutando, caso per caso, l'opportunità di una tale cautela in riferimento al caso concreto.
|