Le preclusioni processuali maturate nel rito sommario di cognizione: quale rilevanza in caso di mutamento del rito ex art. 702-ter c.p.c.?

Giusi Ianni
05 Ottobre 2020

La pronuncia in commento risponde al seguente quesito: quale rilevanza hanno, quindi, le preclusioni maturate nella fase iniziale del procedimento, svoltasi con rito sommario di cognizione, qualora il processo prosegua con rito ordinario in forza di mutamento del rito disposto dal giudice ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c.?
Massima

Le preclusioni maturate nella fase sommaria del procedimento non rilevano nel giudizio ordinario a cognizione piena che si instaura all'esito della conversione del rito sommario, nulla in tal senso disponendo l'art. 702-bis e l'art. 702-ter c.p.c.

Il caso

Con sentenza del 5/12/2017 la Corte d'appello di Roma respingeva il gravame interposto dalla società G. s.a.s. avverso la pronunzia del Tribunale di Roma che aveva accolto la domanda proposta nei suoi confronti dalla società A. s.p.a., al fine di ottenere la risoluzione del contratto di convenzionamento intercorso tra le due società e la restituzione delle somme versate in esecuzione del contratto medesimo. Avverso la predetta sentenza, la G. sas proponeva ricorso per cassazione, eccependo, per quanto rileva, l'errore in rito commesso dai giudici di merito, che avevano dato rilevanza alle preclusioni processuali maturate per il convenuto nella fase iniziale del procedimento, svoltosi con rito sommario di cognizione, malgrado il giudice di primo grado avesse disposto il mutamento del rito ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c., quale norma non contenente alcuna previsione di conferma delle preclusioni processuali formatesi nel rito sommario poi mutato in ordinario. I motivi relativi erano ritenuti fondati dalla Suprema Corte, che annullava con rinvio la sentenza impugnata.

La questione

Il processo che si svolge con rito sommario di cognizione per scelta dell'attore (ai sensi degli art. 702-bis e ss. c.p.c.) si caratterizza per la previsione di termini e preclusioni processuali a carico delle parti, in particolare del convenuto, che ha l'onere, ai sensi dell'art. 702-bis, commi 4 e 5, di costituirsi in giudizio nel termine indicato dal giudice nel decreto di fissazione di udienza (e, in mancanza, almeno dieci giorni prima la data di udienza) se intende proporre eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio, domande riconvenzionali o chiedere la chiamata in causa di un terzo (caso in cui, a pena di inammissibilità, il convenuto deve chiedere il differimento dell'udienza fissata dal giudice designato alla trattazione). Dispone, tuttavia, l'art. 702-ter, commi 3 e 4, c.p.c. che «se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un'istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l'udienza di cui all'articolo 183 c.p.c. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II. Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un'istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione». Quale rilevanza hanno, quindi, le preclusioni maturate nella fase iniziale del procedimento, svoltasi con rito sommario di cognizione, qualora il processo prosegua con rito ordinario in forza di mutamento del rito disposto dal giudice ai sensi dell'art. 702-ter c.p.c.?

Le soluzioni giuridiche

Osserva la Suprema Corte nella pronuncia in commento che «le preclusioni maturate nella fase sommaria del procedimento invero non rilevano nel giudizio ordinario a cognizione piena che si instaura all'esito della conversione del rito sommario, nulla al riguardo in tal senso disponendo l'art. 702-bis c.p.c., che trova nella specie applicazione, laddove allorquando ha voluto diversamente disporre il legislatore ha introdotto espressa eccezione alla suindicata regola generale». Il riferimento, in particolare, è all'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011, il quale, con riferimento ai processi soggetti a rito sommario di cognizione per previsione del medesimo testo normativo, dispone espressamente che in caso di mutamento del rito (qualora, cioè, il processo sia stato introdotto in forme diverse da quelle previste dallo stesso d.lgs. 150/2011) «gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento». A seguito, quindi, di mutamento del rito disposto ai sensi dell'art. 4, comma 5, d.lgs. n. 150/2011, gli effetti sostanziali (ad esempio, la prescrizione) e processuali (ad esempio, la perpetuatio iurisdictionis in caso di mutamenti normativi in materia di giurisdizione e competenza, la prevenzione a fini di litispendenza o l'irrilevanza della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c.) della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, mentre restano ferme le decadenze e preclusioni già maturate secondo le regole proprie del rito medesimo. Il fatto che analoga previsione non sia contenuta nell'art. 702-bis c.p.c. porta, invece, ad escludere che le preclusioni maturate possano avere rilevanza nel giudizio introdotto con rito sommario di cognizione per scelta di parte e proseguito con rito ordinario per volontà del giudice. Osservano, inoltre, i giudici di legittimità che l'art. 702-ter c.p.c., nel regolare il mutamento del rito da sommario in ordinario, impone al giudice di fissare l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., richiamando le disposizioni del libro II del codice di rito. Ne consegue «la necessità di osservare i termini di cui all'art. 163-bis c.p.c., comma 1 e all'art. 166 c.p.c. a tutela del diritto di difesa del convenuto». Da un lato, quindi, l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. deve essere fissata nel rispetto del termine minimo di cui all'art. 163-bis, comma 1, c.p.c. a favore del convenuto, dall'altro il convenuto, anche se tardivamente costituitosi nella fase svoltasi con rito sommario, può costituirsi in giudizio nei venti giorni antecedenti l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c. formulando domande riconvenzionali, eccezioni di rito e di merito non rilevabili d'ufficio ed eccezioni di competenza ex art. 38 c.p.c.

Osservazioni

La sentenza in commento fa applicazione rigorosa della lettera dell'art. 702-ter c.p.c. (e, in particolare, al richiamo, in caso di mutamento del rito, all'art. 183 c.p.c. e alle disposizioni di cui al II libro del codice di rito) e del principio del ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, nel raffronto tra l'art. 702-bis c.p.c. e l'art. 4, comma 5, d.lgs. 150/2011. Resta, tuttavia, la difformità con la giurisprudenza formatasi in relazione al mutamento del rito da ordinario a lavoro o locatizio; giurisprudenza pacifica nell'affermare la permanenza delle preclusioni maturate alla stregua della disciplina del rito ordinario, posto che l'integrazione degli atti introduttivi mediante memorie e documenti ai sensi dell'art. 426 c.p.c. non comporta una regressione del processo ad una fase anteriore a quella già svoltasi, ma serve esclusivamente a consentire alle parti di adeguare le difese alle regole del rito speciale applicabile nel caso specifico (cfr. Cass. civ., sez. VI - 3, n. 33178/2018; Cass. civ., sez. III, n. 27519/2014; Cass. civ., sez. III, n. 9550/2010). Anche con riferimento all'ipotesi inversa, di mutamento del rito da speciale ad ordinario, si è affermato che il relativo provvedimento non incide sulla preclusione già verificatasi spostando il termine per l'eccezione o il rilievo d'ufficio (Cass. civ., sez. III, n. 5829/2007). Nella stessa relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2011 si legge, con riferimento alla regolamentazione del mutamento del rito, che la precisazione secondo cui restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento«recepisce le conclusioni cui già da tempo è pervenuta la giurisprudenza formatasi in merito alle ipotesi di mutamento del rito disciplinate dal codice di procedura civile, e realizza altresì la piena coerenza con la disciplina della translatio iudicii tra organi appartenenti a diverse giurisdizioni» (infatti, anche in caso di difetto di giurisdizione dichiarato dal giudice ordinario a favore di quello amministrativo o viceversa, l'art. 59, comma 2, l. n. 69/2009, e l'art. 11, comma 2, c.p.a., stabiliscono che rimangono ferme le decadenze e le preclusioni intervenute nel giudizio originariamente introdotto). Se, quindi, l'art. 4, comma 5, d.lgs. n. 150/2011 ha voluto recepire un principio ritenuto di carattere generale, non necessariamente la mancanza di un'analoga formulazione letterale nell'art. 702-bis c.p.c. va letta in termini di volontà del legislatore di esprimere una disciplina diversa per il caso di mutamento del rito nel procedimento sommario introdotto per scelta di parte.

Trattasi, inoltre, di orientamento che appare non del tutto compatibile con la natura di rito a cognizione piena del rito sommario di cognizione, il cui mutamento in ordinario prescinde dalla complessità delle domande e delle allegazioni delle parti, dipendendo solo dall'entità dell'istruttoria da svolgersi. D'altra parte, la possibilità, in caso di mutamento del rito, di far ripartire il processo dall'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., come testualmente disposto dall'art. 702-ter c.p.c., non sembrerebbe incompatibile con la salvezza delle decadenze e preclusioni già maturate in sede di costituzione delle parti, ferma restando la possibilità per le parti di chiedere i termini contemplati dal comma 6 della norma citata ed esercitare le facoltà ivi previste.

Riferimenti
  • Buffone, Curtò, Ianni, Semplificazione dei riti civili, Disposizioni generali e rito del lavoro, Milano, 2013, 105 e ss.;
  • Tedoldi, Pluralità dei riti nel processo civile (mutamento, connessione, errore) - la conversione dal e nel rito sommario, in Giur. It., 2020, 2, 460.