Sanzionato disciplinarmente il docente che rimuove il crocifisso dall'aula: discriminazione? La questione alle Sezioni Unite

Francesca Siccardi
05 Ottobre 2020

La Sezione lavoro della Cassazione rimette al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione della configurabilità di una discriminazione, sia pure in ipotesi indiretta, nei confronti dell'insegnante di una scuola pubblica sanzionato disciplinarmente per avere rimosso il crocifisso dall'aula dove teneva le proprie lezioni durante lo svolgimento delle stesse.

“In merito all'ostensione del crocifisso in aula, occorre dipanare il conflitto che si ponga tra la libertà di insegnamento – intesa come autonomia didattica e libera espressione culturale del docente, non cristiano – e il rispetto della coscienza morale e civile degli alunni – specialmente nel caso in cui siano stati proprio gli stessi ad avanzare richiesta di apposizione del simbolo in classe”.

Ritenuto che il ricorso ponga questioni di massima importanza da risolvere, la Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, affinché valuti la trasmissione alle Sezioni Unite.
Un docente, sanzionato disciplinarmente per aver sistematicamente rimosso il crocifisso dall'aula di insegnamento, riposizionandolo al suo posto solo a fine lezione, e per aver proferito frasi ingiuriose nei confronti del dirigente scolastico, ha impugnato la sospensione inflittagli, lamentandone l'illegittimità.
Il lavoratore, infatti, ha sostenuto la discriminatorietà dell'ordine di servizio impartito dal dirigente a tutto il corpo dei docenti, con il quale era stato imposto di attenersi a quanto deliberato dall'assemblea degli studenti, e cioè che nell'aula della III A rimanesse affisso durante lo svolgimento delle lezioni un crocifisso.

Il Tribunale e la Corte d'Appello hanno respinto le tesi del docente, ritenendo del tutto legittima la sanzione irrogata, escludendo a monte la sussistenza di discriminazione alcuna, dal momento che l'ordine di affissione non è stato indirizzato al solo ricorrente, bensì a tutti i suoi colleghi, non essendosi così realizzata alcuna disparita di trattamento tra di loro.

La Corte di Appello, inoltre, ha evidenziato come l'esposizione del crocifisso non violi i diritti inviolabili della persona, né, per ciò sola, sia fonte di discriminazione tra individui di fede cristiana e soggetti appartenenti ad altre confessioni, argomentando sulla base della sentenza della Corte EDU del 2011, secondo cui il simbolo, essenzialmente passivo, non è idoneo ad influenzare la psiche degli allievi e, tantomeno, può esserlo nei confronti di soggetti adulti.

Le critiche svolte dal docente. Il lavoratore, ritenendo del tutto erronea la sentenza di appello, ha proposto un articolato ricorso per cassazione, ribadendo la discriminatorietà dell'ordine di servizio, disatteso in autotutela al fine di tutelare la propria personalità morale nonché libertà di coscienza ed insegnamento, evidenziando come la PA debba essere, per previsione costituzionale, equidistante da tutte le confessioni religiose; l'insegnante, inoltre, argomentando sulla base della già menzionata sentenza della Corte EDU 2011 – Lautsi, ha specificato come se il crocifisso possa al più essere ritenuto simbolo passivo per gli alunni, lo stesso non possa dirsi con riferimento al docente, che vede la propria voce coperta da un simbolo confessionale posto sopra di sé.

Infine, il ricorrente ha invocato a sua discolpa la causa di giustificazione putativa dell'esercizio del diritto, con conseguenza esclusione dell'illecito disciplinare per carenza dell'elemento soggettivo, riproponendo, poi, la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali subiti, assorbita dalla ritenuta insussistenza della discriminazione.

La parola alle Sezioni Unite. Ritenendo che il ricorso proposto ponga questioni di massima importanza, anche in relazione alla natura dei diritti che vengono in rilievo, la Corte ha trasmesso gli atti al suo Presidente, affinché valuti la necessità di un pronunciamento delle Sezioni Unite, evidenziando le problematiche seguenti.
Il bilanciamento tra diritti. In primo luogo, la Cassazione ha rilevato come occorra pronunciarsi sull'esito del bilanciamento, in ambito scolastico, tra libertà d'insegnamento – intesa come autonomia didattica e libera espressione culturale del docente – da un lato, e rispetto della coscienza civile e morale degli alunni, dall'altro, laddove si pongano in contrasto tra loro, come avvenuto nel caso di specie, avendo i discenti formalmente istato per l'ostensione del crocifisso nella propria aula di lezione.

Il significato del crocifisso. Dopo aver ricordato come l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche non sia imposta da norme di legge, ma solo da regolamenti risalenti nel tempo, poi fatti propri dal Miur con più recenti direttive, la Corte ha ricostruito il quadro del diritto in vivente in ordine alla valenza del crocifisso.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, lo stesso può assumere diverso significato a seconda del luogo nel quale è esposto: in ambito scolastico lo stesso avrebbe un ruolo educativo nei confronti degli alunni, credenti e non, richiamando valori laici, seppur di origine religiosa, quali la tolleranza, il rispetto, la valorizzazione della persona, non potendo quindi la sua affissione ritenersi fonte di discriminazione sotto il profilo religioso e non ponendosi in contrasto con il principio di laicità dello Stato.
Al contrario, in suoi precedenti la Corte di legittimità aveva posto l'accento sulla natura esclusivamente religiosa del simbolo, ritenendo la decisione di imporne l'ostensione violativa del disposto dell'art. 3 Cost., creando disparità tra i soggetti appartenenti a diverse fedi, realizzando una disciplina differenziata sulla scorta del credo.
Più articolatamente, poi, la Corte EDU nella già richiamata pronuncia del 2011, dopo aver dato atto del valore essenzialmente religioso del crocifisso, ha comunque escluso la violazione dell'art. 9 della Convenzione EDU, in quanto dalla mera esposizione di un simbolo passivo non deriva la violazione di neutralità dello Stato, purché non vengano in essere ulteriori condotte di intolleranza nei confronti di alunni che a tale credo non aderiscano.

La peculiarità del caso concreto. La Cassazione, ponendo l'accento sulla peculiarità del caso in decisione, che si incentra sul valore del crocifisso in relazione non all'utente del servizio, bensì a colui che è chiamato a rendere la propria funzione educativa e che, quindi, può essere associato ai valori che il simbolo evoca, ha rilevato come la Corte di Appello nulla abbia detto con riferimento alla configurabilità della censurata discriminazione indiretta.
In proposito, richiamando la pronuncia della Corte di Giustizia 2017 – Achbita, gli Ermellini si sono domandati se l'imporre a un docente non credente o aderente a un credo diverso dal cattolico l'esposizione del crocifisso in aula lo ponga in una situazione di maggiore svantaggio rispetto all'insegnante che quel credo professi, costringendolo ad esercitare le proprie funzioni in nome di valori che non condivida.
A monte di tale interrogativo, poi, si pone la necessità di configurare o meno quale finalità legittima della compressione del diritto di libertà religiosa del docente la volontà degli alunni, nel caso di specie cristallizzata nella deliberazione dell'assemblea di classe: la Corte ha, in proposito, sostenuto che tra le due esigenze in tensione non possa prevalere quella maggiormente supportata dal punto di vista quantitativo, nel senso che il diritto dell'insegnante non pare dover soccombere per la sola ragione che egli è unico dinnanzi alla più ampia platea dei suoi discenti.
Si resta, quindi, in fiduciosa attesa di una pronuncia delle Sezioni Unite sul nodo di problematiche da risolvere.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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