Il Tribunale di Torino confermava la decisione con cui la Commissione territoriale aveva rigettato la domanda di un cittadino pakistano volta all'ottenimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria. La pronuncia veniva impugnata dal richiedente ma la Corte d'appello rigettava l'impugnazione. La questione è dunque giunta dinanzi alla Suprema Corte.
Tra i diversi motivi di ricorso, il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della protezione «nonostante la conclamata situazione di violenza generalizzata e diffusa presente in Pakistan», soprattutto nella regione da cui egli proviene. La doglianza risulta inammissibile.
Il Collegio ricorda che la situazione di «violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato» di cui all'art. 14, lett. c), d.lgs. n. 251/2007, interpretata alla luce della disciplina e della giurisprudenza eurounitaria, non si riferisce ai rischi a cui è esposta la popolazione in generale di un paese. Tali rischi infatti non costituiscono una minaccia individuale qualificabile come danno grave. La protezione sussidiaria può in tali casi essere riconosciuta solo laddove il richiedente sia in una condizione di pericolo di danno grave alla sua persona, a causa di una diretta esposizione al rischio, pur derivante dalla situazione generale del paese. Posto che tale accertamento è riservato al giudice di merito, nel caso di specie la Corte territoriale ha correttamente valutato le informazioni pubbliche, attendibili ed aggiornate, relative alla situazione del Pakistan escludendo che la sussistenza dei presupposti per l'invocata protezione.
Con riferimento all'art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, di cui il ricorrente lamenta la violazione, la Corte precisa in primo luogo che l'attivazione dei poteri istruttori officiosi opera per tutte le forme di protezione internazionale.
Viene poi affermato il principio secondo cui «l'art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati…” deve essere interpretato nel senso che l'obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte».
Come infatti già affermato dalla giurisprudenza «compete al richiedente innescare l'esercizio del dovere di cooperazione istruttoria, per cui egli non incontra difficoltà alcuna ove la sua narrazione sia vera e reale» (Cass. civ. n. 15794/20).
Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it