Omesso versamento IVA: la presentazione della domanda di concordato non esclude la punibilità tributaria
12 Ottobre 2020
Massima
Il reato previsto dall'art. 10-ter (Omesso versamento di IVA), del D.Lgs. n. 74 del 2000 non si estingue in caso di presentazione di una domanda di concordato. Il caso
Un contribuente aveva impugnato presso la Corte di appello competente una sentenza del Tribunale, la quale, sulla ipotizzata sussistenza del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, lo aveva condannato. La difesa si era basata sul fatto che il reato non sussisteva, poiché il soggetto imputato, nella sua qualità di legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, in forza dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo della società, tenuto conto della natura pubblicistica della procedura, non avrebbe più potuto adempiere ai pagamenti dell'IVA, cosicché la sua responsabilità avrebbe dovuto essere esclusa per mancanza di dolo. Tale tesi, però, non è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale ha affermato che, per l'operatività della causa di giustificazione, è imprescindibile l'anteriorità della procedura rispetto alla scadenza dell'obbligazioni tributaria, rimanendo esclusa nel caso di anteriorità della scadenza del debito rispetto alla procedura di composizione della crisi di impresa Nel caso esaminato dai giudici di legittimità era evidente che la consumazione del reato era avvenuta in data antecedente alla procedura concorsuale, in quanto il concordato e la transazione tributaria sono avvenuti successivamente (3 anni dopo) alla scadenza della data rilevante ai fini penali. Come si avrà modo di soffermarsi successivamente, altra giurisprudenza sostiene che, per la non punibilità per il reato in esame, non assume rilevanza, né sul piano dell'elemento soggettivo, né su quello della esigibilità della condotta, la mera presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, perché essa non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione. Per capire le motivazioni della sentenza, è necessario soffermarsi brevemente sul quadro normativo di riferimento. La questione
Il delitto di omesso versamento IVA, previsto all'art. 10-ter del DLgs. 74/2000, si verifica quando un soggetto non provvede, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, al pagamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d'imposta. La condotta, pertanto, è costituita dal mancato versamento entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, per un importo superiore a 250.000 euro. Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, questo è costituito dal dolo generico. Parte della giurisprudenza ritiene che questo possa essere costituito anche dal dolo eventuale (così Corte di Cassazione penale del 18 agosto 2015 n. 34927). Secondo tale interpretazione, risponderebbe del reato di omesso versamento di IVA il soggetto che, subentrando ad altri nella carica di amministratore o liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, omette di versare all'Erario le somme dovute sulla base della dichiarazione medesima, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, in quanto attraverso tale condotta lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze (così Corte di Cassazione penale del 4 febbraio 2016 n. 4631). Per quanto riguarda l'elemento soggettivo, è necessario ricordare che, in caso di forza maggiore che impedisce di assolvere l'obbligo di versamento, il soggetto non può essere punito. A tal fine è importante sottolineare che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all'operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall'obbligo dell'interessato di premunirsi contro le conseguenze dell'evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (cfr. Risposta 1.7 contenuta nella Circolare dell'Agenzia delle Entrate del 2 aprile 2020, n. 8/E). Ad esempio, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l'omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell'IVA per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l'emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (così Corte di Cassazione penale del 29 maggio 2019 n. 23796). Inoltre, sempre secondo parte della giurisprudenza, l'omesso versamento dell'Iva non può essere giustificato, ai sensi dell'art. 51 c.p., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l'ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l'adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 c.c.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 c.c.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l'elemento soggettivo del reato (così Corte di Cassazione penale del 3 marzo 2020 n. 8519). Come sancito recentemente dalla Suprema Corte, nei reati omissivi propri integra la causa di forza maggiore l'assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso, dovendosi ricollegare ad eventi che sfuggono al dominio finalistico dell'agente. In questo caso, l'imputato potrà invocare la situazione di crisi economica come causa dell'impossibilità di adempimento dell'obbligazione fiscale, al fine di escludere la responsabilità penale, purché assolva agli oneri di allegazione riguardanti, sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto. Dovrà, in altri termini, essere dimostrato che non sia stato in alcun modo possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili. Secondo tale tesi, pertanto, il contribuente, il quale eserciti un'attività imprenditoriale, è chiamato del resto ad accantonare le somme necessarie agli adempimenti tributari cui è gravato. Diversamente, deve ritenersi che l'imprenditore si sia rappresentato la probabilità che, per il normale rischio connesso all'esercizio della propria attività economica, al momento della scadenza del termine per il pagamento, non siano presenti le somme necessarie ad onorare il debito fiscale, accettandone tuttavia il rischio, pur di conseguire il proprio obiettivo, configurandosi una ipotesi di dolo eventuale (Corte di Cassazione penale del 15 maggio 2020 n. 15218). Si deve, in ogni caso, evidenziare che è prevista una causa di non punibilità per il delitto in oggetto. Infatti, l'art. 13, comma 1, del D.Lgs. 74/2000 prevede che tale reato sia non punibile se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. Le soluzioni giuridiche
I giudici della Suprema Corte, con la sentenza in esame, hanno dovuto stabilire se, ai fini della configurabilità del reato in oggetto, assume o meno rilevanza, sia sul piano dell'elemento soggettivo, che su quello della esigibilità della condotta, l'ammissione ad un concordato preventivo avvenuta successivamente alla data prevista dalla normativa penale. La loro conclusione è stata negativa, in quanto la procedura di concordato, con transazione fiscale ex art. 182-ter L. Fall., è stata instaurata successivamente alla scadenza del debito tributario. In particolare, viene precisato che è condizione imprescindibile la circostanza che il debito tributario venga a scadere dopo l'istanza/ammissione di concordato. E' necessario a questo punto sottolineare che altra giurisprudenza ritiene che la semplice domanda non impedisce il pagamento dei debiti tributari che vengano a scadere successivamente alla sua presentazione ma prima dell'adozione di provvedimenti da parte del tribunale. Tale tesi si basa sul fatto che la procedura di concordato preventivo, a differenza della procedura fallimentare, non priva l'imprenditore in crisi dell'amministrazione dei beni, ma gli consente il compimento di alcuni atti gestori, situazione che viene comunemente indicata come "spossessamento attenuato" (così Corte di Cassazione penale del 28 aprile 2020 n. 13092). In particolare, viene sostenuto che, per effetto della limitata facoltà di disposizione e dello spossessamento attenuato che si attua nel concordato, il legislatore ha previsto che l'imprenditore, il quale ha presentato una domanda di concordato anche con riserva, conservi l'amministrazione del patrimonio e la gestione dell'impresa potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli straordinari sono condizionati all'autorizzazione del Tribunale. In tale ambito, la disciplina prevista dalla legge fallimentare contempla la possibilità per l'imprenditore, che ha fatto domanda di concordato, e anche prima della sua ammissione nel caso di concordato con riserva (art. 161 comma 7 L.fall.), di compiere atti gestori, e ciò in coerenza con il limitato spossessamento dei beni cui segue la limitata facoltà di gestione patrimoniale, potendo compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre quelli urgenti di straordinaria amministrazione (nel caso di concordato con riserva) e quelli di straordinaria amministrazione nel concordato pieno, possono essere compiuti dietro autorizzazione del Tribunale e del Giudice delegato (artt. 161 comma 7, 167 L.fall.). Come stabilito da altra giurisprudenza, la distinzione tra atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione resta incentrata sulla sua idoneità a pregiudicare i valori dell'attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell'interesse di questi ultimi e non dell'imprenditore insolvente, essendo quindi possibile che atti astrattamente qualificabili dì ordinaria amministrazione se compiuti nel normale esercizio dell'impresa possano, invece, assumere un diverso connotato nell'ambito di una procedura concorsuale (così Corte di cassazione del 29 maggio 2019, n. 14713). Da qui, si arriverebbe alla conclusione che il pagamento del debito tributario dell'imprenditore in concordato preventivo, e sorto precedentemente, è atto di straordinaria amministrazione. Del resto, dall'art. 167 della legge fallimentare, che disciplina degli atti di straordinaria amministrazione, discende che il patrimonio dell'imprenditore in pendenza del concordato è oggetto di una amministrazione “giurisdizionalizzata” nel compimento degli atti di straordinaria amministrazione, perchè il patrimonio è destinato a garantire il soddisfacimento di tutti i creditori. Da cui il divieto, posto dall'art. 168 della L.fall., di azioni esecutive da parte dei creditori, divieto che comporta implicitamente il divieto di pagamento di debiti anteriori, perché sarebbe incongruo che ciò che il creditore non può ottenere in via di esecuzione forzata possa conseguire in virtù di spontaneo adempimento, e l'ulteriore previsione di cui all'art. 184, che nel prevedere che il concordato sia obbligatorio per tutti i creditori anteriori, implica che non possa darsi l'ipotesi di un pagamento di debito concorsuale al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge (art. 167 L.fall.) Pertanto, la condotta omissiva non avrebbe rilevanza pensale se, in data antecedente alla scadenza del debito, sia intervenuto un provvedimento del tribunale che abbia vietato il pagamento di crediti anteriori, essendo configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario. Osservazioni
E' necessario a questo punto ricordare che parte della giurisprudenza ha sancito che, una volta intervenuto il provvedimento di ammissione del debitore al concordato anche le pregresse condotte omissive, consistenti in omessi pagamenti di obbligazioni giunte a maturazione nell'intervallo fra la presentazione della istanza e la sua positiva evasione da parte dell'organo giurisdizionale a ciò preposto, cessano, atteso che tali condotte neppure possono essere considerate compiute in violazione della legge, in quanto legittimate, a tutto voler concedere a posteriori, dall'avvenuta ammissione alla procedura concorsuale (così Corte di Cassazione penale del 2 aprile 2019, n. 36320). Tale orientamento, però, sembrerebbe non essere in linea con quanto sancito da altra giurisprudenza secondo la quale l'ammissione alla procedura non vale tuttavia a scriminare sic e simpliciter l'omissione alla scadenza o a escluderne successivamente gli effetti penali dell'omissione, dovendosi dare rilievo, ai fini che qui rilevano, unicamente alle situazioni nelle quali vi sia stato un provvedimento del tribunale che abbia vietato, o comunque non abbia autorizzato, il pagamento dei crediti, essendo configurabile la scriminante dell'adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo dell'autorità di cui all'art. 51 c.p., derivante da norme poste a tutela di interessi aventi anche rilievo pubblicistico, equivalenti a quelli di carattere tributario (così Corte di Cassazione penale del 5 maggio 2020, n. 13628). Secondo tale orientamento, ne conseguirebbe che spetta all'imprenditore in crisi, che sa di avere un debito fiscale che verrà a scadenza certa, ponderare la miglior soluzione della crisi di impresa e valutare in tale ambito anche le conseguenze penali della eventuale omissione del pagamento del debito, non potendo opporre, per escludere la sua penale responsabilità, unicamente l'aver dato corso alla procedura negoziale di risoluzione della crisi d'impresa. |