Maternità surrogata e compatibilità con l'ordine pubblico della decisione straniera di accertamento del rapporto di genitorialità
14 Ottobre 2020
Premessa
Il rifiuto di procedere alla trascrizione nei registri dello stato civile di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero e un cittadino italiano, dà luogo, se non determinato da vizi formali, a una controversia di stato, da risolversi mediante il procedimento disciplinato dall'art. 67 della l. n. 218/1995, in contraddittorio con il Sindaco, in qualità di ufficiale dello stato civile destinatario della richiesta di trascrizione, ed eventualmente con il Ministero dell'interno, legittimato a spiegare intervento in causa e ad impugnare la decisione in virtù della competenza ad esso attribuita in materia di tenuta dei registri dello stato civile. Nel giudizio promosso ex art. 67 della l. n. 218/1995, avente per oggetto il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero e un cittadino italiano, il Pubblico ministero riveste la qualità di litisconsorte necessario, in applicazione dell'art. 70, comma 1, n. 3, c.p.c., ma è privo della legittimazione a impugnare, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell'osservanza delle leggi di ordine pubblico. In tema di riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g), della l. n. 218/1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico. Il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184/1983. La ricostruzione del caso
Una coppia omosessuale sposata in Canada decide di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita da cui nascono due gemelli, grazie al reperimento di una donatrice di ovociti e di un'altra donna disposta a sostenere la gravidanza. Dopo un primo provvedimento, reso dall'autorità giudiziaria canadese e regolarmente trascritto in Italia, nel quale era stato riconosciuto che la gestante non era genitrice dei minori e che l'unico genitore era uno dei due ricorrenti, è stata chiesta la trascrizione del provvedimento con cui è stata riconosciuta la cogenitorialità e disposto l'emendamento degli atti di nascita. A seguito del rifiuto di trascrivere quest'ultimo provvedimento, la coppia ha chiesto alla Corte d'appello di Trento di riconoscere, ai sensi dell'art. 67 della legge 31 maggio 1995 n. 218, l'efficacia nell'ordinamento interno del provvedimento emesso dalla Superior Court of Justice dell'Ontario (Canada), con cui era stato accertato il rapporto di genitorialità con i minori, e di ordinarne la trascrizione negli atti di nascita di questi ultimi da parte dell'ufficiale di stato civile del Comune di Trento. In tale giudizio si è costituito il Procuratore Generale ed è intervenuto il Ministero dell'Interno, a difesa del provvedimento emesso dal Sindaco in qualità di ufficiale del governo. La Corte d'appello di Trento ha preliminarmente escluso la legittimazione ad intervenire del Sindaco e del Ministero dell'Interno. Nel merito, ha accolto la domanda di riconoscimento del provvedimento giurisdizionale straniero, aderendo ad una valutazione della compatibilità con l'ordine pubblico internazionale strettamente connessa ai principi supremi della Carta costituzionale, considerando tali quelli che non potrebbero essere sovvertiti dal legislatore ordinario. Di contro ha escluso l'incompatibilità con l'ordine pubblico in presenza di difformità della norma straniera rispetto a norme del diritto nazionale con cui il legislatore ha esercitato la propria discrezionalità in una determinata materia, dovendosi valutare il contrasto rispetto ai principi desumibili dalla Carta costituzionale, dai Trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché dalla CEDU. Alla luce di tale assunto è stato attribuito valore preminente all'interesse superiore del minore alla conservazione dello status di figlio, come conseguenza diretta del favor filiationis emergente dagli artt. 13, comma 3, e 33, commi 1 e 2, della legge n. 218/1995 ed implicitamente riconosciuto dall'art. 8, par. 1, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Il divieto di ricorrere alla maternità surrogata, sancito dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40, non rappresenterebbe quindi, secondo la Corte d'appello, un ostacolo al riconoscimento dell'efficacia nell'ordinamento interno del provvedimento canadese perché la disciplina positiva della procreazione medicalmente assistita non costituisce espressione di principi fondamentali costituzionalmente obbligati né l'insussistenza di un legame genetico tra i minori ed uno dei partners rappresenta un ostacolo, dal momento che nel nostro ordinamento non esiste un modello di genitorialità fondato esclusivamente sul legame biologico tra il genitore ed il nato. Sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero, dal Ministero dell'Interno e dal Sindaco di Trento, la I sezione civile della Corte Suprema ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, sottoponendo ad esse quattro questioni di massima di particolare importanza.
La risposta della Corte di cassazione
Le Sezioni Unite hanno riconosciuto al Ministero dell'interno, in proprio ed in rappresentanza del Sindaco-ufficiale di governo, la legittimazione alla partecipazione al giudizio di riconoscimento di sentenza straniera ex art. 67, l. n. 218/1995 e alla successiva impugnazione del provvedimento conclusivo di tale giudizio. Il Pubblico ministero riveste invece la qualità di litisconsorte necessario, in applicazione dell'art. 70, comma 1, n. 3, c.p.c., ma è privo della legittimazione a impugnare, non essendo titolare del potere di azione, neppure ai fini dell'osservanza delle leggi di ordine pubblico. Quanto alla compatibilità con l'ordine pubblico la Corte ha stabilito che essa debba essere valutata non solo alla stregua dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del «modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico». Con specifico riguardo al provvedimento giurisdizionale straniero di accertamento della filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, il divieto di surrogazione di maternità è qualificabile come principio di ordine pubblico, con la conseguenza che il giudice non può sostituire la propria valutazione a quella operata nell'ambito di un bilanciamento di valori effettuato direttamente dal legislatore. Ciò non esclude peraltro che si possa conferire comunque rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184/1983. Muovendo dalla più ampia portata del procedimento ex art. 67 della legge 218/1995 rispetto a quello di rettificazione degli atti dello stato civile di cui al d.P.R. n. 396/2000, le Sezioni Unite hanno dato una lettura allargata della legittimazione a partecipare a tale giudizio. Il regime introdotto dalla legge 218/1995 è imperniato sul principio del riconoscimento automatico delle pronunce (art. 64) ed è applicabile anche ai provvedimenti in materia di stato e capacità delle persone (art. 65) ed a quelli di volontaria giurisdizione (art. 66), il che consente di procedere direttamente alla trascrizione nei registri dello stato civile, rendendo superfluo, almeno in prima battuta, il ricorso al procedimento previsto dall'art. 67. La verifica dei requisiti prescritti dalla legge è quindi rimessa all'ufficiale di stato civile e soltanto in caso di esito negativo, ovvero nel caso in cui l'efficacia del provvedimento straniero debba essere fatta valere anche ad altri fini, si rende necessaria la procedura di riconoscimento. L'art. 95 del d.P.R. n. 396/2000 si configura come rimedio concorrente rispetto al procedimento ex art. 67 della legge n. 218/1995, ma di portata più limitata perché strettamente collegata con quella pubblicitaria propria dei registri dello stato civile e con la natura meramente dichiarativa delle annotazioni ivi riportate. Nel caso in cui la trascrivibilità nei registri dello stato civile non venga contestata per un vizio di carattere formale, ma per l'insussistenza dei requisiti di carattere sostanziale cui gli artt. 64-66 della legge n. 218/1995 subordinano l'ingresso nel nostro ordinamento, tale contestazione dà luogo ad una controversia di stato, per la cui risoluzione la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso l'applicabilità del procedimento di rettificazione, trattandosi di questione che deve essere necessariamente risolta nel contraddittorio delle parti, in un giudizio contenzioso avente ad oggetto per l'appunto lo status (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 1998, n. 12746; Cass. civ., 27 marzo 1996, n. 2776; Cass. civ., 26 gennaio 1993, n. 951). Sulla base di tali premesse la Corte ha analizzato il tema della legittimazione del Pubblico Ministero e del Ministero dell'interno nei giudizi di riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento straniero da risolversi ai sensi dell'art. 67 della l. n. 218/1995. Per il primo, litisconsorte necessario ex art. 70 comma 1 n. 3 c.p.c., tale legittimazione viene fatta discendere dalla natura del rapporto controverso (causa di stato) e dall'indisponibilità delle situazioni fatte valere. Per quanto riguarda invece l'amministrazione, la legittimazione viene fondata sugli elementi che caratterizzano la duplice funzione svolta dal Sindaco. Da un lato, quale organo il cui rifiuto di trascrizione dà origine alla controversia, egli è direttamente interessato alle conseguenze e all'attuazione della pronuncia di riconoscimento. Dall'altro, quale ufficiale di governo ed organo periferico dell'amministrazione statale dell'interno, esercita le attribuzioni in materia di tenuta dei registri dello stato civile trasferitegli dal d.P.R. n. 396/2000 e come tale è esposto alle azioni di risarcimento di eventuali danni derivanti dalla (omessa o effettuata) trascrizione. Il Ministero dell'interno, in proprio ed in rappresentanza del Sindaco – ufficiale di governo, ha pertanto un interesse autonomo, concreto ed attuale a partecipare al giudizio e può anche impugnare il provvedimento a sé sfavorevole. Al contrario il Pubblico Ministero, pur se litisconsorte necessario, è considerato privo di tale potere, che non può fondarsi su un potere di azione (e di impugnazione) ricavabile dall'art. 95, comma 2, d.P.R. n. 396/2000 o dall'art. 73 ord. giud. L'art. 95 disciplina infatti il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile, che ha natura non contenziosa e funzione essenzialmente pubblicitaria e non costitutiva, da cui non è possibile ricavare un potere generalizzato di proporre anche le azioni contenziose in materia di stato delle persone. L'art. 73 ord. giud. prevede invece una rigida tipizzazione delle ipotesi che conferiscono al Pubblico Ministero l'iniziativa in materia civile, nell'ambito delle quale risulta assente qualsiasi riferimento all'osservanza delle leggi di ordine pubblico. Nell'affrontare gli aspetti più delicati e controversi della vicenda, la Corte si propone di definire con maggiore accuratezza i confini, spesso labili, della nozione di ordine pubblico internazionale, nel solco dell'orientamento che ha escluso l'incompatibilità ontologica tra l'istituto dei danni punitivi e l'ordinamento italiano (cfr. Cass. civ.,Sez. Un., n. 16601/2017). Secondo tale interpretazione la sentenza straniera applicativa di un istituto non regolato dall'ordinamento nazionale, quand'anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi «con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell'apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l'ordinamento costituzionale» (così Cass. cit.). Nel contempo, la valutazione di compatibilità con l'ordine pubblico non può essere limitata alla ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri ed istituti italiani, ma deve estendersi alla verifica dell'eventuale contrasto tra l'istituto di cui si chiede il riconoscimento e l'intreccio di valori e norme rilevanti ai fini della delibazione. L'ordinanza di rimessione aveva ritenuto che vi fosse un parziale contrasto fra la nozione di ordine pubblico delineata nella pronuncia del 2017 in tema di danni punitivi e quella fatta propria da Cass. civ., sez. I,n. 19599/2016, che veniva circoscritta ai soli principi supremi o fondamentali e vincolanti della Carta costituzionale enon estesa alle norme costituenti esercizio della discrezionalità legislativa. La pronuncia delle Sezioni unite del 2017 aveva invece reso possibile «dare ingresso in Italia anche a decisioni, contenenti statuizioni positivamente date, circa i “danni punitivi”, che non sono previsti dall'ordinamento italiano e che non corrispondono alla nostra tradizione giuridica» (cfr. ordinanza interlocutoria Cass. civ., n. 4382/2018). Le Sezioni Unite superano quindi l'apparente contrasto fra queste pronunce, non senza trascurare di descrivere brevemente l'evoluzione della concezione difensiva di ordine pubblico, inteso quale limite all'ingresso di norme ed atti provenienti da altri sistemi ritenuti contrastanti (cfr. Cass. civ., sez. I, 12 marzo 1984, n. 1680; Cass. civ., 14 aprile 1980, n. 2414; Cass. civ., 5 dicembre 1969, n. 3881) verso una nozione avente una «funzione eminentemente promozionale, che circoscrive l'ambito del giudizio di compatibilità ai valori tutelati dalle norme fondamentali, ponendo in risalto il collegamento degli stessi con quelli riconosciuti a livello internazionale e sovranazionale, dei quali mira a favorire la diffusione, congiuntamente all'armonizzazione degli ordinamenti». I principi di ordine pubblico vanno quindi individuati in quelli «fondamentali della nostra Costituzione o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono all'esigenza di carattere universale di tutelare i diritti fondamentali dell'uomo, o che informano l'intero ordinamento in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dell'intero assetto ordinamentale» (cfr. Cass. civ., sez. lav., 26 maggio 2008, n. 13547; Cass. civ., 23 febbraio 2006, n.4040; Cass. civ., 26 novembre 2004, n. 22332). In tale mutato contesto si inserisce la pronuncia richiamata dall'ordinanza impugnata (Cass. civ., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599), che riguarda il riconoscimento dell'atto straniero di nascita di un minore generato da due donne, una delle quali aveva fornito l'ovulo necessario al concepimento mediante procreazione medicalmente assistita, mentre l'altra lo aveva partorito. In base a tale pronuncia il giudice deve «negare il contrasto con l'ordine pubblico in presenza di una mera incompatibilità (temporanea) della norma straniera con la legislazione nazionale vigente, quando questa rappresenti una delle possibili modalità di espressione della discrezionalità del legislatore ordinario in un determinato momento storico» (così Cass. cit.). Una successiva pronuncia ha poi esteso la valutazione di compatibilità ai principi consacrati nella Dichiarazione ONU dei Diritti dell'Uomo, nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, nei Trattati Fondativi e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, nonché, con particolare riferimento alla posizione del minore e al suo interesse, nella Dichiarazione ONU dei diritti del Fanciullo, nella Convenzione ONU dei Diritti del Fanciullo e della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti processuali del minore (cfr. Cass. civ., sez. I, 15 giugno 2017, n. 14878). La pronuncia a Sezioni Unite del 2017 non smentisce il precedente orientamento ma si limita ad escludere, sulla base dei principi fondanti del nostro ordinamento, che vi sia un'incompatibilità ontologica fra esso e l'istituto dei danni punitivi. Nel fare ciò la sentenza che si annota valorizza un elemento importante, dato forse per implicito nelle precedenti pronunce, rappresentato dalla «rilevanza della normativa ordinaria, quale strumento di attuazione dei valori consacrati nella Costituzione, e la conseguente necessità di tener conto, nell'individuazione dei principi di ordine pubblico, del modo in cui i predetti valori si sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti». In questo passaggio assume quindi un ruolo fondamentale l'interpretazione della legge ordinaria, che dà forma a quel diritto vivente dalla cui valutazione non può prescindersi nella ricostruzione dell'ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico, soggetto a modificazioni in dipendenza dell'evoluzione dei rapporti politici, economici e sociali. I criteri orientativi nella valutazione della compatibilità degli istituti stranieri con l'ordine pubblico sono quindi rappresentati non solo dai principi fondamentali della nostra Costituzione e da quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche dal modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dall'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico. I principi generali così enunciati, applicati al caso specifico, consentono di affrontare il tema della contrarietà all'ordine pubblico della maternità surrogata, riconosciuta dall'ordinamento straniero. Preliminarmente la Corte descrive la situazione concreta, evidenziando gli elementi distintivi rispetto ai casi già esaminati dalla giurisprudenza di legittimità, primo fra tutti quello oggetto della pronuncia richiamata dall'ordinanza impugnata (Cass. civ., n. 19599/2016). Quest'ultimo riguardava un minore generato da due donne, a ciascuna delle quali egli risultava legato da un rapporto biologico, in quanto una di esse lo aveva partorito, mentre l'altra aveva fornito gli ovuli necessari per il concepimento mediante procreazione medicalmente assistita, secondo una tecnica fecondativa assimilabile per un verso alla fecondazione eterologa, perché richiede l'apporto genetico di un terzo donatore del gamete; per altro verso alla fecondazione omologa, con la quale condivide il contributo genetico fornito da un partner all'altro. In un simile caso, non potendo parlarsi a stretto rigore di surrogazione di maternità, è stato possibile escludere l'applicabilità dell'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004, che vieta e sanziona penalmente «la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità», evidenziando altresì la diversità della fattispecie dalla fecondazione eterologa, dalla quale si distingue per il fatto che l'ovulo è fornito dal partner della gestante, con conseguente inapplicabilità della previsione normativa che preclude al donatore di gameti l'acquisizione di qualsiasi relazione giuridica parentale con il nato. La fattispecie oggetto della pronuncia che si esamina si distingue invece per l'attribuzione ai minori dello status di figli di uno dei due istanti, pur in assenza di un rapporto biologico, essendo stati generati mediante gameti forniti dall'altro, già dichiarato loro genitore con un precedente provvedimento regolarmente trascritto in Italia, con la cooperazione di due donne, una delle quali ha donato gli ovociti, mentre l'altra ha portato avanti la gravidanza. Si tratta di un'ipotesi annoverabile a pieno titolo nell'istituto della maternità surrogata, che si caratterizza proprio per l'accordo intervenuto con una donna estranea alla coppia genitoriale, che ha provveduto alla gestazione ed al parto, rinunciando tuttavia ad ogni diritto nei confronti dei nati. Ancora diverso è il caso oggetto di un'altra pronuncia della Corte Suprema, la n. 14878/2017, che riguarda la rettifica dell'atto di nascita di un minore, formato all'estero e già trascritto in Italia, a seguito della modifica apportata dall'ufficiale di stato civile straniero, che aveva indicato il nato come figlio non solo della donna che lo aveva partorito, ma anche di un'altra donna, con essa coniugata, con cui il minore non aveva alcun legame biologico; la Corte in questo caso ha equiparato questa fattispecie alla fecondazione eterologa. Diversa è però l'ipotesi, in cui la gestazione ed il parto non hanno avuto luogo nell'ambito della coppia ma con la cooperazione di un quarto soggetto, il cui intervento, manifestatosi nelle forme tipiche della surrogazione di maternità, rende la vicenda assimilabile a quella in cui la Corte, nel pronunciare in ordine allo stato di adottabilità di un minore nato all'estero, ritiene contrastante con l'ordine pubblico il riconoscimento dell'efficacia dell'atto di nascita formato all'estero, in cui erano indicati come genitori due coniugi italiani, i quali si erano avvalsi della maternità surrogata senza fornire alcun apporto biologico (cfr. Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2014, n. 24001). Una volta operate tali importanti distinzioni, le Sezioni unite ripercorrono il ragionamento della Corte d'appello, cogliendone i passaggi critici. Il primo è rappresentato dall'aver escluso dal novero delle norme di ordine pubblico l'articolo 12 comma 6 della legge 40/2004, che sanziona penalmente la surrogazione di maternità. Così facendo la Corte d'appello si è posta in contrasto con l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, che assegna a tale disposizione una funzione essenziale di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, trascurando altresì le indicazioni emergenti dalla giurisprudenza costituzionale, che vi ravvisa il risultato di un bilanciamento d'interessi attuato dallo stesso legislatore in un delicato settore che indubbiamente coinvolge una pluralità di rilevanti interessi costituzionali (cfr. Corte cost., sent. n. 45/2005; v. anche Corte cost., sent. n. 151/2009). Il divieto della surrogazione di maternità rappresenta quindi un limite assoluto alla libertà e alla volontarietà dell'atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia (cfr. Corte cost., sent. n.162/2014). Diversamente dalla valutazione comparativa che ha portato all'introduzione del divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione eterologa, qui il legislatore, nel vietare la maternità surrogata, ha inteso confermare la natura pubblica dell'interesse alla verità, in quanto correlato ad una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane (cfr. Corte cost., sent. n. 272/2017). Il giudice non può quindi sostituire la propria valutazione a quella compiuta in via generale dal legislatore, dando prevalenza all'interesse dei minori alla conservazione dello status filiationis, nonostante la pacifica insussistenza di un rapporto biologico con il genitore intenzionale. Né una simile interpretazione rischierebbe di sacrificare l'interesse del minore alla costituzione di un legame giuridico con il genitore intenzionale, come dimostrano gli sviluppi della giurisprudenza sull'adozione in casi particolari. Tale orientamento, facendo leva sull'interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, individua nell'art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983 una clausola di chiusura del sistema, volta a consentire il ricorso a tale strumento tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità della relazione affettiva ed educativa all'unica condizione della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», da intendersi non già come impossibilità di fatto, derivante da una situazione di abbandono del minore, bensì come impossibilità di diritto di procedere all'affidamento preadottivo (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12962). La Corte si pone infine il problema di un eventuale contrasto di questa impostazione con i principi sanciti dalle convenzioni internazionali in materia di protezione dei diritti dell'infanzia, osservando tuttavia, come nel caso affrontato non venga messo in discussione il rapporto di filiazione con il genitore biologico, ma solo quello con il genitore d'intenzione, il cui mancato riconoscimento non preclude al minore l'inserimento nel nucleo familiare della coppia genitoriale né l'accesso al trattamento giuridico ricollegabile allo status finiliationis, pacificamente riconosciuto nei confronti dell'altro genitore. Anche nella giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di un legame genetico o biologico con il minore rappresenta dunque il limite oltre il quale è rimessa alla discrezionalità del legislatore statale l'individuazione degli strumenti più adeguati per conferire rilievo giuridico al rapporto genitoriale. Nell'ordinamento interno uno strumento efficace potrebbe quindi rinvenirsi nel ricorso all'istituto dell'adozione in casi particolari, per effetto delle disposizioni della legge n. 184 del 1983, che parifica la posizione del figlio adottivo allo stato di figlio nato dal matrimonio. La conclusione cui giunge la Corte Suprema è quindi quella di sancire che il divieto di surrogazione di maternità previsto dall'art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004 deve essere qualificato come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; poiché tali valori sono già considerati prevalenti nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, il giudice non può sostituire la propria valutazione. Ciò non esclude però che possa conferirsi rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma 1, lett. d), della legge n. 184/1983. Le problematiche per gli ufficiali dello stato civile
I principi di diritto sanciti dalla Corte Suprema con la sentenza che si commenta avranno un impatto rilevante sul comportamento che dovrà tenere l'ufficiale dello stato civile al quale venga richiesta la trascrizione di un atto di nascita formato all'estero o di un provvedimento di rettificazione dell'atto di nascita emesso all'estero che riconoscano la filiazione da genitori dello stesso sesso. La conformità con l'ordine pubblico, alla luce di tale pronuncia, è infatti condizionata all'esistenza di un legame genetico o biologico con entrambi i genitori e viene meno laddove il genitore d'intenzione sia privo di tale legame, trattandosi di ipotesi riconducibile alla pratica di maternità surrogata. Autorevole dottrina (cfr. R. Calvigioni, pag. 391 - 392) suggerisce che gli ufficiali di stato civile valutino con attenzione in simili ipotesi la documentazione formata all'estero che viene trasmessa ai fini del riconoscimento e conseguente trascrizione, che dovrebbe essere il più possibile esaustiva, mentre non potrebbe essere sufficiente una semplice dichiarazione unilaterale. All'esito di tale verifica, laddove risulti che il legame genetico o biologico riguardi solo uno dei partners e manchi per l'altro, l'ufficiale di stato civile dovrebbe omettere i dati di quest'ultimo nella trascrizione da eseguire per riassunto, indicando che «si omettono le indicazioni relative alla sussistenza di un secondo genitore, in quanto in contrasto con l'ordine pubblico, secondo i principi enunciati nella sentenza della Corte di cassazione Sezioni Unite. n. 12193» e comunicando tale omissione al genitore biologico (così R. Calvigioni, pag. 392). Nel caso in cui dalla documentazione non risulti con certezza o sia esclusa la sussistenza del legame con entrambi i genitori o di uno solo di essi l'ufficiale di stato civile dovrà rifiutare motivatamente la trascrizione dell'intero atto o di una parte di esso, lasciando alle parti l'onere di presentare ricorso avverso tale rifiuto. Prima di un formale rifiuto, l'autore consiglia comunque di acquisire dal Ministero dell'Interno, competente ad emettere istruzioni e a vigilare sul corretto funzionamento degli uffici, un parere in merito alla richiesta di trascrizione, sospendendo nelle more il procedimento ai sensi della legge n. 241/1990. Riferimenti
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