Licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo e criteri di scelta

15 Ottobre 2020

Al di fuori della fattispecie dei licenziamenti collettivi, non è vincolante l'applicazione congiunta di tutti e tre i criteri legali previsti dall'art. 5, comma 1, l. n. 223 del 1991, in quanto il canone di correttezza e buona fede che il datore di lavoro deve osservare nell'individuazione dei lavoratori da licenziare, si può concretizzare anche in altri parametri, purché non arbitrari ed improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.
Massima

Al di fuori della fattispecie dei licenziamenti collettivi, non è vincolante l'applicazione congiunta di tutti e tre i criteri legali previsti dall'art. 5, comma 1, l. n. 223 del 1991, in quanto il canone di correttezza e buona fede che il datore di lavoro deve osservare nell'individuazione dei lavoratori da licenziare, si può concretizzare anche in altri parametri, purché non arbitrari ed improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati.

Il caso

Una Società, un'associazione di volontariato afferente servizi legati alle emergenze sanitarie, trovandosi costretta a ridurre i servizi offerti con conseguente riduzione dei ricavi, licenziava Tizio - nonché altri due dipendenti, tra i cinque in essere, con le stesse mansioni di “autista soccorritori” - per giustificato motivo oggettivo.

Poiché vi era perfetta fungibilità tra i dipendenti potenzialmente in esubero, l'associazione decideva di selezionare le posizioni in esubero sulla base dei criteri relativi ai carichi di famiglia e al monoreddito familiare.

Tizio impugnava il licenziamento irrogato affermando la violazione dei criteri di scelta e l'inadempimento dell'obbligo di repêchage.

La questione

La sentenza in esame verte sulla questione dell'individuazione dei criteri di scelta da applicare nel caso di soppressione di un posto cui sono addetti più lavoratori con mansioni fungibili.

Le soluzioni giuridiche

Per giurisprudenza consolidata, laddove vi sia l'esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 c.c.

In tale contesto – sebbene vi siano state in passato pronunce giurisprudenziali (Cass. 15 maggio 2012, n. 7509) che abbiano considerato sufficiente ai fini della legittimità del licenziamento la relazione causale tra il motivo oggettivo del licenziamento ed il recesso, ritenendo che la individuazione del lavoratore in esubero rientrasse nella discrezionalità del datore di lavoro – l'orientamento giurisprudenziale maggioritario ritiene necessario, ai fini del rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede, effettuare una comparazione tra i lavoratori con mansioni fungibili.

La stessa giurisprudenza si è posta quindi il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede. Invero, non essendo utilizzabili i criteri ordinari relativi alla soppressione della posizione lavorativa ed all'impossibilità del repêchage (Cass. 28 marzo 2011, n. 7046; Cass. 21 dicembre 2001, n. 16144), sono stati ritenuti applicabili i criteri di scelta delineati dal Legislatore (art. 5, l. n. 223 del 1991) con riferimento ai licenziamenti collettivi, cioè i carichi di famiglia e l'anzianità di servizio - stante l'inapplicabilità in tale contesto del criterio delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative in ragione della omogeneità delle posizioni considerate.

Sebbene tali criteri siano stati talvolta ritenuti applicabili per analogia (Cass. 27 gennaio 2020, n. 1802; Cass. 31 maggio 2017, n. 13807), il ricorso a detti criteri costituisce “uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo unilaterale potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale” (Cass. 7 agosto 2020, n. 16856; Cass. 9 maggio 2002, n.6667).

Sulla base dell'evoluzione giurisprudenziale, è possibile inoltre utilizzare altri criteri rispetto a quelli identificati dalla l. n. 223 del 1991, purché razionali e non arbitrari (Cass. 20 settembre 2016, n. 18409; Trib. Milano 23 giugno 2017, n. 1471; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25653) quali ad esempio:

- il maggior costo della retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive (cfr. Cass. 7 dicembre 2016, n. 2591);

- la “situazione personale e familiare” (Trib. Roma, 18 giugno 2020, n. 3458),

- il “minore rendimento” e … la “scarsa affidabilità sul piano della pianificazione lavorativa” (Cass. 19 dicembre 2019, n.34122).

L'individuazione dei criteri di scelta e la relativa applicazione deve tuttavia pur sempre avvenire nel concreto rispetto degli obblighi di buona fede e correttezza, fermo restando la necessaria e preliminare verificare del giustificato motivo oggettivo alla base del licenziamento. Si rileva infatti che talvolta, lo stesso criterio della maggiore minore capacità lavorativa non è stato ritenuto uno standard idoneo (Corte di Appello di Firenze del 20 ottobre 2016); parimenti, il criterio relativo alla sola adibizione ad un determinato cantiere non è stato ritenuto rispondente al criterio di buona fede.

Nel caso di specie, il Giudice, in conformità con l'orientamento prevalente che ormai può ritenersi consolidato, ha ritenuto legittimo il licenziamento di Tizio, essendo pacifica la sussistenza del motivo oggettivo ed avendo ritenuto corretta la selezione dei dipendenti in esubero. Infatti, avendo l'Associazione adottato criteri relativi ai carichi di famiglia ed al monoreddito familiare, non è stato ritenuto dirimente il fatto che Tizio avesse un'anzianità di servizio superiore, non essendo infatti necessario applicare contestualmente tutti i criteri ex art. 5 l. n. 223 del 1991.

Osservazioni

La sentenza in commento si inserisce nell'ambito di principi ormai consolidati in giurisprudenza in materia di licenziamento individuale plurimo per riduzione di personale.

Invero, una volta accertato come legittimo che uno o più lavoratori debbano essere licenziati, va sempre verificato ai fini della legittimità del licenziamento, se il datore di lavoro abbia scelto i lavoratori da licenziare nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza. Ebbene, al fine di tale ultima verifica, non è necessario applicare i criteri di cui all'art. 5 l. n. 223 del 1991 (anzianità di servizio e carichi di famiglia), essendo possibile identificare ulteriori criteri purché non meramente discrezionali ed arbitrari.

Tale orientamento giurisprudenziale, disattendendo l'applicazione analogica dei criteri ex art. 5 l. n. 223 del 1991, amplia la discrezionalità del datore di lavoro tutelata costituzionalmente dall'art. 41, Cost., contemperandola allo stesso tempo con gli interessi del lavoratore.

Si rileva infine come la sentenza in commento offra un'ottima sintesi dei presupposti giurisprudenziali che giustificano la legittimità di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo: (i) “sopravvenuta impossibilità per il datore di utilizzarele prestazioni fino ad allora svolte dal lavoratore”, (ii) “dipendenza causale di questa impossibilità da effettive ragioni inerenti l'attività produttiva o l'organizzazione del lavoro”che determinano la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato; (iii) impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni in azienda, cd. repêchage, obbligo che può ritenersi provato anche dalla “circostanza che dopo il licenziamento e per un congruo periodo non vi sono state nuove assunzioni nello stesso profilo professionale del dipendente licenziato(Cass. 28 ottobre 2013, n. 24267; Cass. 23 ottobre 2013, n. 24037; Cass. 22 novembre 2012, n. 20603).

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