Vendita di bitcoin e intermediazione finanziaria abusiva
27 Ottobre 2020
Massima
Laddove la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una vera e propria proposta di investimento con informazioni idonee a mettere i risparmiatori in grado di valutare se aderire o meno all'iniziativa e affermazioni come "chi ha scommesso in bitcoin in due anni ha guadagnato più del 97%", essa si sostanzia in un'attività soggetta agli adempimenti di cui agli artt. 91 e seguenti TUF, la cui omissione integra la sussistenza del reato di cui all'art. 166, comma 1, lett. c) TUF.
(Fonte: IlPenalista.it)
Il caso
Il Tribunale del riesame confermava il decreto di sequestro preventivo della somma di 206.442,32 euro e di beni ulteriori come cellulari, dispositivi elettronici e carte abilitanti al prelievo di denaro, a carico di un soggetto indagato – tra gli altri – del reato di cui all'art. 166, comma 1, lett. c), dlgs. n. 58/1998, che punisce con la multa fino a 10.000 euro chi, senza esserne abilitato offre fuori sede, ovvero promuove o colloca mediante tecniche di comunicazione a distanza (prodotti finanziari o) strumenti finanziari o servizi o attività di investimento. Nel proporre, ricorso in Cassazione, l'indagato si doleva che ai sensi dell'art. 1 del TUF gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari, norma rispettosa tra l'altro dell'orientamento della Corte di Giustizia UE, secondo la quale i bitcoin non hanno altre finalità oltre a quella di mezzo di pagamento. Pertanto, i bitcoin non rappresentano strumenti finanziari. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso confermando la riconducibilità dei bitcoin tra gli strumenti finanziari di modo che relativamente alla loro vendita trova applicazione l'art. 91 del TUF, con il conseguente esercizio da parte della Consob dei poteri previsti dalla presente parte avendo riguardo alla tutela degli investitori nonché all'efficienza e alla trasparenza del mercato del controllo societario e del mercato dei capitali. La questione
La questione in esame è la seguente: i bitcoin devono essere considerati strumenti finanziari ovvero prodotti finanziari? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento offre lo spunto per alcune riflessioni in tema di prevenzione dell'illegalità e tutela del risparmio calato nel contesto della nuova finanza. Lo sviluppo tecnologico e l'applicazione informatica alla nuova finanza, complice la globalizzazione dell'economia, apre nuovi orizzonti all'investimento, coinvolgendo famiglie e risparmiatori non professionali, alla ricerca di rendimenti elevati a breve termine. In simile contesto sociale risulta enfatizzato il valore del risparmio e indispensabile la tutela ad esso garantita dalla Costituzione in tutte le sue forme (art. 47). D'altra parte, la circolazione della ricchezza mediante sistemi elettronici ha progressivamente condotto a fenomeni di dematerializzazione e disintermediazione bancaria, trasferendo il luogo di incontro tra domanda e offerta di risparmio direttamente sul mercato finanziario, dove la distribuzione dei rischi avviene attraverso forme contrattuali estremamente complesse e sfuggenti. L'asimmetria informativa innesca la corrispondente richiesta di maggiore trasparenza dei rapporti di mercato, puntando a una chiara individuazione dei rischi, e sposta il baricentro dall'attività bancaria al mercato finanziario, individuando nella tutela del risparmio un polo di riferimento in grado di proiettare la ricostruzione della relativa disciplina verso la tutela dello stesso sistema democratico, e perciò degli artt. 1 e 2 Cost. In dottrina, molto efficacemente si è rilevato che una delle sfide più stimolanti per gli operatori del diritto è quella di analizzare nuove realtà, non ancora organicamente disciplinate dal legislatore, ma di forte attualità per la loro rilevanza e diffusione. Nel mondo della fintech, ossia della tecnologia applicata alla finanza, un ambito che sta destando ampio interesse anche tra i non addetti ai lavori è quello delle criptovalute, ossia, secondo la definizione fornita da Banca d'Italia, rappresentazioni digitali di valore non emesse da una banca centrale o da un'autorità pubblica. Esse non sono necessariamente collegate a una valuta avente corso legale, ma sono utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente (Banca di Italia, comunicazione del 30 gennaio 2015, valute virtuali).
Per comprendere i termini del problema è necessario partire dagli assetti definitori offerti dal legislatore all'interprete. Al riguardo, la dir. 2018/843/UE (direttiva antiriciclaggio), all'art. 1, lett. d), definisce le valute virtuali - espressione prescelta dal legislatore nazionale ed europeo - una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente. A sua volta, l'art. 1, lett. qq), d.lgs. n. 231/2007 definisce le criptovalute come la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente. Al contrario della direttiva antiriciclaggio, la norma nazionale non stabilisce uno status monetario, ma aggiunge la (possibile) finalità di investimento correlato all'utilizzo delle valute virtuali. Ciò, però, alimenta incertezza nel tentativo degli interpreti di qualificare il fenomeno delle valute virtuali. Il bitcoin è la prima forma compiuta di contante digitale appartenente al genus delle criptovalute, ossia valute virtuali generate attraverso protocolli informatici senza la necessità di ricorrere ad autorità centrali (quali banche o autorità governative) per il loro controllo ed emissione, e liberamente scambiabili tra gli utenti del circuito monetario virtuale afferente senza l'ausilio di intermediari. Si è osservato che come una banconota, il bitcoin è anonimo: non richiede che siano rese note le identità delle controparti né la causale di pagamento; ma, essendo digitale, ossia un puro numero, divisibile e moltiplicabile a piacere, consente trasferimenti per qualunque importo, dai micropagamenti di pochi centesimi al regolamento di traffici commerciali internazionali. Il vantaggio, secondo quanto pubblicizzato dai diversi vettori d'informazione relativi al circuito bitcoin, è l'assenza di costi di intermediazione, sia che si tratti di banche sia di camere di compensazione. Questo significa che le commissioni sul trasferimento del valore digitale sono pressoché irrisorie. Ulteriori benefici, inoltre, conseguono al suo utilizzo, come ad esempio trasferire un importo monetario digitale senza alcun limite. L'acquisto e la vendita di bitcoin è abbastanza semplice, ed avviene: tramite un exchange, cioè di una piattaforma multimediale di scambio dove la domanda di chi è disposto ad acquistare bitcoin e l'offerta di chi è disposto a venderne s'incontrano. E sempre tramite exchange è possibile trasformare il valore digitale in proprio possesso in moneta avente corso legale attraverso il successivo accredito in conto corrente (anche non) personale delle somme di danaro convertita; oppure attraverso trattative private tra gli utenti bitcoin, ma in questo caso senza garanzia che il corrispettivo versato in moneta legale corrisponda alla valuta virtuale desiderata e viceversa, stante l'assenza di un soggetto qualificato come l'exchanger, in grado di garantire la transazione. I bitcoin, infine, sono gestiti dall'utilizzatore mediante un portafoglio digitale (c.d. e-wallet), installato su di un personal computer o su di un dispositivo mobile dal quale è possibile eseguire il pagamento della merce ; o del servizio acquistato. Questo è direttamente collegato alla blockchain, ossia un registro contabile accentrato, che tiene traccia di tutti gli spostamenti monetari evasi ed accreditati ad ogni borsellino elettronico. In termini pratici, dunque, per poter pagare in valuta virtuale occorre anzitutto munirsi di un borsellino elettronico nel quale accreditare la criptovaluta desiderata, acquistandola su di una qualsiasi piattaforma di cambio online, oppure ottenendola da un utente che è disposto a trasferirla. Con ciò è possibile acquistare beni o servizi e pagarli tramite bitcoin, a condizione che il venditore accetti nello scambio la valuta virtuale. Al riguardo si osserva che in una sentenza della Corte di Giustizia Europea ;il bitcoin è stato definito come un mezzo di pagamento, ossia la primordiale funzione economica-giuridica del danaro (CGUE, 22 ottobre 2015, causa C-264/14). Tuttavia, in dottrina si è critica l'impostazione del giudice comunitario atteso che la moneta, persegue tre finalità: a) essere mezzo di scambio; b) essere espressione di un valore (unità di conto); c) conservare nel tempo il proprio potere d'acquisto (riserva di valore). Le valute virtuali non soddisferebbero, congiuntamente, i requisiti monetari illustrati. L'affermazione fa leva, principalmente, sulla incapacità, o comunque scarsa propensione, di alcune valute virtuali a essere impiegate come mezzo di scambio, avendo invece attitudine a fungere da strumento d'investimento negoziabile in mercati secondari. Queste valute virtuali non costituirebbero un affidabile numeratore (unità di conto), data l'instabilità di valore che ne condiziona anche il potere d'acquisto Al contrario la valuta virtuale può essere utilizzata in forma d'investimento quando la speculazione consista nella conversione della prima in moneta legale e viceversa, in base al rapporto di cambio monetale legale/valuta virtuale praticato su piattaforme di scambio online. Per confortare tale qualificazione, il punto dal quale bisogna partire è senz'altro la definizione di strumento finanziario declinata dall'art. 1, comma 2, T.U.F., secondo cui si intende qualsiasi strumento riportato nella Sezione C dell'Allegato I. Gli strumenti di pagamento non sono strumenti finanziari. La nozione di strumento finanziario, nella appena riferita formulazione, consente di ricavare un limite inferiore dall'art. 1, comma 2, TUF, secondo cui i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari, e un limite superiore, rappresentato dalla nozione di prodotto finanziario (art. 1, lett. u), TUF) che il TUF indentifica come confine della disciplina sull'appello al pubblico risparmio. Le valute virtuali non rientrano nella definizione di strumento finanziario, poiché non rappresentano un valore mobiliare, posto che non attribuiscono alcun diritto partecipativo in iniziative economiche, né un investimento in un fondo, né uno strumento del mercato monetario (buoni del Tesoro, certificati di deposito o carte commerciali), non essendo, tra l'altro, collegate ad un'autorità governativa. Non sono neanche un derivato, ma al più possono considerarsi un indice dell'operazione finanziaria. Potrebbero tuttavia qualificarsi prodotti finanziari, una volta chiarita la nozione di essi. Secondo un efficace approccio, il prodotto finanziario rappresenta l'anello più esterno di un gruppo di cerchi concentrici di cui gli "strumenti finanziari" e i "valori mobiliari" rappresentano quelli più interni. E ciò in ragione dell'ampia definizione disposta dal legislatore all'art. 1, comma 1, lett. u), TUF, secondo cui per prodotti finanziari si intendono gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria. La nozione di prodotto finanziario risulta sufficientemente ampia da ricomprendere ogni strumento che sia idoneo alla raccolta del risparmio, comunque denominato o rappresentato, purché rappresentativo di un impiego di capitale. Più precisamente, i caratteri distintivi dell'investimento di tipo finanziario sono: a) un impiego di capitali, riconducibile generalmente al danaro o, più in generale, a un capitale proprio che può corrispondere anche a una valuta virtuale; b) una aspettativa di rendimento; c) un rischio proprio dell'attività prescelta, direttamente correlato all'impiego di capitali. Secondo un diverso orientamento la natura finanziaria dell'operazione riconducibile ai prodotti finanziari deve essere rinvenuta nella causa ad essa sottesa, nel senso che la natura dell'operazione deve essere valutata con la normale destinazione del bene oggetto dell'investimento ovvero nell'ottica della più complessa operazione prospettata dall'offerente. Caratteri questi che ben potrebbero identificarsi nelle valute virtuali, in quanto il soggetto interessato all'investimento per ottenerlo ha erogato una somma di danaro, con l'aspettativa di ottenere un rendimento, non necessariamente corrispondente all'apporto patrimoniale maggiorato rispetto a quella investito, assumendosi su di sé un rischio connesso al capitale investito. Ne consegue che la valuta virtuale, quando assume la funzione, e cioè la causa concreta, di strumento d'investimento e, quindi, di prodotto finanziario, va disciplinato con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 ss. T.U.F.), le quali garantiscono attraverso una disciplina unitaria di diritto speciale la tutela dell'investimento. A ben guardare, i connotati funzionali precedentemente illustrati possono essere ascritti alla valuta virtuale in esame, in quanto il soggetto interessato all'investimento, per ottenere bitcoin ha sborsato una somma di danaro, nell'aspettativa di ottenere un rendimento, non necessariamente corrispondente ad una somma di danaro maggiorata rispetto a quella investita. Quindi, il bitcoin rappresentano uno strumento finanziario costituito da una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer. Ne consegue che, il bitcoin, quando assume la funzione di strumento d'investimento come ora detto e quindi di prodotto finanziario, deve essere disciplinato dalle norme in tema di intermediazione finanziaria ;, che garantiscono attraverso una propria disciplina unitaria di diritto speciale di tutelare la redditività dell'investimento effettuato affinché questo non si veda frustrato. Non è decisiva l'obiezione che mancherebbe o sarebbe difficilmente individuabile un emittente. La difficoltà di identificazione dell'emittente non impedisce di individuare i gestori delle piattaforme online come proponenti o intermediari per lo scambio di prodotti finanziari. La disciplina sull'appello al pubblico risparmio, infatti, va estesa a tali soggetti, e li obbliga ad una informativa dettagliata qualora l'offerta sia promossa al pubblico. A tale scopo l'art. 1, comma 1, lett. t), T.U.F. definisce offerta al pubblico ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell'offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati. Ne consegue anche l'estensione della disciplina sull'autorizzazione alla prestazione di servizi e attività d'investimento, ai sensi dell'art. 32 TUF, alle piattaforme che promuovono il prodotto finanziario valuta virtuale. Anche se la rubrica della norma fa riferimento alla promozione e collocamento a distanza di servizi e attività di investimento e strumenti finanziari, al secondo comma, essa rimanda alla Consob la regolamentazione per la promozione e il collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza di servizi e attività di investimento e di prodotti finanziari. Disciplina attuata mediante l'art. 125 reg. intermediari, che stabilisce le imprese d'investimento quali soggetti unicamente deputati alla promozione e al collocamento a distanza di prodotti finanzia Sotto altro aspetto, si osserva che la IV e la V Direttiva UE Antiriciclaggio, recepite rispettivamente con il d.lgs. n. 90/2017 e con il d.lgs. n. 125/2019, sono stati previsti specifici obblighi nei confronti dell'exchanger (cambiavalute di bitcoin et similia, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi funzionali all'utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da, ovvero in, valute aventi corso legale o in rappresentazioni digitali di valore, ivi comprese quelle convertibili in altre valute virtuali nonché i servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all'acquisizione, alla negoziazione o all'intermediazione nello scambio delle medesime valute, art. 1, comma 2, lett. ff, d.lgs. n. 231/2007) e delwallet provider (gestori di portafogli virtuali, definiti come ogni persona fisica o giuridica che fornisce, a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali, art. 1, comma 2, lett. ff bis)), entrambi inseriti nella categoria “altri operatori non finanziari”. Pertanto, allo stato, può ritenersi il bitcoin un prodotto finanziario qualora acquistato con finalità d'investimento. La società promoter della piattaforma di scambio di valute virtuali è ascrivibile al ruolo del fornitore, ossia qualunque persona fisica o giuridica, soggetto pubblico o privato, che, nell'ambito delle proprie attività commerciali o professionali, è il fornitore contrattuale dei servizi finanziari oggetto di contratti a distanza (art. 67 ter, lett. c), il quale, attraverso un contratto a distanza che abbia per oggetto un servizio finanziario (art. art. 67 ter, lett. a)), collochi tra il pubblico dei consumatori valute virtuali, cioè bitcoin. L'art. 67-ter del codice del consumo, per servizio finanziario deve intendersi qualsiasi servizio di natura bancaria, creditizia, di pagamento, di investimento, di assicurazione o di previdenza individuale. Ne consegue che chi eroghi detti servizi è tenuto ad un innalzamento degli obblighi informativi verso il consumatore, al fine di consentire allo stesso di conoscere i contenuti dell'operazione economico-contrattuale e di maturare una scelta negoziale meditata ; Ragion per cui l'esercizio senza autorizzazione della relativa autorità potrebbe comportare la violazione di disposizioni normative, penalmente sanzionate, che riservano l'esercizio ai soli soggetti legittimati (artt. 130, 131 t.u.b. per l'attività bancaria e l'attività di raccolta del risparmio; art. 131-ter TUB per la prestazione di servizi di pagamento; art. 166 TUF, per la prestazione di servizi di investimento). Tali soggetti, pertanto, sono oggi tenuti all'adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, tra i quali l'identificazione del cliente e del titolare effettivo (artt. 17 ss. d.lgs. n. 231/2007), alla conservazione dei documenti, dei dati e delle informazioni raccolte (artt. 31 ss.), nonché alla segnalazione di operazione sospetta alla Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF). A prescindere da un effettivo concorso nelle attività di riciclaggio, pertanto, exchanger e wallet provider incomberanno in una specifica responsabilità penale anche solo in caso di violazione dei predetti obblighi (art. 55) senza considerare il rischio di integrare le fattispecie di abusivismo bancario e finanziario, per omissione degli adempimenti di comunicazione e iscrizione (anche se non è ancora stato emesso il decreto del MEF che dovrà istituire la sezione speciale del registro dei cambiavalute virtuali). Osservazioni
Tra le funzioni assunte dalle valute virtuali vi sono quelle speculativa o di investimento. Già nel gennaio 2015, con l'Avvertenza sull'utilizzo delle cosiddette valute virtuali, la Banca d'Italia sollevava un non trascurabile dubbio, ossia se l'attività tipica degli exchanger potesse essere fatta rientrare nell'alveo delle attività tipizzate dal legislatore e riservate a determinate categorie di soggetti legittimati. In particolare, Banca d'Italia sottolineava come le attività di emissione di valuta virtuale, conversione di moneta legale in valute virtuali e viceversa e gestione dei relativi schemi operativi potrebbero invece concretizzare, nell'ordinamento nazionale, la violazione di disposizioni normative, penalmente sanzionate, che riservano l'esercizio della relativa attività ai soli soggetti legittimati (artt. 130, 131 TUB per l'attività bancaria e l'attività di raccolta del risparmio; art. 131-ter TUB per la prestazione di servizi di pagamento; art. 166 TUF, per la prestazione di servizi di investimento). Se all'epoca di tali considerazioni poteva apparire dubbia la sussumibilità dell'attività propria degli exchanger entro le definizioni legali di attività bancaria, di raccolta del risparmio e simili –e, con essa, la configurabilità dei predetti reati di abusivismo bancario e finanziario, oggi ogni incertezza appare superata dall'espresso riconoscimento di tale categoria da parte del legislatore, e dal contestuale obbligo di registrazione degli exchanger in una apposita sezione del registro dei cambiavalute (art. 17-bis d.lgs. n. 141/2010). Con il d.lgs. n. 90/2017, infatti, il legislatore ha introdotto nel predetto articolo 17-bis i nuovi commi 8-bis e 8-ter, i quali impongono ai prestatori di servizi relativi all'utilizzo di valute virtuali l'iscrizione nel registro. Alla luce di tale intervento legislativo, deve rilevarsi come l'attività degli exchanger di criptovalute sia stata espressamente riconosciuta dal legislatore, definita e collocata nell'ambito delle attività di cambiavalute. Pertanto, la prestazione dei servizi relativi alle criptovalute, così come definita e regolata dal legislatore, sembrerebbe non porre più problemi circa il rischio di integrare le fattispecie di abusivismo finanziario e bancario. Tuttavia, non può essere obliterato quel formante dottrinario ad avviso del quale è meno scontato se le attività di emissione di valuta virtuale, conversione di moneta legale in valute virtuali e viceversa e gestione dei relativi schemi operativi possano concretizzare, nell'ordinamento nazionale, la violazione di disposizioni normative, penalmente sanzionate, che riservano l'esercizio della relativa attività ai soli soggetti legittimati (artt. 130, 131 TUB per l'attività bancaria e l'attività di raccolta del risparmio; art. 131-ter T.U.B. per la prestazione di servizi di pagamento; art. 166 T.U.F. per la prestazione di servizi di investimento). Il dubbio, posto da Banca d'Italia in un'avvertenza sull'utilizzo delle cosiddette "valute virtuali" datata 30 gennaio 2015, non sembra essere del tutto fugato dall'espresso riconoscimento della categoria degli exchanger. Sebbene l'utilizzo di valuta virtuale sia un caleidoscopio di rischi che, oltre a colpire i miners, si riflettono sugli altri partecipanti al mercato, minacciando persino l'integrità finanziaria, e l'equiparazione della figura dei professionisti del mercato delle criptovalute a quella dei cambiavalute (senza distinzione tra attività di trading - diretto o indiretto, mining e mixing) avvicini implicitamente la valuta virtuale alla moneta, non sembra ancora possibile stigmatizzare il Cryptocurrency Exchange non autorizzato con l'arsenale sanzionatorio previsto per l'abusivismo bancario e finanziario. Insomma, anche dopo l'emanazione del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 il principio di legalità in materia penale risulta ostativo all'applicazione degli artt. 130 ss. TUB e dell'art. 166 TUF, opponendovi il corollario della tassatività (e, quindi, del divieto di analogia). A disattivare le singole fattispecie è il riferimento ad elementi costitutivi quali l'attività di raccolta del risparmio tra il pubblico (artt. 130 e 131 TUB), l'attività di concessione di finanziamenti (art. 132 TUB), le definizioni di moneta elettronica (art. 131-bis TUB) e servizi di pagamento (art. 131-ter TUB), che rendono incompatibili fattispecie e tipo. Amato-Fantacci, Per un pugno di Bitcoin, Milano, 2016, 3
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